Una Parigi riconosciuta con altri sguardi.

On s'est reconnus, ParisGiulio Gasperini
AOSTA – È una Parigi diversamente riconosciuta, quella descritta con parole e immagini in On s’est reconnus, Paris, taccuino fotografico di Giuseppe Varchetta, edito da Edizioni del Foglio Clandestino. Gli scatti, rigorosamente in bianco e nero, sono legati come perle in una collana da una storia chissà quanto vera o fantasticata, di Nerina Garofalo: ma saperlo non cambia la potenza di questo viaggio, nel quale una bambina curiosa ci accompagna, sfogliando un portfolio caduto distrattamente in un cinema d’essai. Foto dopo foto, parole dopo parole, Parigi si squaderna davanti a noi, facendoci cogliere tanti suo angoli meno noti e patinati, ma più discreti, silenziosi, timidi; angoli e prospettive magari più bohémiens o letterari, dove le persone si colgono nella loro più naturale compostezza, nelle dinamiche più intime e informali.
Dai musei si passa alla narrazione delle strade, da dove provengono tutti gli impulsi sensibili che si colgono, passeggiando in una città straordinaria da passeggiare. Una città che è piuttosto un incedere di luoghi particolari e dettagli imprescindibili da cogliere, da assaporare, da concedersi come ogni nuova cosa buona. Da tavoli dei bistrots alle vetrine dei negozi di haute couture, dalle immagini riflesse nei tanti vetri al tourbillon de la vie che ci fa credere che a Parigi esistano solo storie d’amore, e nulla più. Come se l’amore fosse l’unico dettaglio che sublima gli altri e li rende perfetti. È un amore condiviso ma anche solitario, un amore che si palesa e si plasma anche nelle lunghe ombre sui marciapiedi, nelle pieghe dei muri, nei volti di uomini e donne che non sanno di essere seguiti da un occhio fotografico e si concedono disarmati al caso (o al destino, se qualcheduno vuole crederci). Ma Parigi è anche città di scritte, di parole tatuate o graffiate sui muri, di parole splendenti sulle insegne di negozi e ateliers, parole che si mischiano all’incedere delle persone, ai loro pensieri quasi materiali, che paiono prendere forme e sostanze nell’istante dello scatto stupefatto.
Gli scatti in bianco e nero, profondi nella prospettiva di sguardi privilegiati, isolano ancora di più, nella loro perfezione, le apparenti solitudini, ma anche i sorrisi disarmanti di chi sa che anche quell’attimo è così perfetto nella sua imperfezione. Come imperfetta è ovviamente la città, coi suoi limiti, le sue barriere, le sue indelicatezze. È pur sempre una città potente, vivace, che scorre sottopelle ai suoi abitanti ma anche ai suoi spettatori che si stupiscono e meravigliano, che si immergono in quel flusso costante e potente. Lo stesso che il bianco e nero riesce a riprodurre, in un meravigliato processo di presa di possesso e di non più abbandono: non importa conoscerla o non averla mai vista; in questo “On s’est reconnus, Paris” la città è squadernata davanti agli occhi di tutti, attiva nella sua potenza di varie umanità, di esperienze, di decreti e destini.

Informazioni su Giulio Gasperini

Laureato in italianistica (e come potrebbe altrimenti), perdutamente amante dei libri, vive circondato da copertine e costole d’ogni forma, dimensione e colore (perché pensa, a ragione, che faccian anche arredamento!). Compratore compulsivo, raffinato segugio di remainders e bancarelle da ipersconti (per perenne carenza di fondi e per passione vintage), adora perdersi soprattutto nei romanzi e nei libri di viaggio: gli orizzonti e i limes gli son sempre andati stretti. Sorvola sui dati anagrafici, ma ci tiene a sottolinare come provenga dall’angolo di mondo più delizioso e straordiario: la Toscana, ovviamente. Per adesso vive tra i 2722 dello Zerbion, i 3486 del Ruitor e i vigneti più alti d’Europa.
Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Un commento

  1. Pingback:On c’est reconnus, Paris – Una recensione di Giulio Gasperini | Bergasse Stress ... strascichi del millenovecento

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *