Giulio Gasperini
AOSTA – In quest’epoca di social espansi all’inverosimile, di comunicazioni immediate, a tempo di un semplice click, di fotografie, filmati e documenti colti dal vivo, quale spazio ha ancora il fotogiornalismo? Pare essere questa la domanda che sta all’origine di Il sudario di latta, il taccuino di guerra del giornalista Ugo Lucio Borga, edito dalle Edizioni Marcovalerio nella collana “I Faggi”.
In particolare, con le Primavere arabe il mondo ha scoperto le potenzialità della documentazione 2.0. Tutti, con un semplice cellulare, possono riprendere, fotografare, inviare milioni di documenti nel web. E tutti, con un semplice click, possono usufruire di quest’enorme patrimonio di informazioni. Il confine con il fotogiornalismo è, però, ancora piuttosto evidente, come testimonia anche “Il sudario di latta”. Innanzi tutto, il fotografo è un giornalista, che spesso ha una conoscenza molto approfondita della zona dove si trova e nella quale sta lavorando. La sua, pertanto, non è una semplice documentazione, spesso colta solamente nell’istante dell’accadimento, ma diventa una testimonianza ragionata, condotta con un criterio e con una chiave di lettura che possa aiutare e sostenere il lettore, non lasciandolo abbandonato e sommerso di materiali che senza un’accurata preparazione finiscono soltanto per travolgerlo. Il giornalista, se bravo e competente, sa anche raccontare, sa spiegare, sa narrare.
In più, il fotogiornalista è un artista; un artista che ha una sua chiave interpretativa (perché ogni giornalista dà un’interpretazione, veicola un punto di vista), che ha una sua poetica, una sua concezione della realtà e una sua percezione della storia. E proprio quella regala al lettore, chiamato così a confrontarsi con numerosi codici comunicativi.
“Il sudario di latta” ci fa conoscere tre scenari particolari di guerra: la Siria, la Libia e la Somalia. Tre luoghi di entità statali distrutte, di furia brutale, di cieca e incontrollata violenza. Quelli di Ugo Lucio Borga sono appunti, scritti nell’immediato o a distanza di tempo: sono dunque sia vergati impulsivamente sia rielaborati dalla lucidità che soltanto la lontananza e la separazione danno. Danno l’affresco potente di tre scenari complessi e multiformi, difficili. Non raccontano solamente, però: cercano anche di capire e spiegare l’uomo, senza mai giustificarlo né condannandolo; semplicemente, descrivendolo, narrandolo e provando a capire le sue reazioni, i suoi motivi, le sue scelte a volte profondamente drammatiche. A sostegno delle parole, le fotografie, il vero miracolo di queste esperienza al fronte. Perché la fotografia di Borga non è mai banale: coglie attimi non sempre, e non necessariamente, topici, decisivi; anche lo sguardo su una quotidianità, in questi territori di lotta, che spesso finisce poi inghiottita nella follia vorace e nella dimenticanza di tutto il resto (indifferente) del mondo, è fonte preziosa di documentazione.
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“Altro ed altrove”, ma pur sempre lo stesso amore.
Giulio Gasperini
AOSTA – Angelo Branduardi ha sempre avuto un occhio di riguardo per la poesia. Cantautore colto e raffinato, ha da sempre perseguito una ricerca musicale attenta e puntuale sugli antichi strumenti, le antiche partiture, le note remote di cui ci si serviva anni fa. Silenziosa, ad affiancarlo nel lavoro di scrittura dei testi, la moglie, Luisa Zappa, spesso mai accreditata ma sempre presente. Sue sono le traduzioni e gli adattamenti delle quattordici poesie d’amore, provenienti da tutto il mondo e dalle più distanti culture, presentante in “Altro ed altrove” (2003).
L’intento è esplicitato dallo stesso musicista, con un intenso messaggio presente nel booklet: un “viaggio, tra sogno e curiosità, immagini di terre lontane, visioni di uomini e donne che, sotto altri cieli, ardono delle stesse passioni”. Come a dire, evidentemente, che se tutti noi crediamo soprattutto all’amore non hanno molto senso divisioni e ripartizioni. Il cielo è unico, l’amore ancora di più, al di là di tutte le declinazioni che può assumere.
Si inizia con “Laila, Laila”, deliziosa ballata nepalese per una donna che ha in sé la dolcezza dello Shiraz e il veleno del cobra di Birmania; poi si va negli States, con un dolce “Notturno indiano”, frutto di una cultura, quella dei “Pellerossa”, in perfetta armonia con la Natura e le Stelle bambine; dall’Afghanistan del 1600, più più precisamente da un componimento del poeta di etnia Pashtun, Mirza Khan Ansari, deriva il testo de “La candela e la falena”, che narra di una amore impossibile, destinato al sacrificio estremo; da un anonimo dei Kabili d’Africa la storia di un Casanova nero, innamorato di tante donne e della sua vita, che innalza una preghiera a Dio, in “Se Dio vorrà”; “Io canto la ragazza dalla pelle scura” proviene invece dalla tradizione dell’Arabia, in cui viene evidenziata l’apparente fragilità di una donna, mentre “il suo braccio è una spada sguainata”; una folk song tradizionale della Scozia canta invece de “La Signora dai capelli neri e il Cacciatore”, la favola di una dark lady, nella scia della rottura poetica shakespeariana; in originale latino, invece, il testo della poesia di Catullo, “Ille mi par esse deo videtur”, celebre rielaborazione del poeta di Sirmione di un componimento di Saffo; straziante, invece, “L’ambasciata a Shiragi”, poesia Nara giapponese del 736, che racconta della separazione tra un marinaio e la sua donna; l’esaltazione della vera bellezza, della giovinezza sempiterna, è il tema di “Giovane per sempre”, adattamento di uno dei più bei sonetti di Shakespeare; ancora dagli Indiani d’America, questa volta dalla zona del New Mexico, una dolcissima ballata di sensualità estrema, in “Ch’io sia la fascia”; “Lo straniero” ci canta la libertà delle donne beduine libiche che, a differenza delle altre ragazze arabe, godevano di una notevole libertà anche amorosa; dal poeta cinese Li Po, del 700 circa, viene la struggente “Ballata del Fiume Blu”, augurio di una vita che trascenda il presente e i suoi limiti sensoriali; il testo de “Il bacio”, canzone emblematica, proviene da un componimento di Rudaki, il “Re dei poeti”, alla corte dei principi Semanidi, in Persia, intorno al X secolo; il viaggio si conclude in Irlanda, con un’antica lirica del secolo IX, in cui il dio Midir invita la “Donna di luce” a seguirlo nella Terra della Giovinezza, dove “nessuno muore prima di essere ormai vecchio”.
Ogni canzone, accompagnata da una pregevole illustrazione di Silvio Monti, per un viaggio più completo tra tutti i sensi e tutte le emozioni ricollegabili al testo poetico e alle suggestioni del più profondo sentimento dell’amore.