La nave di Teseo alla riscoperta del Novecento

“Appuntamento a Trieste”, la vivida scrittura di Scerbanenco

Daniela Distefano
CATANIA
Appuntamento a Trieste esce a puntate su “Novella” nell’estate del 1952, quando Giorgio Scerbanenco è in un felice momento professionale e personale. Nel 1945 è stato riassunto in Rizzoli (dove aveva cominciato nel 1934), come direttore di “Bella” e “Novella” e assiduo collaboratore di “Annabella”.
Appuntamento a Trieste (oggi edito da La nave di Teseo, con la prefazione di Cecilia Scerbanenco) si può definire un romanzo ben impiantato. Lo stile, la storia, i personaggi appartengono già alla produzione del dopoguerra, quella che lo porterà ai noir anni Sessanta. È diverso dalle opere di prima del conflitto, e anche dagli struggenti, autobiografici romanzi dei primi anni Quaranta.

Questo romanzo colpisce per la precisione con cui l’autore fa respirare l’atmosfera e la situazione politica e sociale in cui si trovavano la città e i suoi abitanti. Trieste è una città particolare, che ha subito un destino particolare. Qui, ancora nel 1952, era evidente per tutti che, in realtà, l’Italia aveva perso la guerra. La città è sotto il controllo del governo militare alleato, ma il confine orientale è a pochi chilometri e nella regione spie e soldati si fronteggiano in un grande gioco ad alta tensione. Un agente americano sotto copertura, Kirk Mesana, sta indagando su una cellula nemica quando viene gravemente ferito in un agguato. Per depistare i nemici, e salvargli la vita, viene diramata la falsa notizia della sua morte, mentre l’uomo viene nascosto nel più profondo anonimato. Diana, la bellissima ragazza triestina con cui Kirk aveva una relazione, è sconvolta dalla tragedia, ma una serie di fatti misteriosi insinua in lei il sospetto che la verità possa essere un’altra.

Inizia così una rapsodica avventura che vedrà i due amanti inseguirsi a perdifiato, mentre attorno a loro si scatena una lotta silenziosa di ricatti e tradimenti, e nessuno nelle vie di Trieste potrà più dirsi al sicuro. L’autore si tuffa tra le profondità di una società ancora convalescente; una coppia rappresenta il Bene circondato da spire maligne e oscure. In un crescendo di fughe e dolore, pathos e catarsi, l’amore è un piccolo aeromobile che sorvola ad alta quota avvenimenti più grandi, mefitici, che appannano i vetri della liberazione, della gioia, della pace sofferta.

Giorgio Scerbanenco

Scerbanenco (1911-1969), nato a Kiev, cresce a Roma ma ancora adolescente si stabilisce a Milano. Negli anni ’30 approda nell’editoria come collaboratore alla Rizzoli e in seguito come caporedattore dei periodici Mondadori. Scrittore prolifico, ha sperimentato tutti i generi della narrativa ed è riconosciuto come uno dei maestri del giallo italiano, consacrato dal successo della serie di romanzi con protagonista Duca Lamberti e dall’assegnazione del Grand Prix de littérature policière nel 1968.

“Il mare di Trieste. Dal finestrino del treno, lo si vedeva grande e azzurro. Era, alla prima impressione, soltanto un mare – adesso a Diana sembrava di ricordare le parole di Kirk – niente altro che un mare, che è grande e azzurro dappertutto. Poi c’era un momento, diceva Kirk, in cui uno scopriva che non era soltanto un mare: era una persona. Più in là, oltre Miramare, non era che un mare, ma lì, nel chiuso del golfo davanti alla città, era una persona, qualche cosa che aveva un’anima. Si poteva parlare col mare, diceva Kirk, e restava la sensazione di essere ascoltati. Anche questo le aveva fatto amare tanto Kirk: egli sentiva come lei, capiva come lei la sua città, e il mare, e la gente. E quando le aveva detto che quel mare era una persona, lei non si era stupita, lo aveva sempre sentito che era così, una persona, anche se non lo aveva chiaramente pensato. Ma ormai, rapido, il mare era scomparso dal riquadro del finestrino del treno e sarebbe tornato a tratti, ma non sarebbe stato più quel mare”.

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *