Emarginazione, follia e spiritualità

216 pagine, 15 euro, in libreria da poco più di un mese, candidato allo Strega e già in ristampa. Questi i dati tecnici di Beati gli inquieti, il romanzo frutto della penna di Stefano Redaelli, professore di Letteratura Italiana presso l’Università di Varsavia. Ma oltre le statistiche, qui, in queste pagine, a parlare è ben altro. La corsa allo Strega si è interrotta (svelata la dozzina dei semifinalisti), continua però il percorso di questo sorprendente romanzo.
Pubblicato da NEO, Beati gli inquieti nasce da una lunga esperienza sul campo e da una riflessione ricercatissima e approfondita sul valore letterario-filosofico (Merini, Tobino, Brentano) dell’alienazione mentale.
“Da anni conducevo ricerche sulla follia. Avevo letto migliaia di pagine di romanzi, saggi, articoli, ma studiarla non mi bastava più: volevo vederla da vicino, sentirla, parlarci”.
Antonio è un giovane ricercatore aspirante scrittore che lascia la casa dei propri genitori per un soggiorno – più o meno breve – in una struttura di riabilitazione psichiatrica. Il suo “stare” con i pazienti diventa un nuovo modo di mettersi in ascolto: quella diversità è un grido che richiede attenzione, comprensione, condivisione. Antonio condivide gli spazi, i momenti, le fissazioni, le urla e le cure. Condivide le letture (Il piccolo principe), le sperimentazioni e la poesia. Antonio impara che ci può essere poesie nelle pagine sparse di uno sfogo, bellezza nelle stanze disabitate dalla normalità, ci può essere legame in storie violentate dal dolore, ci può essere sacralità in bocche digrignate e in denti ingialliti. “L’amore come unica, come ultima possibilità di vita“. Perché il confine tra sanità e malattia qui, alla Casa delle farfalle, è diventato invisibile: da quale parte stare? Tra i detentori della verità, dalla parte della psichiatra, o da quella degli “inquieti”, tra i “cattivi e infelici”, tra i folli che hanno fame e sete? Antonio non è forse uno di loro? Le domande sono tante, ma Antonio entra in un tempo senza tempo: da quanto è lì? Di cosa ha fame e sete lui?
Stefano Redaelli ci catapulta in un mondo isolato, un mondo che corre parallelo alla normalità ma che da sempre è racchiuso in mura (non sempre e non più fisiche) che “rassicurano” chi è fuori ed emarginano chi vive all’interno. La malattia mentale è invisibile, ma in Beati gli inquieti diventa protagonista grazie a una storia in cui la mescolanza (di tematiche, di personaggi e caratteri, di forme e linguaggi) è incontro, avvicinamento, amore.
Di Dio! Ho fame e sete di DI-IO! DI-IO! Di dire io! Dire quello che sento, che accade qui dentro, il genio di Angelo, la fatica di Carlo, la poesia di Cecilia, il catesinteto di Simone, il profumo di Marta? Chi conosce la loro beatitudine? Chi? Nessuno! E’ un tesoro seppellito in un terreno incolto! Qualcuno la deve dire! Chi? Chi se non io?