Daniela Distefano
CATANIA – “Quando mio padre, a cena, disse che si moriva dal caldo, non aveva pensato che l’intendesse alla lettera, ci mancherebbe. Eppure fu un sollievo, per me, sapere quel che era successo alla Marella Masi, nello stabile di fronte a casa nostra, le era successo per via di un proiettile”.
Mirco Giulietti è nato in provincia di Pesaro e Urbino, dove vive con la sua famiglia. È laureato in giurisprudenza e, dopo aver fatto il giornalista e il webmaster, lavora presso l’Azienda Sanitaria Unica Regionale delle Marche. Ha scritto di storia e biografie di personaggi locali.
Si moriva dal caldo (Intrecci edizioni) è il suo primo romanzo. Il plot ruota attorno a un caleidoscopio di personaggi che entrano ed escono dalla scena come api pazze perché la loro ape-regina è stata uccisa e nessuno sa il perché, né conosce il colpevole. Voce narrante è un ragazzino appassionato di calcio, pieno di curiosità e di voglia di crescere in fretta.
“Dissero che aveva fatto una “brutta fine” la signorina Marella. E non si capiva dove finisse la compassione e dove cominciasse l’accertamento di un facile profezia”.
Come da manuale del crimine, la vittima era essa stessa il movente della sua uccisione. Iniziano le congetture, i sospetti, le occhiate di sfuggita, tra persone vicine e conoscenti; e questo bambino di dieci anni si pone domande e azzarda risposte senza sapere di essere sulla strada della rivelazione.
Domenica 7 luglio 1974
“Era il gran giorno dell’attesissima finale dei mondiali: Germania Ovest – Olanda. Si giocava all’Olympiastadium di Monaco, lo stadio Bayern, ma anche delle olimpiadi di due stagioni prima e dello stupefacente record di Dwight Stones dell’anno precedente: 2 metri e 30 nel salto in alto. L’impianto dell’ardita struttura a rete di pesca che arrivava a carezzare il cielo in uno strascico di cavi e tensostrutture. Il simbolo futurista della nuova Germania del boom economico, della politica della distensione, di Willy Brandt in ginocchio davanti al monumento delle vittime dell’olocausto”.
Si moriva dal caldo è un libro polifonico che aggiunge al coro stonato la voce squittente di un ragazzino; in mezzo, “l’horror vacui” dei calciatori in odore di eroismo, la passione per le investigazioni come ricerca della scoperta, del nuovo, dell’inimmaginabile. Affastelllati, appogiati al muro dei reietti personaggi che hanno in regalo dalla vita solo una battuta e neanche finale. I mostri normali della vita quotidiana. Davvero inquietante visione che l’autore ha voluto rappresentare con uno sguardo a volte bonario, altre volte remissivo, e persino grottesco. Ma Si moriva di caldo è anche un romanzo del minuscolo dettaglio, dell’analisi dei decenni che ci separano da un’epoca per molti versi leggendaria. Gli anni ‘70 sono stati davvero uno spartiacque. La Germania era ancora divisa, però Willy Brandt era una statua vivente, e la gioia della prosperità cominciava a far sentire il suo profumo europeo. I mondiali già allora catalizzavano il mondo intero, la sfida economica non era spettrale anche se agguerrita, si poteva ancora sognare, ma il sogno poteva diventare incubo perché c’è sempre chi rimane fuori dalla propria casella di alveare, e la signorina Marella era un’ape-regina senza reame.