Caetano Veloso, uomo anima e voce del Brasile

Caetano VelosoGiulio Gasperini
AOSTA – Le passioni sono inspiegabili. Nascono, spesso volte, per un dettaglio, per una casualità, per un capriccio del caso. E poi diventano grandi, si alimentano, crescono senza che si possa fare molto, se non abbandonarsi e assecondandole. Igiaba Scego, scrittrice e giornalista che a tutt’altri argomenti aveva abituato il lettore, affronta una delle sue passioni – il ritratto della stella della musica brasiliana (e di Bahia, terra la più africana di tutto il Sud America) per eccellenza – in un libro edito da Add Editore: Caetano Veloso. Camminando controvento.
Da subito, il ritratto di Veloso firmato da Igiaba è un omaggio, un regalo, un’attestazione d’amore. Igiaba ne racconta la storia, affronta le tappe sia politiche che sociali e musicali della vita di Veloso, ma lo fa – chiaramente, senza nasconderlo e, anzi, trasformandolo in un merito peculiare – con il trasporto personale della fan, con l’emozione di ricordare momenti della sua vita incorniciati dalla musica del musicista bahiano, con lo sguardo soggettivo di una donna amante.  Continua

“Il maestro dentro”: la scuola anche in carcere, nonostante tutto.

Il maestro dentroGiulio Gasperini
AOSTA – Ci sono mestieri che sono piuttosto vocazioni. E ci sono mestieri che non si è mai pensato di poter fare, ma che poi diventano il migliore dei possibili orizzonti. Questo secondo caso è un po’ quello capitato a Mario Tagliani, ritrovatosi a fare l’insegnante un po’ per caso e finito, ancora più per caso, a fare il maestro nel Ferrante Aporti, il carcere minorile di Torino. Trent’anni di insegnamento in una situazione non convenzionale sono raccontati in “Il maestro dentro”, appena uscito per Add Editore. Un diario, ma ancora di più un lungo memoriale di incontri, scoperte, disagi, dolori, attese e sorprese che non sarebbero potuti accadere in nessun’altra parte se non là, all’interno di quel carcere.
Ma nelle pagine di Tagliani si ripercorre velocemente anche la storia degli ultimi trent’anni di Italia, in una prospettiva sociologica particolare e interessante: i cambiamenti della società italica visti attraverso i cambiamenti del carcere. Perché è innegabile che il rapporto sia stretto, e che si alimenti a vicenda. Si comincia coi primi anni, quelli nei quali le celle straripavano di ragazzini meridionali: napoletani, calabresi, siciliani. Finiti al Nord per colpa di una migrazione interna, mai adattatisi alle regole e al modo di vivere così distante dal loro. Ma poi l’Italia cambia: orizzonte di migrazioni internazionali. Prima gli albanesi, poi cittadini del Nord Africa che decidono di attraversare lo stretto braccio di mare per una terra che sembrava il paradiso ma che, in realtà, molto spesso fu gabbia e prigione. E così anche le classi del Ferrante cambiano: serve una nuova scuola, servono lezioni che insegnino spesso i rudimenti dell’italiano, servono confronti che aprano a una prospettiva interculturale, innalzando i livelli di difficoltà e incomprensioni ma anche potenziando le scoperte inattese. Ma cambiano anche i secondini, le guardie, i direttori. E cambia anche il Ferrante stesso: sparisce il campetto di erba vera e ne compare uno di erba sintetica, sparisce l’entrata maestosa del palazzo storico e ne compare una grande come la porta di uno sgabuzzino.
La scuola può essere declinata secondo modalità diversissime. Si può fare scuola esulando da libri e tabelline, da compiti e cartine mute. Si può fare scuola educando al confronto, nutrendo idee, proponendo impulsi e scatenando reazioni. Si può fare scuola anche solo organizzando partite di calcio, dipingendo, raccontando, smettendo di guardare fuori da una finestra sbarrata per posare gli occhi sui compagni e cominciare a interagire nelle tante spigolosità di carattere e pensieri. Non sempre la scuola riesce nel suo intento, ma non per questo si può rinunciare, si deve disertare un ruolo che, quando amato e portato avanti con passione, diventa un gioco. Ancora di più in un carcere, che dovrebbe essere un luogo di riabilitazione, “un luogo di sosta, di passaggio per chi ha sbagliato, luogo ideato per permettere di ripensare all’errore commesso: si deve allora superare la colpa per arrivare alla responsabilità”. La stessa responsabilità che dovrebbe aver lo Stato nel permettere che un carcere del genere possa effettivamente affermarsi.

Le tante novità al Salone del Libro (evitando i muraglioni).

Salone del Libro di TorinoGiulio Gasperini
TORINO – Anche quest’anno ChronicaLibri ha esplorato per voi i padiglioni del Salone del Libro di Torino alla ricerca delle ultime novità editoriali. Passeggiando tra gli stand ci siamo meravigliati di alcuni aspetti e ci siamo stupiti di altri, notando come i grandi gruppi editoriali avessero negozi (e non stand) con alti muraglioni di vetro e luci diafane e commessi più che librai mentre i piccoli editori stringessero le mani ai visitatori e amassero parlare di ogni singola loro creazione come se fosse effettivamente un figlio. Passeggiando e guardando, passeggiando e annotando, siamo tornati a visitare amici di sempre, che ci hanno illustrato le loro ultime novità.
Add Editore presenta “Il maestro dentro” di Mario Tagliani, il diario della trentennale esperienza come maestro tra i banchi di un carcere minorile, e “Musica nel buio” di Cesare Picco, la storia di un pianista che suona nel buio più completo, per scelta, nella performance “Blind Date – Concert in the Dark”.
Gli amici toscani di Ouverture Edizioni, invece, presentavano al Salone del Libro due testi: il semplice ma gustosissimo ricettario “Vegano alla mano” coi i due autori, Arianna Mereu e Vieri Piccini, e “Alcune strade per Cuba” con l’autore Alessandro Zarlatti, una ricca collezione di racconti che raccontano i suoni, i colori, gli odori di una terra in profonda trasformazione.
Dopo il successo di “Oltre il vasto oceano” di Beatrice Monroy, in corsa al Premio Strega 2014, Avagliano Editore propone “Casa di carne” di Francesca Bonafini, la storia di una crescita che corre tra quattro città: Trieste, Brest, Rio de Janeiro, Lisbona.
Gli amici di Elèuthera ci hanno presentato il nuovo saggio di Marco Aime, “Etnografia del quotidiano”, uno sguardo antropologico sull’Italia che cambia, che ha ottenuto un grandissimo successo anche al Salone del Libro.
La Giuntina, invece, presentava due testi: il primo, “Idromania”, di Assaf Gavron, un’inaspettata sorta di thriller fantascientifico sulle guerre che la carenza d’acqua scatenerà nel mondo; il secondo, di un’autrice di punta come Lizzie Doron, “L’inizio di qualcosa di bello”. Spostandoci in oriente, invece, la ObarraO Edizioni aveva portato al Salone due testi della collana In-Asia: “Il mondo dei fiori e dei salici” di Masuda Sayo, l’autobiografia di una geisha, e “Fuga sulla luna” del cinese Lu Xun.
Anche quest’anno, un Salone ricco di sorprese e di buonissimi testi. Evitando i muraglioni e le vetrine troppo accese.

“Cinque cerchi e una stella”, dai lager alle Olimpiadi.

Giulio Gasperini
AOSTA – Lo scatto, per altro molto sfocato, del guerrigliero incappucciato sul terrazzino della palazzina numero 31 del villaggio olimpico è una delle fotografie più rappresentative dell’oramai remoto XX secolo. Erano le Olimpiadi di Monaco 1972, e in quella palazzina, che ospitava la squadra di Israele, dormiva e viveva anche Shaul Ladany, non più giovane atleta e brillante professore dell’Università di Tel Aviv. Shaul Ladany era un marciatore, un amante delle lunghe distanze, quelle che ti spezzano le gambe, ti fanno impazzire i muscoli e ti straziano il respiro. Lo sport che Andrea Schiavon racconta in “Cinque cerchi e una stella”, edito dalla torinese Add Editore nel 2012, è ben lontano dalle moderne pagine scandalistiche di doping e muscoli chimicamente pompati. È uno sport di passione, di amore, di sacrificio e incrollabile fede.
Perché Shaul Ladany riuscì a gareggiare prima di tutto vincendo i pregiudizi, i commenti avversi, l’ostilità della stessa federazione nazionale israeliana, che per anni lo fece gareggiare senza neppure una divisa: e lui, con una biro azzurra, prese a colorarsi il nome Israel su una maglia bianca, per poter dire di avere comunque una patria per la quale battersi e arrivare al traguardo finale.
Fu probabilmente una coincidenza che impedì a Shaul di trovarsi tra gli ostaggi dei fedayn di Settembre Nero, durante le Olimpiadi di Monaco: la storia testimonia una carneficina, all’aeroporto, con otto atleti morti, quattro fedayn, un poliziotto e un elicotterista. Ma Shaul è un uomo fortunato, dopotutto. Sopravvisse anche alla follia dei lager, alle camere a gas, alla metodica distruzione perpetrata a Bergen-Belsen. Si salvò spesso, Shaul. Altre volte parve persino sfidare la sua fortuna in maniera fin troppo sfacciata: come quando, nonostante il parere assolutamente contrario della sua federazione, che sotto la minaccia di rapimenti e attentati non faceva gareggiare all’estero i suoi atleti, Shaul decise di partecipare alla “Cento” di Lugano, sempre con la sua maglia dipinta a mano. Vinse, ma Israele fu severo, lo denunciò alla giustizia sportiva: sorte ingenerosa che spetta ai tanti che si ribellano alle decisione imposte e che hanno il coraggio di battersi per non lasciarsi definire – o soffocare – dai limiti.
La vita di Shaul prosegue in direzioni che parrebbero contrastanti, ma che lo gratificarono in egual modo: affiancato dalla moglie, sempre presente al suo fianco, e dividendosi non solo tra tante nazioni ma anche tra continenti, il sogno di Shaul è rincorso e sorpassato. La sua storia ha trovato compimento e dimostra, in maniera non banale né sentimentale, come la sofferenza possa anche esser sublimata e tramutata in altro.
Perché Shaul è una figura che commuove, un modello per la sua dedizione allo sport, per questa sua passione incrollabile e incontrollabile: ancora nel 2006, a settant’anni, Laudany corre, deciso e sicuro, per 21 ore, 45 minuti. E 34 secondi.

“La musica è esaurita, Nasce la >>beat regeneration” di Lorange SadBaars

Luigi Scarcelli
PARMA
– La musica è una risorsa. Una risorsa che, come altre, la nostra generazione ha ereditato in via di esaurimento. Come rimediare? A fronte della scarsità delle risorse energetiche sta crescendo uno spirito collettivo orientato al risparmio, al rinnovabile, al riciclo; perché non applicare lo stesso concetto alla musica? Questo è il tema affrontato da Lorange Sadbaars nel libro “La musica è esaurita, Nasce la >>beat regeneration”, pubblicato da poche settimane da Add Editore.

Il libro racconta di Alex Sodo, un visionario che resosi conto della fine imminente – o forse già avvenuta – della musica tenta di salvarne l’anima dandole una nuova ed eterna forma.
Il libro è più di un semplice racconto, in quanto parla di una nuova forma musicale realmente in via di sperimentazione, come dimostra il sito www.plugger.dj e la mostra Re-generation recentemente ospitata al museo MACRO di Roma; racchiude una idea radicale che si manifesta nello stile narrativo del libro reinventando e riciclando testi, slogan, parole e simboli, cercando di inventare una forma unica. Sicuramente questo libro tocca un tema generazionale che va oltre la musica e la postfazione del libro, curata da Luca de Gennaro, spiega come negli ultimi anni sia cambiato il concetto di e gli strumenti per creare e fruire di questa forma d’arte.

La musica è sempre stata espressione dei propri tempi. La beat generation ha vissuto i fasti di un’epoca di grande evoluzione, in cui tutte le tradizioni e gli schemi passati sembravano sgretolarsi. La nostra, vive una specie di empasse forse dettato dalla decadenza – intellettuale e ormai anche materiale – del sistema stesso che aveva dato vita alla beat generation, e vive il paradosso di essere la generazione ad avere la maggiore tipologia di strumenti (acustici, analogici, digitali…), senza riuscire a inventare un linguaggio proprio, come schiacciata dal peso di una eredità troppo grossa. Non sappiamo quanto sia realmente innovativa l’idea proposta dal libro, “riciclare” questa eredità dandone forme nuove.
Lo lasciamo decidere al lettore; ma qualche considerazione comunque va fatta. Alex Sodo, il visionario che dovrebbe dare nuovi schemi alla musica sa molto di hippie in salsa moderna, tutto sommato un nostalgico della beat generation.
E se è vero che le note sono sempre le stesse 7 (anzi dodici) e quindi sia Mozart che Hendrix hanno suonato la stessa musica, sarà anche vero che per scrivere qualcosa di nuovo bisogna partire da un “foglio” bianco?

Un libro da leggere tutto di un fiato e magari con un sottofondo musicale.