Giulio Gasperini
ROMA – La questione su cosa sia la poesia e a cosa serva ha segnato l’evoluzione della poesia stessa. La parola poetica è sempre stata costretta, dalle origini del canto lirico e monodico, a portare avanti una doppia ricerca: su sé stessa, prima di tutto, e sulle sue potenzialità sempre rinnovate (e rinnovabili), ma anche sulle ragioni che giustificavano sé stessa. Sicché, esistendo, la parola poetica ha sempre dovuto fornire anche le ragioni della sua esistenza: un compito gravoso, inesauribile, e che, numerose volte, l’ha persino lasciata inerte. È ancor più impressionante, allora, che sia un poeta dalla giovane età ed esperienza ad aver di nuovo raccolto (e sviluppato) tale aspetto poetico. Il titolo della silloge di Luigi Imperato, pubblicata da Editrice Zona, è profetica e violentemente significativa: “Voce rauca di mare”.
La voce è rauca, o del tutto assente. E la voce è quella che narra le poesie, che le recita, che conferisce loro il significante. Per questo, paradossalmente, graffia ancora di più, ferisce e tramortisce come se fosse reale, concreta, e avesse una forza devastante. È una voce che denuncia la tragedia, l’idiozia, la meschinità dell’uomo e che non ha paura di additare i responsabili, i cospiratori, i venditori di dolore (perché oramai anche la sofferenza è business). “Dove anche il dolore | diventa ricordo”: ecco il luogo dove la poesia trova un suo senso più puro, più cristallino. Ed ecco, allora, che la poesia si fa compagna della partenza, del tentativo di dare un nuovo senso al mondo che ha perso il suo: “Sono pronto ad aspettarti. | Attendo l’esilio | per poter ricominciare”.
Il silenzio è altrettanto pieno di significanti e di significati, esattamente come se fosse popolato di parole; è la loro assenza che detta la sua metrica, la sua potenza evocativa e significativa: “Talvolta parla chiaro la lingua del silenzio”. Il poeta non ha un ruolo messianico, non è un profeta. È colui che nella fiumana del mondo sta immerso ma che ha il coraggio di rifiutare il baccano senza senso, il rumore assordante che non comunica nulla, e che ancor a meno serve: “l’udito è offeso | da suono indiscreto | che si fa presente, | non richiesto, | pretende ascolto | solo perché, | senza ragione, | emesso”. Come a dire che la capacità di emettere fonemi non ci autorizza ad abusarne, se li usiamo tanto per usarli. In un mondo di comunicazione ininterrotte e mai esauste, il silenzio diventa l’arma più potente per combattere un sistema che zoppica; anzi, che sta per crollare.
La poesia pare dimessa e violenta, ma solo perché è quotidiana, terrena: e la realtà, nei nostri anni Zero, ha creato solo frustrazione e indignazione. Sicché è una poesia che pare di “parole nate notturne per non farsi notare”; ma che notare, invece, si fanno benissimo, proprio con le loro verità e rivendicazioni silenziose.
“Voce rauca di mare”: quando il silenzio della parola graffia la gola
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è un articolo stupendo… spieghi la poesia, le immagini, tutto ciò che può aiutarci a capire questo libero che già solo dal titolo invoglia tantissimo…. Grazie per darci anche le indicazioni per poter capire ed apprezzare la poesia…
Che dire?
Grazie mille Michael.