Daniele Petruccioli ci porta nelle viscere della città, lì dove muoiono i sogni
Giulia Siena – Roma è ancora assopita quando il protagonista di Sotto la città sorseggia il suo primo caffè alla finestra. La bocca è amara. Il peso sullo stomaco rimane. C’è anche forte la preoccupazione per le tante spese che deve affrontare anche questo mese, come ogni mese. E mentre la luce del giorno poco a poco si leva, l’uomo lava via dalla faccia i segni della notte quasi insonne. Si guarda attraverso i disegni del figlio, prende consapevolezza che non sia “né carne né pesce”, che non abbia i tratti definiti, che si trovi in un’età – oltre i quaranta – durante la quale non ci si può più definire “ragazzo”, ma non si è ancora abbastanza uomo. Non conta però solo l’età, il colore dei capelli, il modo di vestire. Contano anche le aspirazioni, i sogni, i progetti che sembrano essere finiti altrove, calpestati da quelle scarpe che all’improvviso si scoprono rotte, lasciati ad ammuffire in quello zaino a brandelli lasciato all’ingresso di casa, nascosti nei cassetti vicino alle dimenticate bollette da pagare.
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