Tre strade per la scuola, un tragitto di crescita ed evasione
Giulia Siena
PARMA – Tre strade per la scuola. Vendetta tardiva è il romanzo che Ernst Jünger (1895-1998) scrisse alla soglia dei novant’anni, dopo aver attraversato il Novecento come filosofo e scrittore di guerra. I ricordi di una Germania lontana e di un sistema scolastico fatto di insegnanti dalle lunghe barbe e di lezioni da imparare a memoria (poiché “la ripetizione è la madre dell’istruzione”) si intrecciano alle curiose stranezze di Wolfram. Per Wolfram, giovane di ottima famiglia, il lato più attraente della scuola è la strada che percorre per arrivarci fin da quando, a sei anni, compie il tragitto in compagnia del nonno. Quest’ultimo, insegnante, sarà una guida assorta e severa che lo condurrà per itinerari fisici e teorici. La strada diventa, con il tempo, un mondo a sé nel quale – e attraverso il quale – il giovane ragazzo cresce, cambia e affina la propria sensibilità.
Il libro, pubblicato da Guanda nel 2007 e diventato un “classico” tra i romanzi di formazione, è diviso in tre parti: tre strade che in tre diversi periodo portarono il protagonista all’evasione. La natura lungo il percorso, i pesci del lago e le piante che crescono rigogliose ai bordi di esso, sono un’ottima divagazione rispetto alle noiose e ripetitive ore scolastiche. L’ambiente scolastico, infatti, è per l’inquieto e sognante Wolfram, un luogo di staticità e pregiudizi: a causa delle sue esplorazioni lungo il percorso verso la scuola arriva sempre in ritardo e gli insegnanti sono prevenuti nei suoi confronti. Ogni sua possibile “ribellione” si infrange contro la staticità di questo mondo. Allora Wolfram, oltre che nella natura, si rifugia nella lettura; i suoi eroi sono Socrate, Robinson Crusoe, Winnetou, Old Shatterhand, Achille che emergono dalle pagine per condurlo nel tragitto. Ma il giudizio, il peso del sistema scolastico, gravitano sul ragazzo: le balbuzie prima e lo stato di fissazione, le “absences”, poi, costringono la famiglia a portarlo in cura dal dottor Edelstein. E se fosse semplicemente una forma di fuga, un modo per ribellarsi a tutto ciò da cui viene rifiutato? Jünger trova nelle fantasticherie di Wolfram l’antico e mai indomito senso di evasione, quella necessità di resistenza che emerse forte nella sua persona. Tre strade per la scuola diventa, sul finire della vita dell’autore tedesco, tramite e strumento di critica alla società, un sistema incapace di comprendere le peculiarità dell’individuo. Un individuo che in questo romanzo – così come in altri scritti di Jünger – non rinnega sé stesso, il proprio essere. Individuo che è emblema di coraggio, ogni oltre etichetta, a discapito di ogni conseguenza.
Ernst Jünger (Heidelberg, 1895 – Wilflingen, 1998)
Studiò filosofia e scienze naturali all’università di Lipsia e poi a quella di Napoli. Partecipò alla prima guerra mondiale e rimase nell’esercito fino al 1923. L’esperienza di guerra venne descritta da Ernst in diverse opere che gli permisero di diventare un importante testimone del Novecento; in questi scritti esaltò la lotta e ogni prova di forza dell’uomo professando un “eroico nichilismo”. Fino al 1933 fu in contatto con circoli rivoluzionari d’ispirazione nazionalistica, ma all’avvento del nazismo si tenne in disparte; criticò la democrazia della Repubblica di Weimar non appoggiando comunque il regime (anti-nazismo allegorico). Dopo la seconda guerra mondiale venne tuttavia accusato di connivenza con esso. Il secondo conflitto rappresentò Jünger un momento di svolta: Der Friede è il suo messaggio-appello alla pace indirizzato “alla gioventù d’Europa, alla gioventù del mondo”. Intellettuale tra i più discussi del XX secolo, Jünger è noto anche per i suoi comportamenti anti convenzionali tra cui la sperimentazione dell’LSD.
Certo sarebbe stato bello se non ci fosse stato altro che la strada, ma c’era la scuola a proiettarvi la sua ombra. E l’ombra era andata facendosi sempre più scura, perché Wolfram era un disastro; quella strada per la scuola era già la terza per lui… Siccome le scuole si trovavano lontane l’una dall’altra, ogni volta bisognava imparare una strada diversa; la prima passava per un ponte, le altre due sul lungolago cittadino. E così era facile perdersi, soprattutto perché non tanto al lago il ragazzo prestava attenzione, quanto piuttosto agli uccelli che vi nuotavano o che riposavano sulla riva al sole del mattino. Questa, in primavera, era orlata di gigli palustri, e in autunno delle spighe dei canneti. Dal ponte si potevano guardare le carpe che, grasse, agitavano le pinne indolenti.