Sassi Junior, 100% di natura e innovazione

ROMA – “Innovative Children’s Books“, questa è la scritta che compare sul sito della casa editrice Sassi Junior. Ed effettivamente questi libri per ragazzi sono innovativi nei materiali, nelle forme e nelle tematiche. Realizzati con inchiostri ecologici e oltre il 9o% di materiali riciclati, i volumi Sassi Junior parlano ai bambini (fin dai primi mesi di vita) e ai ragazzi di ecologia, riciclo e vita naturale. Allora, per scoprire come nascono questi libri dal cuore verde e come si sviluppa il progetto editoriale, abbiamo intervistato l’editore, Luca Sassi.

 

Come nasce l’idea di una collana per bambini interamente dedicata all’ecologia?

L’ecologia è IL tema del XXI secolo, da tutti i punti di vista, economico, sociale, politico, culturale. Mi sembrava dunque una necessità direi quasi storica iniziare i bambini, fin dall’età prescolare, ai temi della sostenibilità ambientale.

 

Carta riciclata e inchiostri ecologici per la forma, animali e alimentazione biologica per il contenuto, ma come nascono i Vostri libri?

Tutto deve essere coerente se vogliamo comunicare un messaggio chiaro ai nostri lettori. La forma e il contenuto devono andare nella direzione “ecologica” che ci siamo dati come mission aziendale. Quindi innanzitutto un packaging che rispetti la natura, ma anche dei temi che sensibilizzino i bambini a queste problematiche, con un linguaggio semplice e chiaro, vicino alle loro esigenze di gioco e spensieratezza.

 

Quali sono le novità invernali? e qualche anticipazione per la prossima primavera in casa Sassi Junior?

In autunno abbiamo pubblicato una nuova “torretta” con dieci libretti da impilare sui concetti base dell’apprendimento, la famiglia, i contrari, i cuccioli degli animali, le forme. Il titolo è “Gioca e Impara!”, un invito ad apprendere in modo ludico, l’unica formula davvero valida per i bambini, specialmente quelli in fascia pre-scolare, cui noi ci rivolgiamo. Credo molto nella possibilità di insegnare giocando, senza precetti noiosi e difficilmente applicabili. Abbiamo poi pubblicato due “valigione” con libretto e puzzle gigante per insegnare ai bambini a contare, “Caccia ai numeri”, e per far loro vivere il modo degli animali ne'”La Fattoria”. Per la primavera, per il momento…top secret…

 

E quali sono in 3 libri che ci consiglia di regalare ai bambini per un’occasione speciale?

Direi le tre novità di cui ho parlato, ma anche la nostra collana su Nina e Nello, molto educativa perché particolarmente incentrata sui temi ambientali, il riciclo dei rifiuti, il riciclo della carta, il latte biologico, l’orto biologico e così via. I due protagonisti sono due bambini curiosi che attraverso varie avventure affrontano i temi dell’ambiente e della natura.

 

Il futuro dell’editoria è la tecnologia a discapito della carta stampata?

Credo di sì, ma questo non significa che i libri di carta spariranno. A breve le avventure di Nina e Nello saranno disponibili anche su IPAD e IPHONE, abbiamo in redazione le demo e sono molto belle. Interattive come nessun libro riesce ad essere, colpiscono l’immaginario dei bambini con figure in movimento, suoni, rumori, etc…insomma, un’esperienza sensoriale totale (a parte l’odorato), come prefiguravo le avanguardie storiche all’inizio del Novecento.

 

Sassi Junior è disponibile anche per IPAd; qual è il connubio tra tecnologia, ragazzi e ambiente?

Come anticipato sopra sei degli otto titoli su Nina e Nello saranno a breve disponibili sull’Appstore. Credo che non si debba demonizzare la tecnologia come spesso succede agli ambienti più tradizionalisti del mondo intellettuale, cui l’editoria a volte appartiene. La tecnologia aiuta enormemente i bambini ad imparare, con un approccio multisensoriale e interattivo che i supporti tradizionali non offrono. Inoltre non dobbiamo dimenticare che la carta viene dagli alberi, gli alberi devono essere re-impiantati se non si vuole un effetto di disboscamento progressivo (ed è per questo che i nostri libri SASSI Junior sono fatti o in carta riciclata o certificata FSC). Le APPS invece sono immateriali, sono un puro flusso di conoscenza e di informazioni, quindi nessuno spreco di materia per realizzarle.

 

Parlando di ragazzi ed ecologia, un tema importante. Come va affrontato?

A mio avviso è importante adeguarsi di volta in volta all’età dei bambini, alle loro capacità di apprendimento. E’ importante cominciare a parlare di questi temi fin dall’età pre-scolare, in modo tale che quasi inconsapevolmente i bambini, gli adulti di domani, si trovino un bagaglio di conoscenze e regole sociali che la nostra generazione ha ignorato e che deve faticosamente apprendere in età adulta.
Quello che si impara da bambini non si dimentica più, fa parte dell’imprinting, delle radici….dobbiamo insegnare ai bambini che l’ambiente è fondamentale per il nostro futuro. Per loro un domani sarà automatico, senza sforzo, applicare certe regole, seguire determinate abitudini, cosa che purtroppo per gli adulti di oggi non è.

Nei “Racconti di Odessa” la vita di Bàbel’.

Giulio Gasperini
AOSTA – Innegabile come la vita personale possa diventare materia di racconto. Per gli scrittori tutti codesta è la fonte prima di ispirazione: il lievito madre da cui plasmare storie, vicende da architettare e dipanare. Isaàk Èmmanuìlovič Bàbel’ rappresenta forse una delle massime applicazioni di tale concetto e uno degli esempi più palesi. Nato nel quartiere di Moldavanka, a Odessa, fu perseguitato aspramente e violentemente dal regime di Stalin; fucilato nel 1940, tutti i suoi manoscritti erano stati in precedenza sequestrati e distrutti. Ciò che resta di Babel’, come i “Racconti di Odessa”, pubblicati da Voland nel 2012 con la traduzione di Bruno Osimo, hanno piuttosto come argomento e tematiche gli anni della sua adolescenza, trascorsa nella più totale libertà del quartiere ebraico della Moldavanka, palcoscenico privilegiato di trame e vicende che, già di per sé stesse, costituivano dei copioni narrativi irresistibili per chi, come Bàbel’, possedeva la vocazione alla scrittura.
L’umanità che prende vita negli intensi racconti è quella dei bassifondi, dei trafficanti, dei contrabbandieri che tramano, fanno e disfano per la pura gioia dell’evasione, dell’effrazione della legge, della sua indipendenza. Tra tutte, si erge la figura del giovane Benja Krik, non a caso chiamato “Il Re” per la sua tracotanza e la sua intraprendenza di comando. Nei racconti di Babel’ tutto il quartiere partecipa all’azione, in un esempio di sociabilità che trascende qualsiasi modello di perfetto socialismo ideale e “sociale” (se il bisticcio non fosse troppo pretenzioso). La condivisione, prima di tutto. Ma non solo condivisione; anche co-azione e co-operazione. Non c’è mondo che esista, per Bàbel’, se non c’è l’unità delle sue parti: un’unità, ovviamente, che non può essere imposta né totalmente e inappellabilmente paritaria, ma un’unità che sia a livello di azioni; che situi, insomma, tutti i partecipanti in una coralità ricca ed esuberante.
E proprio l’esuberanza è la chiave, anche stilistica, di questi racconti. La scrittura di Bàbel’ non è cristallina, né limpida. È una continua ricerca di iperboli, di collegamenti che si espandono all’infinito, un incessante rincorrersi di sottrazioni da cui dedurre il risultato finale. La ricerca non è mai semplice, è sempre un continuo mettersi alla prova, sentendosi guidati e condotti da un burattinaio che ci deride col suo stile ricco di tranelli e preziosità difficili da masticare. Perché spesso è il paradosso l’unico elemento che riusciamo chiaramente a distinguere: e ogni paradosso nasconde persino un fondo di realtà che, nel contesto narrativo e stilistico di Bàbel’, pare quasi diventare l’elemento meno importante.

“Grace Kelly”: il ritratto dell’indimenticabile principessa, icona di stile e seduzione

 

Alessia Sità
ROMA – La storia di un mito senza tempo si anima fra le pagine del romanzo biografico di Andrea Carlo Cappi, intitolato “Grace Kelly. La principessa di ghiaccio”, pubblicato da Aliberti editore. La vita della giovane americana, che da grande star di Hollywood diventa principessa di Monaco, nasconde in realtà ribellioni, scandali, solitudine, vittorie e infinita determinazione. Con accurata attenzione, Andrea Carlo Cappi ripercorre la biografia della donna, della diva, della sovrana e della madre, svelando retroscena poco noti al grande pubblico.
Proveniente da una famiglia benestante, fin da subito Grace manifesta la sua insofferenza nei confronti delle scelte paterne; e dopo aver rinunciato a un matrimonio conveniente, decide di trasferirsi a New York per trovare lavoro in televisione. Il suo fascino e la sua eleganza non passano di certo in secondo piano, e con il suo innato charme, ben presto, conquista i grandi divi hollywoodiani, Aga Khan, il Presidente John Fitzgerard Kennedy, lo scià di Persia e Alfred Joseph Hitchcock. Per la regia del grande ‘maestro del brivido’, che contribuì a consacrarla sul grande schermo, Grace interpretò ben tre capolavori cinematografici: “Il delitto perfetto” (1954), “La finestra sul cortile” (1954) e “Caccia al ladro” (1955). Fu sul set di quest’ultimo film, girato nel Principato di Monaco, che conobbe il futuro marito. E il 19 aprile del 1956, l’attrice che è stata principessa sullo schermo – ne “Il cigno”(1956) – lo diventa anche nella vita reale, sposando il principe Ranieri III. Dopo le nozze, Grace abbandona il cinema per dedicarsi agli impegni e alle sorti del Principato. Nonostante tutto, però, l’idea di ritornare sulle scene non l’abbandonò mai, fino alla tragica morte avvenuta il 13 settembre 1982. La dinamica del fatale incidente resta ancora oggi avvolta nel mistero. Sono molte le ipotesi avanzate e smentite nel corso degli anni. Negli anni ’90 si diffusero addirittura delle voci di una presunta affiliazione della principessa all’Ordine del Tempio Solare e qualcuno volle vedere l’ombra del complotto dietro la terribile tragedia. Il mondo però continuerà a ricordare la principessa non solo per la sua bellezza senza tempo, ma anche per il suo temperamento esuberante e allo stesso tempo glaciale, che contribuì a influenzare l’immaginario collettivo anche in ambito culturale. Infatti, come sostiene anche l’autore, Grace ispirò la sensuale Eva Kant, apparsa per la prima volta nel 1963, nel celebre fumetto ‘Diabolik’.

A quasi più di trent’anni dalla sua morte, il ricordo della ‘principessa di ghiaccio’ continua a essere molto forte e il suo stile e la sua eleganza fanno ancora oggi sognare tante giovani donne.


“Svanire è davvero possibile? O è solo un’illusione?”

Michael Dialley
AOSTA – “Svanire” non è solo il titolo della raccolta di Deborah Willis, edita da Del Vecchio editore, ma anche il primo racconto che apre la strada al lettore in un viaggio particolare, molto suggestivo che riguarda lo scomparire, lo svanire, il lasciare.
Sono 14 racconti i cui protagonisti sono i più diversi, sia per età che per cultura e stile di vita, ma tutti accomunati da un’esperienza di distacco: una moglie che scappa, qualcuno che muore, che viene rapito, ma anche chi è stato incapace di capire i figli, chi gli stava intorno, causando un allontanamento forzato.
Si viene incatenati subito alle pagine di questo libro, perché sono esperienze che tutti, chi più chi meno, hanno vissuto totalmente o solo in parte; sono racconti brevi, scritti con semplicità e chiarezza, ma soprattutto con un’intensità straordinaria.
Si impara a conoscere i vari protagonisti, con le loro emozioni, i loro sentimenti, le loro abitudini e si capisce come ci si senta dopo essere stati allontanati, dopo essere stati abbandonati o dopo essersi allontanati.
Sono tante le riflessioni che si possono fare dopo ciascun racconto: i genitori si chiederanno sicuramente se il rapporto con i figli è giusto, oppure si identifica con quello di alcuni racconti; un figlio si domanda se ha un atteggiamento giusto verso babbo e mamma, se ha affrontato un divorzio o, peggio ancora, un lutto, nella maniera corretta, con la giusta intensità; i ragazzi che si affacciano, appena ventenni, alla vita, al mondo, fuori dall’ala protettrice della famiglia, si interrogheranno su quali esperienze sono da fare per rendersi conto di come funzioni il mondo, su quali cose è necessario impegnarsi e quali situazioni vanno tralasciate e dimenticate.
Questo romanzo è una sorta di guida, non un saggio; è persino un cortometraggio con spezzoni di varie vite di varie persone. La domanda che viene rivolta a ogni lettore, alla fine, è: si può davvero dimenticare, essere dimenticati, svanire nel nulla, oppure una parte di noi rimane costantemente legata alle persone, ai luoghi, alle situazioni? La risposta sta in ogni uomo, non ci sono risposte giuste o sbagliate, ognuno pensa e agisce a modo suo, e non ci si può nemmeno chiedere perché qualcuno vicino a noi è svanito, o ha cercato di farlo.
Svanire nel nulla non è possibile né fattibile: dovunque andiamo, chiunque conosciamo, ci lascia un qualche cosa così come noi lasciamo tracce, parole, azioni, indelebili nel mondo.

Furgul, il cane che corre nel vento


Silvia Notarangelo

ROMA – Furgul non è un cane come tutti gli altri. Il suo nome significa “coraggio” e in lui è certamente una qualità che non manca. “Doglands”, il nuovo romanzo di Tim Willocks (Edizioni Sonda), è la sua storia, la storia di un viaggio straordinario verso una meta sconosciuta eppure intimamente sentita e desiderata.
Lo scrittore inglese si cala nelle vesti del protagonista, raccontando gli aspetti positivi ma anche le tante, troppe crudeltà a cui i cani sono spesso sottoposti. Furgul guarda gli uomini dalla sua particolare prospettiva, osserva i loro comportamenti, si interroga sulle loro azioni: talvolta li reputa strani, talvolta affettuosi, altre ancora non sa spiegarsi il perché di tanto odio. “I grandi sfruttano tutti gli animali (…) prendono e usano tutto ciò che vogliono e, quando si consuma o si annoiano a usarlo, si limitano a buttarlo via”. Una lezione che suona come un pugno nello stomaco soprattutto detta da un cucciolo.
Furgul nasce tra le mura di Dedbone’s Hole, la prigione dove sono rinchiusi e allevati i greyhound da corsa. Il suo destino pare, dunque, inesorabilmente segnato. All’improvviso, però, un segreto sconvolge la sua vita. Tutto cambia, deve fuggire da Dedbone’s Hole. La separazione da Keeva, la madre campionessa soprannominata “Folata di Zaffiro” , è dolorosa ma inevitabile. Il mondo che lo attende fuori non sarà tutto rose e fiori. Le prove da affrontare saranno tante ma lui saprà sempre dimostrarsi all’altezza. Nel tempo, complici incontri ed esperienze non proprio positive, la sua personalità si plasma, fino a raggiungere una maturità ed una consapevolezza spesso difficili da comprendere anche per i suoi simili. Furgul non vuole “appartenere a nessuno”, è un cane selvatico e gli piace esserlo. È inquieto e scalpitante, desideroso della sua libertà, non capisce cosa significhi “essere addomesticati” e non ha nessuna intenzione di farlo. Soprattutto, non intende piegarsi ai desideri spesso subdoli degli uomini. Potrebbe scegliere la strada più facile e diventare un cane da compagnia, uno di quelli che ubbidiscono senza fare troppo domande, rinunciando di fatto alla propria natura. Invece no. Furgul va avanti e continua a scappare per inseguire il suo sogno: trovare le misteriose Doglands e liberare Keeva.
Al termine di una lunga ed entusiasmante avventura, si troverà di fronte al suo passato per giocare, finalmente, la partita più importante. Una partita in cui non basteranno la forza ed il coraggio, ma bisognerà giocare d’astuzia, ricordando sempre che “un cane libero non muore mai, ma continua a correre nel vento”.

Samurai – Il manuale “non autorizzato” del guerriero giapponese

MILANO Giovane samurai, sei pronto ad intraprendere la nobile Via del Guerriero?Con un irresistibile umorismo, Stephen Turnbull si cala nei panni di un samurai del XVII secolo e ci insegna tutti i segreti del mestiere. “Samurai – Il manuale “non autorizzato” del guerriero giapponese” (L’Ippocampo Edizioni) è un viaggio completo: dall’armatura alla cerimonia del tè o allo shintoismo, questo libro si presenta come un eccentrico manuale di preparazione per l’aspirante samurai, seguito passo dopo passo nell’apprendimento delle arti marziali, delle strategie di assedio di un castello, o delle tecniche di combattimento sul campo di battaglia.

Attraverso un testo ricco di informazioni, immagini a colori, 100 stampe storiche e sagge citazioni del tempo, l’autore ci offre una vivida e particolareggiata rappresentazione della cultura guerriera giapponese del ‘600, che tanto affascina noi occidentali.

Nuove uscite: “Lello il bullo”di Pina Varriale

ROMA – Arriva fresco di stampa “Lello il bullo” scritto da Pina Varriale e pubblicato da Mondadori. Lello non ha amici, perché lui non piace a nessuno e nessuno piace a lui. Allora ha deciso di proclamarsi capo e minacciare tutti di farli blu di botte se si ribellano. Finora non ha mai tirato neanche uno schiaffo, ma basta che faccia “Grrr” e tutti si spaventano: chi gli fa i compiti, chi gli porta il cornetto, chi gli regge l’ombrello se piove. Quando arriva un nuovo compagno di banco che non ha paura di lui, però, le cose cambiano: Giorgio è gentile e sembra che voglia addirittura essergli amico, anche se Lello era convinto di non piacere a nessuno. E alla fine, una gentilezza dopo l’altra, faranno diventare il “Grrr” di Lello un bel “Grrrrazie”!

Età di lettura: da 6 anni.

Ernesto Ferrero: Perec, l’umano e la letteratura

Giulia Siena
ROMA
 – Una delle presentazione de “Il Condottiero” di Georges Perec avviene a Roma durante Più Libri Più Liberi. Per conoscere meglio lo scrittore francese, noto per il suo amore quasi morboso per elenchi, liste ed enumerazioni, membro dell’OuLiPo e padre incontrastato del Novecento Letterario Francese intervistiamo Ernesto Ferrero, traduttore de “Il Condottiero” (Voland).

 

Ernesto Ferrero traduce in Italia per Voland “Il Condottiero”, uno dei primi lavori Georges Perec. Come ha affrontato questa avventura?

Ho affrontato questo lavoro con molta simpatia perché tradurre mi piace tantissimo e non succedeva da diverso tempo quindi, quando Daniela di Sora di Voland mi ha proposto questo, lavoro ho accettato. L’ho fatto perché faccio il tifo per i piccoli editori, per la loro capacità, la loro passione e il loro ammirevole coraggio. Allora mi sono avvicinato a questo testo con molta curiosità, affascinato anche dal tema dell’umano, il tema del falso e dell’arte. Poi, portandomi dietro il ricordo dell’affetto che Italo Calvino aveva per Perec, è stato ancora più piacevole affrontare “Il Condottiero”.

 

Infatti, Perec e Calvino, un legame letterario e umano che Lei descrive molto bene nella postfazione de “Il Condottiero”.

Calvino era un uomo schivo, quasi burbero, ma per Perec aveva l’affetto di un fratello maggiore e gli piaceva il rigore costruttivo, la capacità di Perec di arrivare alla narrazione attraverso la macchina costruita molto minuziosamente. Una stima verso lo scrittore francese che portò Calvino a produrre scritti molto belli per la morte di Perec trenta anni fa, riuscendo a dire con una chiarezza e una lucidità grandiosa quello che andava detto. Perec voleva scrivere molte cose – come poi effettivamente fece – cambiando registro, genere e argomento poiché aveva la grande facilità di giocare con elementi combinatori con i quali riempiva il suo vuoto affettivo.

 

“Il Condottiero” è l’esempio della grande capacità di Perec di descrivere con minuzia di particolari le figure, i sentimenti e le azioni  dei suoi personaggi. Ma la trama di questo libro potrebbe anche riflettere il dissidio affettivo dello scrittore? 

Questa è la storia di un uomo, di un falsario che per dodici anni si limita a replicare in maniera perfetta opere altrui, ma arriva poi il momento in cui entra in crisi perché vuole esprimere se stesso e decide di farlo. Ma questa sua iniziativa scatena, però, una crisi esistenziale che lo porta a un delitto che vive come una liberazione. Ed è questo rapporto committente-falsario che Perec vive come un rapporto morboso e delicato tra padri e figli, un rapporto che lo scrittore francese ricerca e dal quale vuole inconsciamente liberarsi.

 

Secondo Perec la letteratura è un mosaico e tutti gli scrittori contribuiscono a creare questo mosaico con le proprie opere. Oggi cos’è la letteratura secondo Ernesto Ferrero?

Per me continua ad essere la migliore attività conoscitiva che possiamo donare a noi stessi. Quest’arte ha la licenza di una rilettura verosimile che forse riesce ad arrivare più vicino a quella verità più umana e più poetica che l’uomo cerca. E oggi dobbiamo continuare a sfruttare questa possibilità e continuare a porci aperti alla ricerca attraverso i libri; la letteratura, di risposta, deve esplorare e cercare. Vedo, però, che l’andamento generale è diverso; pare stia vincendo l’intrattenimento a discapito del nostro tempo che sì, ve n’è sempre di meno, ma viene speso con leggerezza.

 

Siamo a Più Libri Più Liberi e mi sorge spontanea un’ultima domanda: la piccola e media editoria diventerà mai grande?

Se avessimo governi degni di questo nome sarebbe normale studiare dei provvedimenti per far sì che la piccola e media editoria (si può anche parlare di librerie indipendenti) crescesse senza snaturarsi, ma la realtà è un’altra. C’è chi dice che per sopravvivere deve crescere, però crescendo potrebbe essere costretta a cambiare, ad acquisire elle inclinazioni commerciali che minerebbero il progetto editoriale iniziale. Perché la piccola e media editoria che a noi piace, e secondo il mio parere ben fatta, è quella che fa ricerca e laboratorio. Allora spero che sì, diventi grande in questo senso, ma rimanga piccola nelle scelte editoriali, quelle che non fanno libri solamente per scopi commerciali.

 

ChronicaLibri ha intervistato Pietro De Bonis, autore di “Brezze Moderne”

Alessia Sità
ROMA –  Baciami alle sei del mattino/capirai che t’amo dall’odore dei cuscini/dai miei occhi chiusi/sempre pronti a fissarti.”
Qualche mese fa ho recensito “Brezze Moderne”, il nuovo lavoro di Pietro De Bonis edito da Lupo Editore. I suoi versi mi hanno letteralmente conquistata e affascinata. ChronicaLibri ha intervistato il giovane autore, che racconta il dietro le quinte della sua ultima ‘fatica’ letteraria. Quella di De Bonis è una scrittura chiara e limpida, che arriva dritta al cuore.
Come è nata la tua raccolta“Brezze Moderne”?
Che brutto il termine raccolta… chiamiamolo libro dai! “Brezze Moderne” è nato da sé  mi sono fatto solo trovare pronto a pigiare i tasti della tastiera, ai suoi richiami.
Perché hai scelto questo titolo per il tuo libro?

Anche qui non saprei risponderti, devi sapere che il primo lettore della mia scrittura sono io stesso. Credo che le opere belle si formino da sè, che l’essere umano serva solo da filo conduttore, da mediatore, per consegnarle agli altri esseri umani. La bellezza della creazione che continua attraverso noi, è una cosa stupenda.
In quale dei tuoi versi ti riconosci di più?

In tutti.
Manifestare un disagio esistenziale scrivendo le proprie sensazioni ha una funzione terapeutica per te? Qual è il ruolo della scrittura nella tua vita?
Ma cosa serve pubblicare i propri disagi? Non bastano già i pensieri quotidiani? Li dobbiamo anche far pesare ad altri? No… alle persone cosa interessa venire a sapere di te, di chi sei e cosa provi? Credo che se si voglia scrivere, lo si debba fare principalmente per gli altri, qui sta il darsi, il donarsi. Un lettore vuole leggere cose che lo riguardano, è chiaro prenda spunto sempre dalle vicende personali, ma attribuisco loro un’ottica più ampia, meno egoista, meno morbosa. La scrittura nella mia vita aumenta ancora di più la bellezza della vita stessa.
Come ti sei approcciato alla poesia?

La scrittura si è approcciata a me, mi ha scelto lei, non io.
Cosa ispira i tuoi versi?

L’amore, i giorni.
Hai un poeta o una poesia a cui sei particolarmente affezionato?

Alda Merini, in “Brezze Moderne” (edito da Lupo) apro con una dedica proprio rivolta a lei.
Tre aggettivi per definire “Brezze Moderne”

Vasto, semplice, attento.

Se siete curiosi di assaporare la bellezza di “Brezze Moderne” vi invito a leggerlo e, a tal proposito, vi segnalo che il libro può essere ordinato in tutte le librerie o acquistato su IBS.

Dove si sente cantare “il suono del suo nome”.

Giulio Gasperini
AOSTA – La luce, il tempo, la pietra: sono queste le dimensioni privilegiate per le quali Cees Nooteboom parte alla scoperta del mondo islamico, durante vari anni. “Il suono del suo nome”, edito da Ponte alle Grazie nel 2012, è un collage di racconti e incantevoli poesie che sorprendono e cristallizzano istanti, attimi, momenti sorpresi in ogni istante del giorno e della notte. Mai realmente turista, Nooteboom ha saputo trasformare l’esplorazione e il viaggio in una vera e propria arte, in una declinazione di pura narratività. E sicché accade che i nomi – Marrakech, Atlante, Tangeri, Isfahan – scontornino i loro bordi, i limiti della loro realtà e concretezza, e si profumino di spezie, si squadernino di spazi indefiniti, si allunghino di dolci ombre: i nomi perdono la loro importanza geografica, si estraniano da una carta, e si giustifichino non in virtù del loro aspetto ma per la società che li popola e che, in loro, costruisce un confronto e un’unione.
Le piccole, intense incursioni di Nooteboom nel mondo islamico diventano squarci di anima, indagini affilate e potenti delle tante sfaccettature dell’intimo. La ricerca diventa ancora più efficace, in tale contesto, perché “è un paesaggio senza distrazioni, senza decorazioni”; un paesaggio essenziale, dove “il cielo è freddo e brilla di stelle”. La consapevolezza dell’essere umano trova molte strade, nelle descrizioni di Nooteboom; la realtà tangibile, l’abilità degli artigiani, la perizia dei loro mestieri, la sacralità delle tradizioni si filtrano attraverso la coscienza di un uomo che non è semplicemente viaggiatore ma peregrino in ogni terra, dalla Spagna all’India, alla ricerca del significato più vero, quello più genuino, quello che si smarchi dai luoghi comuni e dai pregiudizi dilaganti. E il percorso, senza la pretesa di giungere a una verità suprema, a una descrizione che sia anche racconto metafisico e univoco, comincia a svelare le bellezze e il rischio di fraintenderle. Si scopre, così, che l’aridità della pietra è necessaria per comprendere la bellezza, la sua unicità se nasce in un luogo dove nessuno l’attenderebbe e dove accoglierla è un atto di ribellione; e si scopre che la bellezza inevitabilmente consente di accettare la durezza, la ruvidezza, l’aridità, ovvero una parte innegabile dell’esistenza umana: “Dopo la pietra capisci la rosa, dopo la rosa sopporti la pietra”. È proprio il deserto la dimensione che più riduce l’uomo e lo ridimensiona nei suoi fragili e ridotti confini, che lo lascia esterrefatto al cospetto della sua nullità, della leggerezza del suo respiro, della permeabilità della sua ombra: “E quando ci giriamo, vediamo quello stesso vento cancellare subito i nostri passi insignificanti. Non siamo mai stati qui”.
L’avventura di Nooteboom, però, intenzionalmente non mira ad arrivare a una soluzione, non aspira consapevolmente a descrivere oggettivamente quello che si vede, quello che si tocca, si sente, si odora: “Io preferisco la sensazione del mistero alla certezza della soluzione”.