Lee Child: “Non sfidarmi”, ventunesimo romanzo nella serie di Jack Reacher

Daniela Distefano
CATANIA“Si aspettano che faccia un tentativo in tal senso, prima che il caso rimanga irrisolto. E francamente è quello che voglio fare il prima possibile”.
“Perché?”
“Be’, tanto per cominciare perché ci stiamo dedicando troppo tempo.”
“Per essere una prostituta?”
“In ultima analisi, direi di sì. Ma è dovuto solo all’amara esperienza e ai dati. La maggior parte degli omicidi di prostitute è commessa da gente di passaggio. E’ un dato di fatto. Quell’uomo sarà già in mezzo all’Atlantico, ne sono sicuro, ben felice d’essersela cavata”.
Parole tratte dall’ultimo romanzo di Lee Child, Non sfidarmi (Longanesi). L’edizione originale di questo adrenalinico romanzo risale al 2016 con il titolo “Night School”. Ora è Italia nella collana La Gaja Scienza con la traduzione di Adria Tissoni.

Non sfidarmi è il ventunesimo romanzo nella serie di Jack Reacher. Al centro del plot, ovviamente, questo protagonista che da anni calamita i sensi dei lettori, “un moderno cavaliere errante” – come lo ha definito qualcuno che sa esercitare la critica più della sottoscritta. Continua

“Fai bei sogni”, un attimo prima di chiudere gli occhi

Fai bei sogniDalila Sansone
AREZZO – Leggiamo di tutto e in quello che leggiamo riflettiamo ciò che siamo, o ci proviamo. Può darsi che ci si costruisca nella lettura o che invece sia lei a costruire qualcosa si noi. Io credo che al di là dell’identità più o meno forte della pila di libri sul comodino o dei volumi sparsi in un qualche angolo di casa, esistano libri per tutti, meglio libri di tutti. “Fai bei sogni” di Massimo Gramellini (Longanesi, 2012) è uno di quei libri di tutti, perché tutti siamo andati a letto almeno una volta, sempre o quasi, da bambini muovendo i passi dietro la frase ”sogni doro” o “dolci sogni”, accompagnati dal gesto di qualcuno che ci ha amati. O avremmo voluto farlo.
Gramellini mantiene il suo stile, asciutto, ironico soprattutto dove è il cuore che fa male più che la logica a fare difetto. La storia è la sua, personale e privata, la perdita della madre della cui assenza è stata intrisa tutta una esistenza di alibi e fughe da sé stesso, per compensare un vuoto incolmabile e non accettare mai la responsabilità delle proprie paure. Il racconto di una mezza verità che alla fine dei fatti è stato l’atto di amore più grande, che come nella migliore tradizione dell’amore, quello vero, non ha bisogno di farsi conoscere ed è lì, sostiene nell’ombra e sopporta di non essere riconosciuto: non è questo quello che conta!
È dolce, molto dolce, la voce del bambino che compare tra le righe scritte dall’adulto, che tra una manciata di frasi e un inciso, lascia sia quell’altro che era lui a dettare il ritmo…quello delle emozioni e del senso, che non c’era pur essendoci sempre stato.
A questo libro, che si legge d’un fiato e assorbe poche ore dello scorrere della vita di un lettore qualunque, va riconosciuto il merito di parlare a una qualche emozione propria, che può essere stata simile o diametralmente opposta eppure ricordarla, perché nella semplicità e nella profonda complessità di un’esistenza c’è, esiste e dirompe qualcosa di assolutamente universale. Qualcuno la definirà empatia, io preferisco non darle nomi e identificarla con quanto riesce a sciogliersi dentro, quando gli occhi si fermano su una frase, ci ritornano e la sua eco in qualche modo rimane. E se un autore ci riesce, in fondo, è come ci avesse regalato tutto il carico di promesse che si apre nel cuore a sentirsi dire: “fai bei sogni”, un attimo prima di chiudere gli occhi e ritornare a noi stessi. Indefinibile.