“Cronache da un mondo (im)possibile”: intervista a Frank Solitario. Ma davvero, come ti chiami?

intervista Frank SolitarioGiulia Siena
ROMA
–  “Cronache da un mondo (im)possibile” è un romanzo costruito su racconti ironici e a quasi paradossali, un libro nel quale confluiscono ironia, dolcezza e sguardo analitico. Dietro le “Cronache” c’è la penna di Frank Solitario, uno pseudonimo che cela un abile comunicatore/osservatore.
Appena lo incontro, non contenta del nome d’arte, gli chiedo curiosa il suo vero nome… nulla da fare, Frank rimane sul vago. Ma ho l’arma dell’intervista: non potrò scoprire il suo vero nome, ma tutto il resto sì!

 

“Cronache da un mondo (im)possibile” si apre con diversi racconti suddivisi in “venti stanze”, tu quale stanza preferisci?

La ventesima.
Dalle pagine emerge una dolcezza particolare. E’ così?
Si, è tutto così ironicamente e drammaticamente fuori posto in quel racconto (Un futuro remoto): l’editoria ottusa e miope, l’autore tronfio che pensa di fare capolavori d’avanguardia (io stesso), gli stupidi compromessi per diventare qualcuno che non sei.
Un racconto intenso è quello dei due manichini che si innamorano. Come è nato quel racconto, cosa ti ha spinto a dare vita a due esseri inanimati?
I manichini prendono il posto di uomini e donne che smettono di essere vivi poiché perdono la capacità di provare sentimenti. Ho sentito subito che alla deumanizzazione potesse fare da contraltare l’anima profonda e commovente degli oggetti inanimati.
Il tuo romanzo procede per figure, cioè tutti i racconti diventano “visibili” agli occhi del lettore.
Il mio è un approccio visivo; scrivo così come si gira un cortometraggio. Una volta che fisso l’immagine iniziale poi tutto si svolge indipendentemente da me. Quando tutto si è svolto è necessario dargli una forma narrativa, altrimenti non si ottiene qualcosa di significativo. La mia scrittura nasce dall’emotività e poi viene rivista, sviluppata in base al mio stile narrativo.
Quindi il senso fondamentale per te è?
E’ la vista. E’ fondamentale perché con la scrittura doni immagini, sei il regista di un film che il lettore riproduce secondo la sua sensibilità  leggendoti. Con la scrittura puoi far vedere quindi; rispetto alla cinematografia hai il vantaggio di lasciare decidere al lettore come immaginare quello che tu gli stai descrivendo.
Il racconto per me cruciale del tuo libro è quello in cui un vecchio nobile decaduto si alza tutti i giorni per aprire e chiudere a fatica le finestre delle sue venti stanze. Questo personaggio è la personificazione di un’attesa?
Questo personaggio è attesa e lotta. L’uomo nella sua vecchiaia, ormai stremato dalla vita, per me è un personaggio epico. Nonostante la consapevolezza della mancanza di senso dei suoi giorni, ogni mattina lotta con tutte le sue forze per conquistarlo un senso, è un eroe epico che non sa accettare l’ arrivo del buio.
Accanto a te in questo libro c’è stato il lavoro di consulenza di Veruska Armonioso, editor dell’Agenzia Letteraria Verba. Come avete lavorato e in cosa è cambiato “Cronache..” dopo il lavoro con la Armonioso?
Veruska è intervenuta sul testo solamente per perfezionare alcuni dettagli rispettando il mio stile. Credo che l’editing debba essere solo un lavoro di limatura senza snaturare il carattere dell’autore. L’editor è colui che serve anche a tirar fuori, a plasmare il carattere di un autore che ha già in sé molta forza espressiva. L’autore deve riconoscere la piena autorità dell’editor per tutto quanto non ha a che fare con il suo stile di scrittura. Struttura del manoscritto, copertina e molte altre cose che contribuiscono a rendere inattaccabile il tuo lavoro dal punto di vista formale. Veruska in “Cronache da un mondo (im)possibile” mi ha aiutato ad individuare un filo che intrecciasse tutti i racconti in un unico romanzo. Un procedimento fondamentale soprattutto in Italia dove c’è una diffidenza di fondo verso i racconti.
E qual è il fulcro del tuo romanzo?
La presa di coscienza del percorso dell’esistenza. Ogni personaggio affronta le tematiche fondamentali dell’esserci, in fasi della vita diverse. Rimango sempre più colpito dal modo in cui la gente percepisce la realtà. Le persone si lasciano coinvolgere molto di più dalle morbose immagini dei media, dalla fiction costruita intorno alle notizie che dalla propria vita. Vorrei far distogliere lo sguardo dalla realtà rappresentata in modo morboso e riportare l’attenzione su di una finzione narrativa che spera di essere talmente interessante da farci perdere prima e ritrovare poi.
Pretenzioso?
E’ solo il modo in cui si comunica verso l’esterno che può essere pretenzioso. L’ideale espressivo a cui aspiro è quello di comunicare con diversi strati di profondità a seconda dell’interpretazione del lettore, ma di arrivare in qualche modo a più persone possibile. 

Che cos’è la comunicazione per te?
E’ solo un mezzo a disposizione per veicolare un contenuto.
E’ fondamentale non ingannare il lettore come fanno alcuni critici letterari su stimati giornali; qualche giorno fa è stato dato voto 10 all’ultimo libro di Faletti; assegnare 8 sarebbe già stato uno sproposito, ma un 10 significa perdere ogni freno inibitorio.
Non oso pensare a quale voto si potrebbe dare ad una riedizione della Divina Commedia.
Come sei arrivato a pubblicare con Il Foglio Letterario?
Ho conosciuto l’editore, Gordiano Lupi, attraverso il suo libro “Nemici miei” e l’ ho subito amato. Mi sono detto: chi è questo pazzo che si presenta al mondo editoriale facendosi odiare da tutti? Devo conoscerlo.
“Cronache da un mondo (im)possibile” è il secondo libro che pubblico con questa casa editrice toscana dopo “Storie ai minimi termini”.
Loro partendo dalla gavetta sono riusciti a portare due libri in finale al Premio Strega. Speriamo nei detti popolari e nella cabala.
Le tre parole che lo scrittore Frank Solitario ama?
Niente, nulla e zero. Ma non le scrivo mai proprio perché le amo.
Perché, tendi a tutelare ciò che ami?
Oscillo tra due opposti inconciliabili: il Nulla e il Tutto. La scrittura è forse il mio punto d’ equilibrio.

“Cronache da un mondo (im)possibile”, la costruzione di una coscienza di vita

recensione chronicalibri cronache da un mondo (im)possibile_frank solitarioGiulia Siena
ROMA “Sta di fatto che molti capolavori della Letteratura, ma anche dei libri insignificanti o addirittura disgustosi, cominciano così – Tac! – senza nemmeno un preavviso.” Lui è Frank Solitario ma non chiedetegli il suo vero nome. Lui è l’autore di “Cronache da un mondo (im)possibile“, il volume che tra qualche giorno sarà in libreria pubblicato dalle Edizioni Il Foglio Letterario.

Dopo la raccolta di racconti “Storie ai minimi termini”, Frank Solitario torna sulla scena letteraria italiana con “Cronache da un mondo (im)possibile”, racconti che si intrecciano a formare un romanzo. Per questo lavoro Frank ha voluto accanto Veruska Armonioso, editor e scrittrice che ha curato – da cultrice della parola – la revisione del libro.
I protagonisti sono tanti e dalle caratteristiche più disparate; essi si dispongono in una immaginaria palazzina fatta di venti stanze divise per piani. L’ultimo piano è quello della solitudine: c’è uno scrittore che non riesce a esprimersi con verbi al presente o al futuro, il barbone, l’anziano principe, dei manichini, il ladro, lo scrittore poi qualcuno, un altro e nessuno. Tutti però – in momenti diversi della vita – si accorgono della propria esistenza come svegliandosi da un momentaneo assopimento. Si scoprono stanchi, distratti, innamorati o delusi, si ritrovano vecchi senza aver vissuto alcuna giovinezza. Il mondo (im)possibile disegnato da Frank Solitario ha le fondamenta nella realtà e le mura costituite dai mattoni delle scelte di ognuno, semplici o esagerate fino all’eccesso. La scrittura visiva e attenta dell’autore completa e cementifica la costruzione di un mondo (im)possibile.

“Non riesce a compiacersene del tutto. Ma la battaglia è vinta. Ancora. Il sole aveva attraversato, per un tempo ingiustificato o solo per pochi secondi, tutte quelle venti stanze.”

Storie di eco avvocati e delle loro battaglie legali in “Toghe verdi”

Silvia Notarangelo
ROMA – L’idea è sempre più diffusa. “Tutto va male”. Sì, è vero, tante cose vanno male, ma, per fortuna, c’è ancora chi non si arrende di fronte ad insopportabili prevaricazioni e invece di scegliere la via del silenzio intraprende quella più difficile, e talvolta più dolorosa, della ricerca di giustizia. La giornalista Stefania Divertito racconta, con lucidità e, a tratti, con il giusto sdegno, come si muovono e quali risultati stanno ottenendo alcune battaglie civili che vedono protagonisti l’ambiente e il suo degrado. “Toghe verdi”, appena pubblicato da Edizioni Ambiente, si apre con la controversa questione Tav che, simbolo di progresso e di innovazione per tanti, si è trasformata per gli abitanti della valle del Mugello in un’autentica sciagura. I lavori per l’adeguamento della linea ferroviaria hanno letteralmente stravolto la valle provocando la scomparsa dell’acqua da fiumi, torrenti e acquedotti. E non stiamo parlando di un fenomeno reversibile. L’acqua non c’è e non tornerà più.
Anche l’orografia della Capitale si è recentemente modificata grazie alla comparsa di un “ottavo colle”: si chiama Malagrotta ed è la discarica della città, una discarica che per anni ha esercitato senza le dovute autorizzazioni e che ora, sembra, forse, arrivata al suo ultimo atto. Ciò che colpisce di più, però, non è tanto la discarica in sé, seppur con le sue indiscutibili criticità, quanto quelle “attività collaterali” svolte in modo più o meno consapevole: l’illecito smaltimento di percolato, le acque industriali riversate nel Fosso di Santa Maria Nuova. La gravità di tali azioni è tale da far parlare di “reato permanente”.
E visto che casi simili non conoscono, purtroppo, distinzioni di latitudine, ecco che al nord quanto al sud, le battaglie legali si stanno moltiplicando e, finalmente, i primi risultati cominciano ad arrivare. Uno su tutti: nella cittadina calabrese di Praia gli operai della fabbrica Marlane hanno ottenuto il rinvio a giudizio di quattordici persone, tra amministratori ed ex dirigenti, accusate di omicidio colposo e disastro ambientale. Certo, il processo è ancora in corso e l’esito finale tutt’altro che scontato, ma almeno qualcosa inizia a muoversi.
Per questioni così delicate occorre, però, che l’interesse e l’attenzione dei media siano sempre mantenuti vigili. Eppure, frequentemente, si preferisce soprassedere, magari per superficialità, più spesso per paura di scontrarsi con interessi troppo grandi. Informare è un dovere ma anche un diritto. E sapere che ci sono cittadini, avvocati, giornalisti, associazioni, che insieme si battono per avere giustizia è motivo di speranza per tutti coloro che non hanno ancora smesso di indignarsi e di lottare.

Roberto Cavallo presenta il suo “Meno 100 chili”

Silvia Notarangelo
ROMA
– La sfida della sostenibilità non è un mistero. Nuovi modelli di produzione e di consumo, accompagnati da scelte più consapevoli, sono, da tempo, oggetto di riflessione. Roberto Cavallo, nel suo Meno 100 chili (Edizioni Ambiente), ipotizza come alleggerire la nostra pattumiera, affrontando il delicato tema ambientale con rigore e sensibilità, senza tralasciare alcuni pratici consigli per il lettore. ChronicaLibri lo ha intervistato:

 

Zona, molecolare, Dukan. Sono solo tre delle tantissime diete che ogni giorno promettono miracoli. Il regime alimentare che lei propone è, invece, privo di sacrifici per il palato. Si chiama “dieta della pattumiera”. Da dove nasce la sua attenzione per l’ambiente?
Già. Tra l’altro le diete che Lei cita, stanno vendendo un sacco! Spero che anche le mie diete riscuotano altrettanto successo (sorride ndr). C’è una cosa in comune tra le diete del palato e la dieta della pattumiera: tanto buon senso! Dire da dove nasce la mia attenzione per l’ambiente non glielo so dire. Forse è nata con me. Credo molto nell’imprinting e nella genetica: e allora credo che questa attenzione venga da mio nonno a cui ho dedicato il libro e mi sia stata trasmessa dalla gioia di vivere di mia madre e dalla cultura di mio padre.

 

Il libro è ispirato all’omonimo spettacolo teatrale di cui è autore e protagonista. Si trova più a suo agio sotto i riflettori di un palcoscenico o di fronte ad una pagina bianca? Perché la scelta di una trasposizione?
Mi piace comunicare. In ogni forma. Comunicare non significa però solo recitare o scrivere. Ma una volta finito lo spettacolo o la pagina condividerla e mettersi a disposizione ad ascoltare. Così nasce una nuova messa in scena più ricca e profonda o una nuova pagina.

 

“Compriamo cose che buttiamo”, afferma. Ed è, purtroppo, verissimo. La produzione di rifiuti è pericolosamente aumentata negli ultimi anni. La raccolta differenziata è un primo passo importante. Quali sono i comportamenti da promuovere ed incentivare?
In realtà il primo passo è proprio la prevenzione. Prima della raccolta differenziata. Il rifiuto che non c’è non va raccolto, non va trasportato, non va trattato. Occorre dunque che le autorità locali cerchino un dialogo con imprese e cittadini per ripensare le modalità produttive, distributive e di consumo. Nel libro provo a dare alcuni suggerimenti partendo dalle stanze della casa. Ma lo stesso esercizio lo si può fare partendo dal ciclo produttivo per un’impresa o dagli assessorati di un Comune. C’è un denominatore comune che rappresenta oggi un’ottima notizia: da qualunque punto si parta, lavorare sulla riduzione dei rifiuti fa risparmiare.
Difficile però fare sintesi, perché si tratta di un processo complesso e per questo merita un approccio complesso. Mi limito a dire che il comportamento da incentivare è la capacità di vedere con più punti di vista. Un Comune potrebbe promuovere la propria acqua pubblica garantendone una buona qualità organolettica al rubinetto o alle fontanelle, potrebbe adeguare il proprio piano regolatore prevedendo spazi adeguati per praticare il compostaggio domestico individuale o collettivo, adeguare il prelievo fiscale in proporzione al comportamento dei propri cittadini: chi produce di meno e differenzia di più deve pagare di meno.

 

Esempi ed esperienze positive, per fortuna, non mancano. Eco hotel, eco uffici, Comuni impegnati in progetti ambiziosi. C’è, secondo lei, un settore in cui si potrebbe fare ancora molto?
Penso che tutti i settori debbano proseguire sul cammino della sostenibilità.
Non credo ci sia un settore particolarmente in ritardo, ma all’interno di ogni comparto ci sono buone, anzi ottime, pratiche, la sfida è metterle a sistema.

 

La prima regola non scritta è “il buon senso”. Nel secondo capitolo ricorda e commenta la direttiva comunitaria del 2008, in materia di produzione e gestione dei rifiuti. Se avesse l’opportunità di partecipare alla redazione di un testo di legge, quali provvedimenti riterrebbe prioritari adottare?
Chiederei di definire obiettivi reali di riduzione attraverso piani regionali di prevenzione. Chiederei che in questi piani si definisca l’obiettivo di 400 kg per abitante all’anno di produzione complessiva di rifiuti urbani. Per raggiungere questo obiettivo occorrerà promuovere interventi urbanistici che permettano ai cittadini di vivere in città dove sia facile fare la spesa presso contadini che coltivano terra vicino alla città, vivere in città dove si possa fare il compostaggio domestico individuale e comunitario, vivere in città dove l’acqua del rubinetto è così buona che non ti viene in mente di comprare acqua in plastica, vivere in città dove se qualcosa non mi serve più sia semplice portarlo in un luogo dove qualcuno a cui quel bene serve ancora lo possa prendere senza che nel frattempo sia diventato un rifiuto.
Nel campo della differenziata chiederei di adeguare l’etichettatura in modo che quando ti trovi in mano un oggetto non hai nessun dubbio di dove buttarlo, limitando anche le materie utilizzate per produrre imballaggi e manufatti.
Sempre per la differenziata chiederei di omologare il colore dei contenitori in tutta Italia in modo che la plastica si butti sempre nello stesso colore da Bolzano a Palermo, così la carta o l’alluminio.
Infine chiederei l’applicazione del sistema fiscale proporzionale alla produzione e alla differenziazione dei propri rifiuti secondo il principio chi inquina paga, sia per le famiglie che, soprattutto, per le aziende.

 

Il Natale si avvicina. Può suggerirci qualche semplice accorgimento da adottare per le feste così da ridurre, o almeno contenere, l’impatto ambientale?
Due suggerimenti: quando state per scegliere un regalo cercate un servizio più che un oggetto, meglio un abbonamento al teatro o alla piscina che non una cravatta o un completo intimo. Se poi proprio dobbiamo scegliere un bene cerchiamone uno che duri tanto nel tempo, come per esempio un libro.
Il secondo suggerimento è che un regalo è bello per quel che contiene e non per come è impacchettato. Allora possiamo usare giornali già letti o carta recuperata da altri regali. Auguri di un Natale sostenibile.

“La Kryptonite nella borsa” il commovente romanzo di Ivan Cotroneo

Alessia Sità

ROMA – Sarà in libreria da mercoledì 19 Ottobre l’edizione tascabile de La Kryptonite nella borsa” di Ivan Cotroneo, pubblicato da Bompiani. Il romanzo ripercorre i drammi e le avventure di una famiglia scombinata della Napoli degli anni ’70. Dall’omonimo libro è stato tratto il film in concorso al Festival del Film di Roma, che segna anche il debutto alla regia di Ivan Cotroneo, a cui va il merito di aver saputo descrivere un mondo semplice e divertente in cui l’imprevedibile è sempre dietro l’angolo.


Peppino ha sette anni e vive in una famiglia un po’ scombinata. Quando la madre Rosaria va in depressione dopo avere scoperto 
che il marito la tradisce usando come alcova la Fiat 850 azzurro avion, Peppino viene adottato dai suoi zii ventenni che lo conducono in giro per la Swinging Naples, tra feste in scantinati, collettivi femministi, comunità greche che ballano in piazza, molte nudità, qualche acido e parecchio alcool. La nonna Carmela, sarta, cuce pantaloni a zampa d’elefante e accorcia minigonne, il nonno Pasqualealleva in casa una nidiata di pulcini che sottopone a torture d’amore, mentre Gennaro, che crede di essere Superman e va in giro con una mantellina rosa da parrucchiere, è ossessionato dalla kryptonite e cerca di fermare gli autobus in corsa verso piazza Municipio. È in questa strana famiglia che Peppino supera la sua linea d’ombra in versione psichedelica e impara a volare.
Dopo il realismo crudele di “Il re del mondo” e l’apoteosi romantica di “Cronaca di un disamore”, Ivan Cotroneo diverte e commuove con un romanzo che racconta i drammi, le avventure, e soprattutto il ridicolo di una famiglia speciale.


“Si o No? Questo è il problema”: il debutto letterario di Paolo Meneguzzi

Alessia Sità

ROMA “Si o No? Questo è il problema”: non è solo una domanda esistenziale che di solito ci poniamo prima di prendere decisioni che potrebbero cambiare completamente il nostro destino, ma è anche il titolo del libro di Paolo Meneguzzi, pubblicato qualche mese fa da Aliberti editoreNato per festeggiare quindici anni di carriera nel mondo della musica, il debutto letterario del cantante italiano è un romanzo autobiografico fatto sostanzialmente di valori importanti e di grandi emozioni, ognuna delle quali è profondamente legata ad una fase specifica della crescita del protagonista.

Giunto all’altare, il giovane Pablo è assalito da mille dubbi. Improvvisamente tutto quello che sembrava essere una certezza diventa un grosso punto interrogativo; anche sposare la donna che fino a pochi giorni prima sembrava essere quella giusta per l’eternità, diventa un problema non indifferente. Allora che fare? Che cosa seguire: cuore o ragione?
Partendo dai ricordi di infanzia, il protagonista ripercorre tutte le tappe che lo hanno portato al successo: dalle esperienze in Sudamerica a quelle in Europa, passando attraverso un insolito e bizzarro addio al celibato finito in modo alquanto discutibile.
In ogni attimo di vita vissuta non mancano amori, amici e canzoni.
Con uno stile semplice e anche divertente, Paolo Meneguzzi ricorda i momenti salienti della sua carriera e gli incontri che hanno lasciato un segno indelebile nella sua vita.
Si o No? Questo è il problema” è una sorta di “curriculum vitae sentimentale” che ha il potere di fare emergere sensazioni ed emozioni che, almeno una volta nella vita, tutti abbiamo provato.

Una serata che si tinge di "Rosa e Nero"

Marianna Abbate
ROMA – Un uomo un po’ annoiato dalla vita, non riesce a cancellare il ricordo della donna troppo bella che si è lasciato scappare. La segue fino in Brasile, per scoprire che dietro quella bellezza materiale si nasconde un’anima ancora migliore. 
E’ con questa storia rosa che inizia il romanzo, o meglio racconto lungo, di Giacomo Properzj, “Rosa e nero” edito da Mursia.

Ed è qui che la storia assume una tinta decisamente diversa, ma senza entrare mai nella dimensione del romanzo: il protagonista scopre che la donna che ha sempre amato è impegnata socialmente nell’aiuto dei bambini delle favelas. Colpito da questo atteggiamento, decide di fare qualcosa di utile della propria vita e partecipa ad un indagine ad alto rischio sui cosiddetti baby hunters, i cacciatori che vengono da tutto il mondo per godere perversamente dell’uccisione di un bambino.
Una storia che è anche una denuncia, raccontata come un reportage, senza tanti fronzoli e buonismo. Il protagonista non è un santo, le sue scelte non sono guidate dalla morale. 
E’ lo stesso uomo che instaura una relazione sessuale con la figlia minorenne della portinaia, ma poi accoglie in casa una prostituta terrorizzata. La corrente della vita lo trascina con sé, fino a travolgerlo. Le sue scelte influiscono sulla vita di chi lo circonda, ferendo alcuni e salvando altri. E forse i danni sono anche maggiori del guadagno.
Neorealismo pasoliniano che non permette di distinguere nettamente tra il buono e il cattivo, pur evidenziando chiaramente le differenze tra bene e male.
Ma nessuno sarà chiamato a proclamare l’ardua sentenza.