Casi letterari: “Donne che comprano fiori”, donne che comprano e basta

Marilena Giulianetti
ROMA – Ci sono libri che ti entrano dentro. Ti leggono l’anima pagina dopo pagina, quelli che – citando Il giovane Holden“mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”.
E poi ci sono libri che leggi e ti chiedi perché.
Le vacanze, il gran caldo, l’ombrellone sopra la testa e in sottofondo il rumore del mare… tutto contribuisce alla scelta di narrativa leggera. Questo potrebbe essere almeno una delle spiegazioni al perché di cui sopra. Resta il fatto che per quanto leggera la narrativa dovrebbe essere di qualità e avere comunque sempre un senso. Appare quindi difficile dare una spiegazione a Donne che comprano fiori di Vanessa Montfort, edito da Feltrinelli e preannunciato nuovo best seller venuto da lontano (neanche tanto, Madrid) pronto ad infiammare i cuori delle lettrici italiane.

Inizio a leggere animata da buone intenzioni, comunque consapevole della probabile “leggerezza” insita nell’operazione. Nonostante tutto, al termine dell’opera la delusione è cocente come il sole di questa estate che ci siamo lasciati alle spalle.
Gli stereotipi femminili piatti e banali contraddistinguono le sei donne protagoniste della storia, anche questa sorprendentemente piatta e priva di guizzi. L’autrice racconta un universo femminile incredibilmente lontano dalle acclarate conquiste civili del nostro quotidiano. Un universo ancorato ad atmosfere improbabili e stantie con figlie – in tutti i sei casi – cresciute da genitori che scientificamente ne hanno distrutto l’ autostima per renderle succubi di una pubblica morale paralizzata agli anni Cinquanta. In poche parole: future donne incapaci di vivere la vita a modo loro.
Ecco quindi la carrellata di cliché prigioniere di loro stesse: Marina, giovane vedova in cerca di riscatto dall’austero e pure fedigrafo marito recentemente scomparso, Casandra la bellissima super donna tutta lavoro e niente vita privata ancorata ad un uomo che la usa a suo piacimento, c’è poi la tristemente sposata con figli Victoria, ingabbiata in un menage infelicissimo, la sensuale Galatea che salta da un’avventura all’altra incapace di legarsi a vero amore dopo la prima tragica scottatura, e poi l’inibita Aurora in cerca di un uomo qualunque – anche ignorante, anche parassita, anche traditore – pur di non rimanere sola. Infine c’è lei, Olivia, l’anziana mentore di questo microcosmo femminile formato da donne mosaico, costruito con poche sfumature messe insieme con poca creatività.
La banalità e la piattezza di personaggi e narrazione spadroneggiano per tutto il dipanarsi della storia provocando una sensazione generale di enorme delusione (per il lettore).
L’autrice si regala anche un cameo in alcun modo funzionale alla trama e all’atmosfera.
Tutte racconteranno la propria storia, tutte troveranno la forza di evolvere. La Montfort si sforza di donare ad ogni personaggio un’aura di quotidiana straordinarietà senza riuscirci e gli epiloghi che regala alle sue creature nella Spagna del 2017 non appaiono incredibili traguardi ma diritti civili sanciti da anni per legge.
Al diavolo la filmografia di Almodovar, al diavolo l’arte di Bigas Luna, al diavolo autrici come Lucía Etxebarría. Scordiamoci tanta arte che con così grande maestria ha raccontato pennellate sublimi di mondi variopinti con mille sfaccettature.
Scorrendo Donne che comprano fiori sembra non esserci stata evoluzione nella morale e nei diritti civili della Spagna dal secolo scorso ad oggi. La storia dell’anziana Olivia, che l’autrice depone come ghiotta ciliegina sull’altare del confronto tra ieri e oggi, appare anche questa banale ma sensata (calata negli anni della dittatura).
Peccato non lo sia il resto.

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