Il cammino del diritto LGBTI in Italia

Il nostro viaggioGiulio Gasperini
AOSTA – Sono i giorni cruciali, per l’Italia, nei quali il Parlamento è chiamato ad approvare la legge Cirinnà che introduce, finalmente anche da noi, i diritti e i doveri delle coppie di fatto. Quello dei diritti, in particolare LGBTI, è un cammino che in Italia ha avuto sempre ritardi impressionanti, soprattutto in rapporto con le altre nazioni europee dove già dagli anni Novanta del secolo scorso si cominciò a parlare addirittura di matrimonio. Il nostro viaggio. Odissea nei diritti LGBTI in Italia di Matteo M. Winkler e Gabriele Strazio, edito da Mimesis Edizioni nella collana LGBTI, aiuta il lettore a fare un po’ di chiarezza su quali siano stati i tanti e complessi passaggi attraverso sentenze, tribunali, disegni di leggi abortiti, difficili trattative e accordi politici (a cominciare dai DICO della coppia Pollastrini-Bindi nel 2008), direttive dell’Unione Europea che hanno coinvolto le coppie italiane in tanti anni di guerre e legittime richieste.
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Saggio: “Dall’impolitico all’impersonale: conversazioni filosofiche”

ROMA“Dall’impolitico all’impersonale: conversazioni filosofiche” è il nuovo libro pubblicato da Mimesis Edizioni e scritto da Roberto Esposito. L’autore è uno dei pensatori che negli ultimi anni ha portato la filosofia italiana al centro dell’interesse internazionale. Questo libro, introdotto da un saggio ricostruttivo di Matías Saidel, riunisce quattordici conversazioni con l’autore tenute in otto Paesi diversi. In esse il filosofo percorre le differenti fasi della propria opera, in un dialogo serrato con l’attualità. A partire dalla prospettiva dell’impolitico, rivolta a decostruire le categorie politiche moderne, Esposito è pervenuto alla elaborazione di un pensiero sempre più originale. Inizialmente articolato nella dialettica tra comunità ed immunità, esso ha dato luogo ad una interpretazione della biopolitica particolarmente innovativa.

Nella sua fase più recente l’autore ha avviato una ricerca, ancora in corso, sul concetto di ‘impersonale’. Contro la tendenza immunitaria del Moderno, egli lavora alla costruzione di un lessico filosofico e politico capace di sfuggire alla piega teologico-politica in cui da tempo siamo presi per rendere pensabile una politica della vita.

“Gli occhi della lingua”, la lettura interna di Jaques Derrida

Silvia Notarangelo
ROMAJacques Derrida non ha certo bisogno di presentazioni. Francese, di formazione fenomenologica, deve la sua fortuna filosofica alla tematizzazione del decostruzionismo.

Nel 2011, a sette anni dalla sua scomparsa, Mimesis Edizioni ha pubblicato “Gli occhi della lingua”, un volume curato da Luigi Azzariti-Fumaroli, in cui il Derrida riflette su una lettera del 1926, indirizzata da Gershom Scholem a Franz Rosenzweig.
La sua è una “lettura interna” che si sforza di attenersi il più possibile al testo tralasciando eventuali contaminazioni, richiami o commenti personali.
Nella lettera Scholem manifesta tutta la propria inquietudine di fronte a ciò che ha identificato come un “male interiore” che sta progressivamente lacerando il sionismo. Si tratta della secolarizzazione, della modernizzazione della lingua ebraica, in parte legata alle necessità della comunicazione quotidiana. Un male che, secondo Scholem, porterà non solo alla perdita della lingua sacra, di una lingua per natura non concettuale, ma determinerà anche un suo “ritorno vendicatore”, destinato a colpire quanti l’hanno profanata. Perché se è vero che non si può evitare di parlare la lingua sacra, si può, però, parlarla nello “scostamento, nella distrazione, come dei sonnambuli sopra l’abisso”.
Il tono, di ispirazione apocalittica, non lascia però trapelare quale sia il vero atteggiamento di Scholem, se di paura o di speranza in un ritorno della voce di Dio attraverso una lingua pronta, in qualunque momento, a risvegliarsi.
Non meno contraddittoria, come osserva Derrida, è anche la sua posizione in merito alla secolarizzazione. L’attualizzazione della lingua sacra è, in realtà, impossibile, la secolarizzazione non è altro che una “façon de parler”, una fraseologia vuota, un mero artificio retorico. E allora, non esiste alcuna lingua cattiva che viene a corrompere una lingua sacra, ma una “non-lingua alla quale si sacrifica la lingua sacra”. Un sacrificio che, nel distruggerla, non potrà che manifestarla e salvarla.