Giulio Gasperini
ROMA – Potrebbe essere una delle potenze del mondo, la Nigeria, se solo non fosse così terribilmente straziata da sé stessa. È una delle regioni al mondo più ricche di petrolio, è lo stato africano più abitato (160 milioni di persone), ha delle ingenti risorse di sottosuolo e di prodotti naturali. Potrebbe veramente diventare uno dei nuovi fulcri economici del mondo: ma non ci riesce. Troppe divisioni al suo interno, troppi interessi personali e privati, troppe inutili e cieche violenze che ne condizionano la vita, che ne appestano le menti, che ne limitano la lungimiranza e gli orizzonti. Leo Finzi, ingegnere civile esperto di mondo, si concreta come un nuovo Joseph Conrad e il suo romanzo, “L’Alhaji”, pubblicato da Alberto Gaffi Editore nel 2011 nella collana Godot, si esagera come un “Cuore di tenebra” di questa nostra stanca contemporaneità.
Come, infatti, “Cuore di tenebra” denunciò il feroce colonialismo ottocentesco, scarsamente documentabile e, per questo, difficilmente rimproverabile dai suoi contemporanei, “L’Alhaji” illustra, con un piglio giornalistico ma con un’architettura raffinatamente narrativa, il colonialismo dell’oggi, del presente, dei nostri anni Zero: non un colonialismo territoriale né politico né giuridico, ma, per questo, ancor più subdolo, perché organizzato solo sul sopruso, sullo sfruttamento economico e ambientale.
Nel romanzo di Leo Finzi, sottotitolato “una storia nigeriana” come a voler sottolineare la prospettiva geografica e significare che la vicenda è tutt’altro che un unicum, due prospettive di racconto si fondono in maniera mirabile: da un lato l’occhio da giornalista d’inchiesta, che con lucidità chirurgica analizza ogni frammento della realtà, e cerca di darne una rappresentazione quanto più veritiera possibile; dall’altro l’occhio del narratore, la sua fantasia nel tessere trame, la sua ingenuità (nel senso di purezza) immaginativa che gli permette di confondere anche un po’ il lettore, di mescolare e di invertire passato e presente, così che l’intreccio potenzi la fabula, e la carichi di significati che non possono, per la nostra gioia e il nostro divertimento, non rimanere sottaciuti. Il romanzo è una sfilata di personaggi, in una trama appassionata e appassionante che non può essere raccontata: tutto si basa sui rapporti – d’amore, di lavoro, d’amicizia – che si dipanano, a distanza di anni, tra due monti lontani, tra Italia e Nigeria, tra borghesismo e lavoro pionieristico.
La constatazione agghiacciante, pensando ai due romanzi, questo di Finzi e quello di Conrad, rimane quella che, passati gli anni e mutatis mutandis, tra Congo belga e Nigeria, il colonialismo sempre (ancor oggi) si basa sulla prostrazione feroce, indotta con violenza dall’intenso sfruttamento materiale e da una (ancor più) deleteria educazione morale.
“L’Alhaji”:una storia su una Nigeria da tempo preda del nuovo colonialismo.
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