Micalizzi: una graphic novel per raccontare la guerra

Signs Book, Non si muore di lunedì

La storia di cui vi parlo oggi non è una storia qualsiasi. Questa non è finzione e Non si muore di lunedì (Signs Books) non è un romanzo.

Baghuz, Siria: è lunedì 11 febbraio 2019 e Gabriele Micalizzi sta svolgendo il suo lavoro in prima linea, come fa da quasi dieci anni. Gabriele è un fotoreporter di guerra, ha già esperienza sul campo – le sue foto sono celebri – e documentare l’offensiva contro l’ISIS significa raccontare la voracità della guerra, la sua crudeltà. L’ISIS si trova asserragliato su tre fronti, sono momenti concitati e un bravo reporter deve saper catturare i dettagli anche mentre tutto attorno è l’inferno.

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La guerriera curda che resistette al Daesh

La guerriera dagli occhi verdiGiulio Gasperini
AOSTA – Una donna guerriera. Curda. In lotta prima con i turchi che non accettano uno stato curdo autonomo, poi contro il Daesh, lo Stato islamico che non conosce pietà né umanità. Non è strano, in quella piega di mondo. Da alcuni anni, ovvero dal 2012, la costituzione dell’YPJ ha portato alla ribalta del mondo – anche se in maniera poco mediatica e giornalistica – il ruolo fondamentale delle donne nella resistenza curda; e, negli ultimi mesi, contro l’espansione di Daesh in quelle regioni del medio oriente svuotate di un forte potere statale. Avesta Harun era una di queste donne guerriere, caduta durante un’operazione militare condotta dalle forze del PKK per riconquistare un villaggio occupato dal Daesh. Marco Rovelli è volato fino in Kurdistan, sulle tracce della memoria e dei racconti di chi Avesta l’aveva conosciuta e ammirata: è nato, così, La guerriera dagli occhi verdi, edito da Giunti editore, ovvero la storia di una donna che, colpita dall’ingiustizia patita dal suo popolo, ha deciso di ritirarsi sulle montagne, di farsi guerriera e di dedicarsi alla causa di un Kurdistan finalmente libero e autonomo.
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“Il sudario di latta”: il fotogiornalismo nell’epoca 2.0.

Il sudario di lattaGiulio Gasperini
AOSTA – In quest’epoca di social espansi all’inverosimile, di comunicazioni immediate, a tempo di un semplice click, di fotografie, filmati e documenti colti dal vivo, quale spazio ha ancora il fotogiornalismo? Pare essere questa la domanda che sta all’origine di Il sudario di latta, il taccuino di guerra del giornalista Ugo Lucio Borga, edito dalle Edizioni Marcovalerio nella collana “I Faggi”.
In particolare, con le Primavere arabe il mondo ha scoperto le potenzialità della documentazione 2.0. Tutti, con un semplice cellulare, possono riprendere, fotografare, inviare milioni di documenti nel web. E tutti, con un semplice click, possono usufruire di quest’enorme patrimonio di informazioni. Il confine con il fotogiornalismo è, però, ancora piuttosto evidente, come testimonia anche “Il sudario di latta”. Innanzi tutto, il fotografo è un giornalista, che spesso ha una conoscenza molto approfondita della zona dove si trova e nella quale sta lavorando. La sua, pertanto, non è una semplice documentazione, spesso colta solamente nell’istante dell’accadimento, ma diventa una testimonianza ragionata, condotta con un criterio e con una chiave di lettura che possa aiutare e sostenere il lettore, non lasciandolo abbandonato e sommerso di materiali che senza un’accurata preparazione finiscono soltanto per travolgerlo. Il giornalista, se bravo e competente, sa anche raccontare, sa spiegare, sa narrare.
In più, il fotogiornalista è un artista; un artista che ha una sua chiave interpretativa (perché ogni giornalista dà un’interpretazione, veicola un punto di vista), che ha una sua poetica, una sua concezione della realtà e una sua percezione della storia. E proprio quella regala al lettore, chiamato così a confrontarsi con numerosi codici comunicativi.
“Il sudario di latta” ci fa conoscere tre scenari particolari di guerra: la Siria, la Libia e la Somalia. Tre luoghi di entità statali distrutte, di furia brutale, di cieca e incontrollata violenza. Quelli di Ugo Lucio Borga sono appunti, scritti nell’immediato o a distanza di tempo: sono dunque sia vergati impulsivamente sia rielaborati dalla lucidità che soltanto la lontananza e la separazione danno. Danno l’affresco potente di tre scenari complessi e multiformi, difficili. Non raccontano solamente, però: cercano anche di capire e spiegare l’uomo, senza mai giustificarlo né condannandolo; semplicemente, descrivendolo, narrandolo e provando a capire le sue reazioni, i suoi motivi, le sue scelte a volte profondamente drammatiche. A sostegno delle parole, le fotografie, il vero miracolo di queste esperienza al fronte. Perché la fotografia di Borga non è mai banale: coglie attimi non sempre, e non necessariamente, topici, decisivi; anche lo sguardo su una quotidianità, in questi territori di lotta, che spesso finisce poi inghiottita nella follia vorace e nella dimenticanza di tutto il resto (indifferente) del mondo, è fonte preziosa di documentazione.