“I dannati della metropoli”: migranti tra lecito e illecito.

I dannati della metropoliGiulio Gasperini
AOSTA – La legge sull’immigrazione italiana è una legge che, inevitabilmente, “costringe” i migranti a muoversi dai territori della legalità a quelli opposti dell’illegalità. E l’illegalità può portare con sé, inevitabilmente, l’esigenza di delinquere, anche solo per la semplice sopravvivenza. Sono molti i migranti che decidono di sottomettersi a contemporanee forme di schiavitù e sfruttamento, pur di non intraprendere percorsi criminali, ma ci sono anche coloro che si ribellano, cercando di affrancarsi a queste forme di razzismo istituzionalizzato. Andrea Staid, storico e antropologo, ha pubblicato per Milieu Edizioni, “I dannati della metropoli. Etnografie dei migranti ai confini della legalità” (2014), volume che in un certo senso fa da pendant al precedente “Le nostre braccia”.
In “I dannati della metropoli”, dopo aver ben descritto e motivato la sua metodologia di ricerca, che si basa sull’osservazione partecipante, teorizzata per la prima volta dall’antropologo Malinowski, Staid si pone come obiettivo quello di esaminare e analizzare “i nessi tra strutture generali di potere e forme di soggettività, capire come e perché si sceglie di delinquere e di ribellarsi ai soprusi quotidiani”. E per questo fine, decide di dare voce, direttamente, ai migranti (di ogni provenienza e di ogni destinazione) che si trovano a vivere, concretamente, sulla loro pelle, le difficoltà che comporta non avere o dover continuamente rinnovare un titolo di soggiorno, ma anche a chi cerca di districarsi nelle quotidiane problematicità di un lavoro, di un affitto da pagare, di una famiglia da mantenere. Le interviste non strutturate che Staid ci offre nel testo, come materiale primario da cui trarre poi considerazioni e valutazioni, sono potenti di vita, pulsanti di esigenze e bisogni reali, concreti, crudi. Non ci sono filtri, non ci sono mediazioni. C’è la vita; e basta. Quella alla quale non si pensa mai, perché comporterebbe un’indolente ammissione di colpa, la presa di consapevolezza di una soffocante omertà.
L’analisi della realtà italiana si scompone in cinque percorsi: si parte con la narrazione di storie relative ai viaggi, quelli famosi attraverso il Sahara, ma anche di meno noti e giornalisticamente gettonati; poi si prosegue con il capitolo dolorosissimo sui CIE, i Centri di Identificazione ed Espulsione, e sulle moderne forme di lager istituzionali, di cui la penisola è disseminata; ci si avventura, poi, nell’analisi della realtà carceraria italiana e i motivi dell’alta presenza di stranieri nei penitenziari italiani. L’ultimo capitolo, invece, rappresenta un curioso e stimolante racconto dell’esperienza di Staid all’interno di Bligny 42, un palazzo milanese a lungo ribattezzato “il fortino della droga” ma che è, invece, piuttosto un “condominio mondo”, traboccante di umanità e di storie “migranti”, di quotidianità partecipate. Un meticciato che è ricchezza, potenza, suono e colore. Che consente infinite possibilità di ricerca e offre altrettante potenzialità di risposte per un futuro che sia più conciliante e lungimirante.