Italo Calvino e la sua grande lezione sull’immaginazione
Come non citare Calvino? Sicuramente non sarà tra i “dimenticati”, ma è sempre bene ricordare quanto di buono possa regalare un libro (o una serie di libri) di un grandissimo autore che ha tanto da insegnare in quanto a fantasia, strutturazione narrativa e punteggiatura.
Italo Calvino nasce a Santiago de Las Vegas, nell’isola di Cuba, nel 1923; i suoi genitori, botanici italiani, si trovavano oltreoceano per motivi di lavoro (il padre dirigeva una stazione sperimentale di colture). Trascorre la sua fanciullezza in Italia, a San Remo, dove impara ad amare il paesaggio ligure che farà da sfondo a molte sue opere. Durante la Seconda Guerra Mondiale partecipa, insieme a suo fratello, alla guerra partigiana in Liguria. Dopo il conflitto si laurea a Torino e viene assunto dalla casa editrice Einaudi, qui lavora con Cesare Pavese ed Elio Vittorini.
Le sue prime opere letterarie si lasciano ispirare alla Resistenza, tra tutti Il sentiero dei nidi di ragno (1947) e i racconti Ultimo venne il corvo (1949). Dopo il matrimonio si trasferisce a Parigi, torna in Italia e mentre prepara una serie di lezioni da presentare all’università di Harvard, negli Stati Uniti, viene colto da malore. Muore a Siena nel settembre 1985.
La scrittura di Calvino è estremamente innovativa e originale. Le sue opere giovanili traggono ispirazione dalla realtà, ma i fatti vengono riletti in chiave fiabesca o fantastica: propongono al lettore diversi punti di vista. Sfumature intense di una stessa visione. La grande protagonista della penna di Calvino rimane l’immaginazione, accompagnata dal surrealismo e dal fantastico. Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957), Il cavaliere inesistente (1959), Marcovaldo ovvero le stagioni in città (1963) e Le cosmicomiche (1965) e Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979) sono alcune tra le sue più celebri opere.
La rilettura di Marcovaldo ci catapulta in un mondo lontano eppure molto simile ai giorni nostri. Composto nell’arco di dieci anni, tra il 1952 e 1963, il libro raccoglie venti novelle dedicate alle stagioni; il ciclo delle quattro stagioni si ripete nel libro per cinque volte. Tutte le novelle hanno come protagonista Marcovaldo, un uomo dall’animo semplice, un padre di famiglia descritto come un “candido eroe povero”.
La storia di Marcovaldo è una sorta di favola moderna: il protagonista tenta di guadagnare più soldi e assiste all’evoluzione di un’Italia, da povera a consumistica. Nella letteratura calviniana entra la pubblicità, la frenesia del consumo e i rapporti d’interesse mascherati da rapporti umani. Calvino però si cela dietro al gioco: la sua non è una critica ma una semplice illusione. Calvino ci insegna – molto più di altri, meglio di altri – che la scrittura, l’illusione, la creazione della finzione letteraria non è altro che un modo per esorcizzare la paura. Le tante angosce vengono analizzate, scandagliate, smontate attraverso l’occhio ironico, leggero ma mai superficiale. La scrittura calviniana diventa, quindi, una sorta di volo pindarico nella natura – umana e non – e le sue ancestrali dinamiche.