Bonfirraro: Bruna K. Midleton, “Murate vive. Sesso, sangue, morte e monache murate vive come carcasse a imputridire”

Daniela Distefano
CATANI
A – Marianna De Leyva, la monaca di Monza de “ I promessi sposi” del Manzoni, non era finita nel monastero di Santa Margherita per una scelta interiore; suo padre, l’infido Martino, aveva domato la figlia: “Sapeva che la “sua bambina” non aveva alcuna vocazione, che non aveva ricevuto nessuna “chiamata”, che ad attrarla era il mondo e la sua vita secolare, che sognava di amare un uomo, di farsi una famiglia, di avere figli e di crescerli dando loro quell’amore che lei non aveva mai conosciuto… ma quei sogni lui glieli aveva inceneriti. Dall’alto della sua presunta onnipotenza, si era arrogato il diritto di decidere del destino di sua figlia. Era convinto che essa dovesse essergli grata per la sorte che egli le aveva assegnato, anziché contestarlo e disprezzarlo”.
Fu così che nacque un mostro nel corpo di una ragazza infelice, e con lei c’erano molte altre fanciulle “forzate” al velo claustrale contro la propria volontà.

Le vicende che le coinvolsero s’inquadrano in un microcosmo di sortilegi e malefici, lussuria e pratiche ascetiche, disciplina e corruzione del clero. Le fanciulle venivano sacrificate a calcoli d’ambizione e d’interesse, d’avarizia e d’eredità, trasferite dai sogni dorati dell’adolescenza ai silenzi austeri delle celle, dai nascenti amori alle privazioni e all’isolamento della clausura, cui si contrapponevano i fantasmi d’una cupa disperazione, d’un irrefrenabile desiderio, d’una perversione della natura. Sotto l’abito claustrale si celavano le tentazioni, s’insinuavano i peccati, si profanavano i corpi e le anime.
Ma qual era la vita quotidiana di un essere cancellato dall’umanità? E quale espiazione magmatica la protagonista di questo dramma è stata capace di sopportare con la sua umile viltà? Così si lamentava suo Virginia: “Sono finalmente uscita dall’inferno… l’inferno di promesse estorte e di vita negata, l’inferno che mi ha bruciata schiava e serva infelice, l’inferno di una tomba buia e fredda, l’inferno delle torture, dello strazio del corpo e dell’anima, l’inferno del silenzio e della disperazione… Monza dimentica le mie passioni e le mie colpe, non lasciare che l’eco funesto di quei tragici eventi ai quali sono sopravvissuta possa ricacciarmi all’inferno… Potrò mai trovare pace io, Marianna De Leyva, Signora di Monza, figlia di Martino usurpatore delle mie eredità, uomo ingiusto e crudele che ha sacrificato la mia giovinezza ai suoi interessi e distrutto la mia vita, che mi ha rubato il diritto alla libertà di volere quello che la natura mi chiedeva, che, nel male, ha segnato la mia sorte…”.
Alla fine, Suor Virginia “aveva sperimentato sulla sua pelle come nell’amore terreno si nascondessero i mille volti delle miserie umane, dell’egoismo, della lussuria, dell’avidità, dell’accidia, del narcisismo, dell’opportunismo, della superficialità…ora era pronta per lasciarsi rapire dall’amore celeste”.
Un racconto crudele e un supplizio infinito sono gli ingredienti di Murate vive (Bonfirraro), libro con cui la scrittrice Bruna K. Midleton misura la propria vena di cantastorie sciogliendo il ghiaccio della narrazione grazie ad uno stile elegante, asciutto, penetrante.

Bruna K. Midleton è una scrittrice di origine inglese e italiana d’adozione. È già stata autrice di “Love in” e “Il veleno delle farfalle”. La cronaca, ma soprattutto la storia, la ispirano quotidianamente ed è qui che ritrova spunti di narrativa al femminile che la coinvolgono emotivamente. Il suo senso di essere scrittrice è tutto nel ritrarre quei drammi e quelle tragedie dell’esistere, nell’essere testimone del malessere di generazioni inquiete, povere di miti veri, ma tuttavia alla ricerca di valori perduti e di verità troppo spesso nascoste, senza reticenze né artifici. Con Bonfirraro ha già pubblicato Lucrezia Borgia Giulia Farnese.

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