“La giostra del piacere” e il gioco delle vite. Un grande romanzo

La-giostra-del-piacere-recensione_chrLGiulia Siena
ROMA
“Più si frequentava place d’Arezzo, più ci si convinceva di aver a che fare con un mistero. Il nome stesso della piazza aveva dell’incredibile, perché era dedicata al monaco benedettino Guido d’Arezzo, inventore del sistema di notazione musicale che aveva messo fine alla confusione della trasmissione orale, ‘Chi esegue senza capire è un animale’ diceva. In musica, Guido d’Arezzo è stato un uccisore di pappagalli”. Come uno strano scherzo del destino, pappagalli e cocorite sono arrivate fino al centro di Bruxelles, trasformando questa piazza dedicata al monaco musicista nel loro nuovo habitat. Tra le fronde degli alberi i pappagalli – protagonisti e spettatori inconsapevoli di un gioco di sguardi – parlano nella propria lingua, mentre nelle stanze dei palazzi che si affacciano su quel maestoso nido belga, si consumano vite, passioni, lotte e amori. Infatti, i misteriosi pappagalli giunti fino a li grazie a un console brasiliano, non sono i soli privilegiati abitanti di questo prestigioso angolo di città, con loro, a parlare un’altra lingua e con diverse movenze e provenienze, ci sono gli abitanti di Place d’Arezzo. Gli abitanti, facoltosi, annoiati, istrionici, problematici ed enigmatici borghesi, vengono interrotti, sorpresi, spaventati e attratti da una lettera gialla, un biglietto che ricevono molti di loro. “Questo biglietto solo per dirti che ti amo. Firmato: tu sai chi”. Comincia così  La giostra del piacere (Edizioni e/o), il nuovo, grande lavoro narrativo di Eric – Emmanuel Schmitt. Da questo messaggio d’amore si scatena una storia in cui vivono tante storie: c’è Baptiste Monier, famoso scrittore di best seller – quasi alter ego dell’autore – sua moglie Joséphine e la loro nuova amica Isabelle; c’è la controversa Faustina; il potente Zachary Bidermann e sua moglie Rose; il banchiere de Couvigny; i giovani Albane e Quentin; il gallerista snob Wim; la fioraia Xavière che tradisce suo marito  con la docile  Séverin; ci sono i tormentati e curiosi Tom e Nathan, entrambi attratti dal giardiniere Hippolyte, padre di Isis e innamorato di Patricia.

In questa giostra di personaggi, il piacere è un sentimento estremo, cercato, rifiutato, mal gestito perché ogni storia, ogni legame tra i personaggi  ha dietro più storie, più sentimenti, più vicende. E in questa fitto ricamo di psicologie, azioni e reazioni, il piacere è solo uno dei sentimenti. Mano mano che il libro va avanti, che i personaggi si lasciano conoscere, emergono nuove sensazioni, nuovi stati d’animo; emerge, così, la magistralità di Schmitt nel delineare sensibiltà e stati d’animo. Emerge, così, che dietro a personaggi forti, scaltri, potenti e allo stesso tempo indecisi, c’è una felice ingenuità che in disparte, silenziosamente, tesse una trama avvincente fino all’ultimo pagina. Ed è qui che torna lo scrittore di “Oscar e la dama in rosa” (2002); qui riaffiora la grande capacità narrativa di Eric-Emmanuel Schmitt, lo scrittore che mette i propri personaggi sulla giostra del piacere, ma lascia alla semplicità muovere il complicato movimento. La giostra del piacere – come tutta la produzione narrativa e drammaturgica dello scrittore belga – descrive e analizza i comportamenti umani, indaga nel vissuto e nella psicologia dei personaggi e va a scandagliare ruoli, comportamenti, reazioni e attrazioni di questo popolosissimo “catalogo umano”.

 

“Quella notte c’erano tanti umani quanti volatili. L’atmosfera sembrava esplosiva. Si sentiva nell’aria che sarebbe successo qualcosa”.