Giulio Gasperini
AOSTA – Un uomo e una donna greci, e un uomo e una donna italiani: quattro storie che si intrecciano nella contemporaneità, sfumando tra letteratura, arte e politica. Oriana Fallaci e Maria Callas, Pier Paolo Pasolini e Alekos Panagulis sono i protagonisti di Una storia italiana, racconto scritto da Alessia De Santis e edito da Marco Valerio Edizioni nella collana I Faggi. Quattro personalità di grandissimo spessore, al di là di quello che i loro comportamenti e le loro idee abbiano avuto sull’opinione pubblica. Le loro storie si sono intrecciate in maniera indelebile, mescolandosi e sovrapponendosi, allacciandosi e sciogliendosi come in una gara al consumarsi del destino.
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Si ride e sorride con le “Vite degli uomini illustri”
Giulio Gasperini
AOSTA – Con la Storia si può pure scherzare, e anche con la suprema arte della biografie, che già dai tempi degli antichi greci e romani ricevette una codificazione e una regolamentazione abbastanza rigida e articolata. Tanto che proprio il modello di Cornelio Nepote, con le sue “Vite degli eccellenti capitani”, è preso di mira da Achille Campanile. Il suo “Vite degli uomini illustri” (Rizzoli, 1975) è una grottesca galleria nella quale il celebre umorista inficia e stravolge tutti i più famosi aneddoti e gli episodi che hanno oramai perso il valore storico e son diventati leggenda. Si comincia da Palamede, eroe del ciclo troiano, che pare aver inventato tutto, anche la grattacacio, per proseguire con la vita di Socrate e la passione di Archimede nel sollevare il mondo.
Non si tratta di mancanza di rispetto: l’umorismo è un’arte ben più raffinata e frizzante. È l’arte che utilizza il sorriso – non il riso a bocca spiegata – per evidenziare i meccanismi puntuali dell’umanità, per colmare i vuoti inspiegabili della comprensione umana. Come nella storia di “Quel generale romano” che, come padre abbracciò il figlio trasgressore ma vincitore, ma che come capo dell’esercito lo condannò a morte. Achille Campanile sottolinea anche le fisime e le manie che una certa letteratura scolastica e una storia distratta ci hanno consegnato: così Alessandro Manzoni diventa uno scrittore attento al minimo dettaglio e all’informazione più insignificante soltanto perché così rimarrà ai posteri; e si gettano inquietanti ombre sulla vera carriera di Casanova come amatore e come scrittori di una molta ingentissima di libri e libercoli: “Uno che traduce l’Iliade in versi non ha tempo di disonorare due o tremila fra giovinette, anziane, vecchie e madri badesse!”. E poi c’è la patata, che ha tra i suoi grandi promotori niente meno che il Re di Francia, Luigi XVI, e Volta, l’inventore della patata.
Ma la narrazione delle pecche e la dissacrazione delle storie da manuale contempla persino un attacco al presente, perché ogni maschera, ogni ritratto di questa grottesca galleria, diventa exemplum, scontorna i suoi limiti e si confluisce nel giudizio sull’adesso: “Poiché ho accennato al fatto – raccontando la storia di Alfred de Musset e del caffellatte – che il cappuccino è scarso di solito, debbo aggiungere che questo difetto si fa notare anche di più nel semplice caffè. Ormai siamo proprio a un sorso. Una goccia di caffeina. Meno forte, signori, e un po’ più abbondante!”.
C’è anche spazio per un completo stravolgimento, pur sempre ironico, della Storia: ne “La scoperta dell’America”, infatti, le parti sono completamente invertite. Cristoforo Colombo è il nome che si inventa un giovane scienziato inca approdato in Europa. Come a dire che la civilizzazione delle Americhe non arrivò con l’invasione del Vecchio Continente; e che la Storia, con la S maiuscola, è tutta una questione di prospettive.
“La ragazza scalza” che resisteva in montagna.
Giulio Gasperini
ROMA – Combattere sulle montagne è sempre stato difficoltoso. Un vero e proprio calvario. Uno sforzo aggiuntivo in un momento in cui tutto ero rischioso. Sulla coltre di neve, ogni orma era una traccia compromettente, ogni rumore era amplificato come diventasse un urlo, un grido che inficiava ogni nascondiglio e rovinava la vita. In montagna, però, ugualmente si combatté e si resisté. Saverio Tutino fu commissario politico della 76° Brigata Garibaldi nella zona di Ivrea; e poi fu scrittore e narratore. Conobbe i personaggi protagonisti della resistenza tra Valle d’Aosta, Canavese e Biellese, e li raccontò in una serie di racconti brevi, schegge di azione e di ricordi, dal titolo “La ragazza scalza” (Einaudi 1975).
Vengono raccontate le ore calme, quelle che seguono le azioni di guerriglia; vengono raccontati i riconoscimenti, le tangenze delle vite, le occasioni di incontro. Sono squadernate le ore nelle quali si mescolano “vino e sentimenti” e nelle quali i personaggi si palesano per quello che veramente sono, con le loro debolezze e i loro vizi, ma anche le virtù e i piccoli gesti che, dimessi e modesti, edificano un “uomo”. Sono narrate quelle “ore calme”, che rallentano dopo la troppa vita e le emozioni che infiammano e stordiscono, che scontornano e sconfinano nella Storia. Quella Storia che la Morante aveva così bene rappresentato: distante, distaccata, indifferente agli uomini. Ma in Tutino c’è una consapevolezza diversa, una visione cordiale: lo scrittore ha simpatia per l’uomo, per i suoi sforzi, e qualche volta gli regala persino la consolazione di un premio, di una vittoria. Non esiste soltanto la sconfitta, per il giornalista: c’è anche la possibilità che l’ideale (e l’illusione) si concretino e prendano forma e sapore.
Incantevole il ritratto della partigiana Aurora Vuillerminaz, conosciuta come Lola. Aveva soltanto 22 anni quel 15 ottobre 1944 quando, catturata dai militi del battaglione fascista IX Settembre, fu uccisa con un colpo di rivoltella alla tempia, presso il cimitero di Villeneuve. Era una staffetta; stava rientrando dalla Svizzera e conduceva con sé cinque fuoriusciti (“un poeta, un operaio, un dottore in medicina”). Tutino ce la presenta come “la moglie ideale di un vero partigiano: era bella e tutti se lo dicevano: ma dalla sua bellezza era escluso ogni gioco sottinteso o malizia. Non doveva essere semplice innamorarsi di lei; prima di tutto bisognava misurarsi col suo carattere”.
Tutti i personaggi, questi nomi che non sono semplici nomi, ma volti e storie anonime, non si domandano se saranno ricordati o amati, in futuro; se le loro azioni saranno prese a modello, se i loro colori esploderanno ancora e quali cieli coloreranno. Sanno per atavica legge di natura che il loro contributo aiuterà i loro discendenti, che siano figli, nipoti o perfetti sconosciuti, magari persino avversari: “Discussero un poco, e poi ognuno di quelli che avevano partecipato all’azione riprese il racconto delle cose viste da lui e così, come sempre, ci si rese conto che la storia è fatta da tutti: ognuno, muovendosi, ci mette qualcosa di suo”. È la scrittura, poi, che li eterna; e che non li fa scolorire.