Direttore. Per gli amici: il direttore di ChrL. Pugliese del nord, si trasferisce a Roma per seguire i libri e qui rimane occupandosi di organizzazione di eventi e giornalismo declinato in modo culturale e in salsa enogastronomica. Fugge, poi, nella Food Valley dove continua a rincorrere le sue passioni. Per ChrL legge tutto ma, come qualcuno disse: "alle volte soffre un po' di razzismo culturale" perché ama in modo spasmodico il Neorealismo italiano e i libri per ragazzi. Nel 2005 fonda la rubrica di Letteratura di Chronica.it , una "vetrina critica" per la piccola e media editoria. Dopo questa esperienza e il buon successo ottenuto, il 10 novembre 2010 nasce ChronicaLibri, un giornale vero e proprio tutto dedicato ai libri e alle letterature, con occhio particolare all'editoria indipendente. Uno spazio libero da vincoli modaioli, politici e pubblicitari. www.giuliasiena.com

Nuovissima uscita: “La Porta dei Tre Chiavistelli”

ROMA – “In questo romanzo, Sonia Fernández-Vidal mescola, per la prima volta, la fantasia  e la fisica quantistica rendendo la scienza accessibile e attraente per tutti i lettori.” Muhammad Yunus
Feltrinelli Kids porta in libreria “La Porta dei Tre Chiavistelli”, il nuovissimo romanzo di Sonia Fernandez-Vidal.
Un’inspiegabile scritta sul soffitto della camera di un ragazzino quattordicenne, Niko, una casa misteriosa, impossibile da aprire con un’unica chiave per tre chiavistelli, elfi, gatti che compaiono e scompaiono, buchi neri, armadi che portano lontano e… nientemeno che la fisica quantistica: questi alcuni degli ingredienti, apparentemente incompatibili tra loro, che compongono la storia di Niko alle prese con le sorprendenti vicende che accadono nel mondo dei quanti. Proiettato in quell’universo, Niko assiste alla guerra tra materia e antimateria e vive in concreto la relatività del tempo e dello spazio; incontra personaggi fantastici e trova nuovi amici che lo guidano attraverso quel mondo in cui a strane domande si ribatte con strane risposte. Una volta tornato a casa, Niko avrà una missione da compiere. Ma come potrà tornare? “Se vuoi andare da qualche parte devi fare le domande giuste” si dice nell’universo quantico. E Niko le fa. Età di lettura: da 13 anni.

VerbErrando: Produci, consuma…

Veruska Armonioso
ROMA
– Produci. A trentaquattro anni per una lavastoviglie in cucina.
Lavaggio eco, che ti fa sentire meno colpevole ogni volta che pigi on.
Produci. A trentaquattro anni per un lavoro a tempo indeterminato che ti permetta
di andare al cinema e a mangiare la pizza il sabato sera. Multisala a Cinisello Balsamo,
che prima era una campagna con la latteria che vendeva i formaggi di mula e adesso è una città lego piena di pizzerie bio, con ingredienti a chilometri zero, a lievitazione zero, a farina zero, a prezzi zero, eat as you can.
Produci. A trentaquattro anni per accendere un mutuo per avere la tua casa di proprietà, un’Ici da pagare, degli interessi e delle rate di mobili presi da Ikea, che giusto in una casa tua possono entrare, visto che sai di non poterli smontare mai più dopo aver girato l’ultima vite.
Produci. Figli che saranno persone qualunque, che masticano gomme a bocca aperta e ti digeriscono in faccia, ridendoci su, ‘ché tanto mica hanno ucciso nessuno che si devono vergognare.
Produci. Cambiamenti continui e perituri, psicotici, confusi. Geografici, sentimentali, di stile, di abbigliamento.
Produci. Calcare mentale, di quello che ti necrotizza il grigio delle giornate, il grigio dei ricordi, il grigio della materia.
Produci. Distruzioni. Interne, come diceva Yates in Bugiardi e InnamoratiDentro ognuno di noi- e nello spazio tra i nostri corpi e le nostre storie, ovvero in quella cosa che si chiama legame- non si dà altro che disgregazione”.
Produci. Legami, come “sostanze fisiologicamente agoniche e disgregate” perché, del resto, l’uomo è questo: “una cosa che ci illude per deluderci, un grumo, una mistura, un ordigno prepotente e fragilissimo che deve di continuo difendersi da sé stesso inventandosi miraggi e divagazioni”.  “Tutti straordinari fabbricatori di abbagli.”[1]
Produci. Misericordia e compassione, autoassoluzione e Viagra.

Consumi. A trentaquattro anni l’idea come concetto. L’ideale come motivazione. L’azione come conseguenza.
Consumi. A trentaquattro anni la fame di un’appartenenza, unica, solida, imperitura.
Consumi. A trentaquattro anni la speranza come “rischio da correre”.
Consumi. La parola. Come la voleva Majakovskij…che “… esploda nel discorso come una mina e urli come il dolore di una ferita e sghignazzi come un urrà di vittoria”.
Consumi. Lo spirito e le tradizioni. Che Yukio Mishima cercava di tenere saldi addosso a sé come valori supremi: “Dobbiamo morire per restituire al Giappone il suo vero volto! E’ bene avere così cara la vita da lasciare morire lo spirito? Che esercito è mai questo che non ha valori più nobili della vita? Ora testimonieremo l’esistenza di un valore superiore  all’attaccamento alla vita. Questo valore non è la libertà! Non è la democrazia! E’ il Giappone! E’ il Giappone, il Paese della storia e delle tradizioni che amiamo.”[2]
Consumi. L’eroismo. Perché, come diceva David Foster Wallace ” … il vero eroismo non riceve ovazioni, non intrattiene nessuno. Nessuno fa la fila per vederlo. Nessuno se ne interessa”[3].

Crepa. Vladimir Vladimirovič Majakovskij, per amore non ricambiato.
“A tutti. Se muoio, non incolpate nessuno. E, per favore, niente pettegolezzi. Il defunto non li poteva sopportare. Mamma, sorelle, compagni, perdonatemi. Non è una soluzione (non la consiglio a nessuno), ma io non ho altra scelta. Lilja, amami. Compagno governo, la mia famiglia è Lilja Brik, la mamma, le mie sorelle e Veronika Vitol’dovna Polonskaja. Se farai in modo che abbiano un’esistenza decorosa, ti ringrazio. […] Come si dice, l’incidente è chiuso. La barca dell’amore si è spezzata contro il quotidiano. La vita e io siamo pari. Inutile elencare offese, dolori, torti reciproci. Voi che restate siate felici”[4].

Crepa. Yukio Mishima, per patriottismo tradizionalista.
“La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre”[5].

Crepa. David Foster Wallace, per depressione.
“La persona che ha una così detta “depressione psicotica” e cerca di uccidersi non lo fa aperte le virgolette per sfiducia o per qualche altra convinzione astratta che il dare e avere nella vita non sono in pari. E sicuramente non lo fa perché improvvisamente la morte comincia a sembrarle attraente. La persona in cui l’invisibile agonia della Cosa raggiunge un livello insopportabile si ucciderà proprio come una persona intrappolata si butterà da un palazzo in fiamme. Non vi sbagliate sulle persone che si buttano dalle finestre in fiamme. Il loro terrore di cadere da una grande altezza è lo stesso che proveremmo voi o io se ci trovassimo davanti alla finestra per dare un’occhiata al paesaggio; cioè la paura di cadere rimane una costante. Qui la variabile è l’altro terrore, le fiamme del fuoco: quando le fiamme sono vicine, morire per una caduta diventa il meno terribile dei due terrori. Non è il desiderio di buttarsi; è il terrore delle fiamme. Eppure nessuno di quelli in strada che guardano in su e urlano “No!” e “Aspetta!” riesce a capire il salto. Dovresti essere stato intrappolato anche tu e aver sentito le fiamme per capire davvero un terrore molto peggiore di quello della caduta.”[6]

Produci, consuma e crepa. Lo dicevano ventisette anni fa i CCCP in Morire.
In sostanza di questo si tratta. Che tu viva per la pizza del sabato o per ideali romantici, che tu combatta ogni giorno o nessuno, che te ne accorga oppure no, produrrai e consumerai sempre qualcosa e sempre, ineludibilmente, morirai. L’unica differenza la farà la volontà, di mettere fine a una vita per tua scelta o di attendere che faccia da sé. Nessuna morale o presa di posizione, semplice cronaca.
E per chi si domandasse da che parte sto, io non sto da nessuna delle due.
Io sto nell’accettazione. Della sconfitta e dei cambiamenti.


[1] Yeats “Bugiardi e Innamorati”, Minimum fax 2011

[2] Discorso prima del suicidio rituale, Tokyo 25 novembre 1970

[3] Il re pallido, Einaudi – Stile libero 2011

[4] Biglietto di addio di Majakovskij.

[5] Biglietto di addio di Mishima.

[6] Infinite Jest, Einaudi – Stile libero 1996

“Four fish. Il futuro dell’ultimo cibo selvatico”

ROMA Slow Food Editore porta in libreria “Four fish. Il futuro dell’ultimo cibo selvatico” di Paul Greenberg, scrittore e da sempre appassionato pescatore. L’autore ci accompagna in un viaggio culinario alla ricerca dei quattro pesci che dominano i nostri menù – salmone, branzino, merluzzo e tonno – e svela il nostro rapporto compromesso col mare e la sua fauna. Solo tre decenni fa, quasi tutto il pesce che mangiavamo era selvatico. Oggi la sovrapesca dilagante e una rivoluzione biotecnologica senza precedenti ci hanno portati a un punto in cui il pesce selvatico e quello di allevamento occupano parti uguali di un mercato complesso. Alla fine abbiamo compreso che il nostro cibo è migliore se prodotto su piccola scala, in armonia con i ritmi della natura. “Four Fish” di Paul Greenberg analizza questo assunto dal punto di vista dell’oceano, in modo appassionato e brillante. I pesci di cui ci cibiamo meritano lo stesso tipo di rispetto e di coscienza politica dei prodotti della terra.

VerbErrando: Waiting for good

Veruska Armonioso
ROMA – “Ora che aveva superato la sorpresa si sentiva improvvisamente stanco. Si trascorre una vita intera preparandosi a qualcosa. Prima ci si sente offesi e si vuole vendetta. Poi si attende.”
Settant’anni fa, il grande scrittore ungherese Sándor Márai metteva al mondo Le Braci e raccontava l’oblio dell’attesa, scandendone con superba incandescenza tutte le fasi, tutte le conseguenze…le conseguenze. Perché quando si attende si è soli, da soli “… nella solitudine si impara a comprende ogni cosa, e non si ha più paura di niente”. Sándor Márai sapeva bene cosa volesse dire essere soli e attendere, perché lui era passato dai lustri di un successo e di una fama meritata, ai bui dei margini nei quali i cataclismi politici lo avevano confinato. Per lui attendere era la risposta. Aveva la fiducia completa nel’attesa che avrebbe portato qualcosa, avrebbe dato indietro qualcosa. A lui diede indietro domande…domande capitali come “Chi sei?… Cosa volevi veramente?”. Márai, attraverso la voce eterea di Krisztina, diceva:
“Alle domande più importanti si finisce sempre per rispondere con l’intera esistenza. Non ha importanza quello che si dice nel frattempo, in quali termini e con quali argomenti ci si difende. Alla fine, alle fine di tutto, è con i fatti della propria vita che si risponde agli interrogativi che il mondo ci rivolge con tanta insistenza.” Attesa come esercizio di pazienza, di fede, non di tattica di difesa come ci suggerisci Sun Tzu ne “L’arte della guerra”. Fiducia verso l’arrivo di qualcosa, di qualcuno. Di qualcuno che cambierà il corso della nostra vita, dei nostri destini.
Qualcuno che farà pur qualcosa, qualsiasi cosa, a patto che porti dei cambiamenti, come per Kavafis, ad esempio, erano i barbari:

“ – Cosa aspettiamo riuniti in piazza?

Oggi devono arrivare i barbari.
– Perché tanta inerzia nel Senato?
E perché i senatori siedono e non legiferano?
Perché oggi arrivano i barbari.
Che leggi hanno ormai da fare i senatori?

Quando verranno i barbari le faranno loro
[…]


– Perché tutto a un tratto questa apprensione, tutta questa agitazione?

(Come si sono fatte serie le facce.)
Perché si svuotano rapidamente le strade e le piazze

e tutti se ne tornano a casa pensierosi?
Perché si è fatta notte e i barbari non sono comparsi.

Anzi, qualcosa è venuto dai confini
e ha detto che di barbari non ce ne sono più.
E adesso cosa sarà di noi senza i barbari?

Quella gente, dopotutto, era un soluzione.”
L’attesa, la vita. L’attesa, la solitudine. La vita, la solitudine… La solitudine. Sentirsi soli. Essere soli. In solitudine ci si conosce, ma riconoscersi è un’altra cosa. Ci si riconosce solo da fuori, fuori dal proprio cerchio.
Kafka diceva che ci sono due regole per cominciare a vivere “… restringere il tuo cerchio sempre più e controllare continuamente se tu stesso non ti trovi nascosto da qualche parte al di fuori del tuo cerchio”. Ci richiamava alla solitudine e, nel farlo, usava la confortante immagine di una geometria che contenga, senza spigoli contro cui sbattere. Gli spigoli, gli angoli, sono loro che ci distraggono. La curiosità di andare a vedere cosa nascondono, ci spinge, crudelmente, a non prestare attenzione a quello che, invece, c’è di qua, davanti, dalla nostra parte, e ci spinge a perderci…certo, perdersi è perfetto se ci si conosce… se ci si
conosce, uscire dal cerchio è un bel gioco e rientraci è uno scherzo. Ma se non ci si conosce? Che cosa si fa se si esce dal cerchio senza conoscersi?
Kafka sapeva bene dell’esistenza di questo rischio e scelse il cerchio. La confortante rassicurazione di una geometria facile e comoda per tutti.
Ma la solitudine, che cos’è? E’ una sedia vuota accanto alla tua o una casa con una sola sedia? Riflettevo in questi giorni sul tempo e la solitudine. Sul sentirsi soli e l’essere soli.
Su come questi due diversi stati d’animo influenzino il tempo che viviamo per esperienze, scelte, reazioni, azioni. Su come questi due diversi stati d’animo influenzino, appunto, l’attesa.
Allora ho pensato a Beckett, a come abbia stravolto il binomio attesa-solitudine e a come lo abbia svuotato, e, nello svuotarlo, lo abbia riempito.

“ Estragone: mi domando se non sarebbe stato meglio restare soli, ciascuno per conto suo. eravamo fatti per seguire la stessa strada.
Vladimiro (senza offendersi): Non è sicuro.
Estragone: No, non c’è niente di sicuro.
Vladimiro: Possiamo sempre lasciarci, se credi.
Estragone: Ormai non vale più la pena. (Silenzio).

Vladimiro: E’ vero, ormai non vale più la pena. (Silenzio).

Estragone: Allora andiamo?
Vladimiro: Andiamo.
Non si muovono.”

Per Beckett la solitudine è in due, due che sono uno, perché nell’attesa si può non essere da soli ma si è comunque soli… come nell’attesa di una risposta, di un esito, di un arrivo… come nell’attesa della morte…un’attesa vuota, un’attesa stanca, un’attesa senza la fede cieca di Penelope, o senza la speranza di Borgna… un’attesa del niente. Un niente.
Esistono, però, altre attese. Sono quelle che ho scelto di vedere. Sono le attese che si vivono con il sorriso, quelle che si trascorrono con una trepidazione bambina, che ti ricorda quando aspettavi il Natale per scartare i regali. L’attesa per un nuovo incontro, l’attesa per una nascita, l’attesa per una nuova stagione… l’attesa per raggiungere un desiderio ed esaudirlo.
Che l’attesa di questo 25 aprile, amici, ci ricordi il sapore delle attese belle e ci faccia venire voglia di provarne ancora; che questa attesa sia liberazione e, nel renderci liberi, ci faccia sempre essere presenti a noi stessi e ci ricordi che la libertà è un dono per metà, per l’altra metà è una meta da raggiungere.
Che la libertà sia uno status in divenire e non un punto d’arrivo.
E che le nostre attese siano, comunque, una soluzione e ci portino verso un qualche dove!

 

Costantino Favafis, Aspettando i barbari, Passigli 2005

Franz Kafka, Aforismi di Zürau, Adelphi, 2004

Samuel Beckett, Aspettando Godot, Einaudi 1956
Eugenio Borgna, L’attesa e la speranza, Feltrinelli 2005
25 aprile giornata della liberazione d’Italia

“10 Libri per la Giornata Mondiale del Libro”

ROMA – In tutto il Mondo il 23 aprile il libro diventa protagonista di una festa fatta di parole ed emozioni. La Giornata Mondiale del Libro e del diritto d’autore, proclamata dall’Unesco nel 1995 per il 23 aprile – giorno dell’anniversario della morte di Miguel de Cervantes, William Shakespeare e festa di San Giorgio – ha lo scopo di far scoprire il piacere della lettura e di valorizzare il ruolo sociale degli autori. ChronicaLibri vuole suggerirvi i “10 Libri per la Giornata Mondiale del Libro”, 10 Libri per festeggiare le buone letture, i libri e gli autori.

1. Quaranta Sonetti di W. Shakespeare
2. Persuasione di J. Austen
3. Una sola moltitudine di F. Pessoa
4. La leggenda del santo bevitore di J. Roth
5. La foto sulla spiaggia di R. Riccardi
6. Memorie di un libraio di S. Beach
7. Una solitudine troppo rumorosa di B. Hrabal
8. Fuori catalogo. Storie di libri e librerie di R. Pinto
9. La manomissione delle parole di G. Carofiglio
10. Quaderno proibito di A. de Céspedes

 

Cronache Golose. Vita e storie di cuochi italiani

ROMA – “Tutto nella cucina di Pierangelini rimanda all’esecuzione, al tocco, allo stile. L’irripetibilità del gesto è forse la forza e al tempo stesso il limite più grande di questo re Mida capace di cambiare con le mani anche il sapore di un’alice semplicemente sfilettandola: è difficile trasmettere questo sapere a un allievo. Cosa, infatti, sostanzialmente mai successa. Il gesto irripetibile, il rapporto con la materia, la cessione di emozioni sono elementi fondamentali in questa cucina, tanto da impedire deleghe. Così come sono la  forza di uno stile riconoscibile tra mille, fatto di conoscenza maniacale  del prodotto, qualunque esso sia, senza trucchi o alchimie tecniche”.

Racconti di vita e di cucina, storie di brigate e di incontri fatali, ricette simbolo e introvabili. Questi gli spunti per narrare l’evoluzione della cucina italiana negli ultimi cinquant’anni. “Cronache Golose. Vite e storie di cuochi italiani” è il lavoro a quattro mani di Marco Balasco e Marco Trabucco per Slow Food Editore.
Dall’Harry’s Bar al Trigabolo, da Alfonso Iaccarino a Massimo Bottura, da Lidia Alciati ad Annie Féolde, dal risotto mantecato di Nino Bergese all’assoluto di cipolle di Niko Romito. Un appassionante viaggio nell’alta ristorazione italiana di oggi senza dimenticare i grandi di ieri. Per scoprire cosa nasconde un grande piatto.

Vi bastano “101 motivi”?

Newton Compton ChronicaLibriROMA – La collana Centouno della Newton Compton Editori continua a riservare sorprese. E’ di qualche settimana la pubblicazione di “101 motivi per cui le donne sono più intelligenti degli uomini ma non sono al potere” di Federica Morrone.
«Le donne costituiscono la metà migliore dell’umanità», questo diceva il Mahatma Gandhi e, a ben vedere, come si può dargli torto?
Le donne possiedono un mix di impegno, competenza, capacità, resistenza, indipendenza, che le rende “superiori” agli uomini. Comprendono, grazie al loro intuito, ciò a cui gli uomini arrivano solo con il ragionamento. Sono capaci di prendere decisioni complesse in tempi brevi, di uscire dagli schemi per trovare soluzioni fantasiose ma sempre efficaci. E allora, perché stentano a ottenere ruoli di potere? Perché continuano a occupare posizioni marginali nella società? La loro mancata affermazione è dovuta a una lunga serie di discriminazioni e pregiudizi, ma non solo. A volte sono le donne stesse a rinunciare, a voler rimanere nell’ombra, quasi fossero oppresse da un atavico complesso d’inferiorità. Ripercorrendo i molteplici aspetti, spesso anche contraddittori, dell’universo femminile, Federica Morrone evidenzia i motivi che impediscono alle donne di raggiungere traguardi lavorativi molto ambiti, ma ci racconta, al tempo stesso, le esperienze di tutte quelle che, nonostante tutto, ce l’hanno fatta: donne come Anna Politkovskaja, Aung San Suu Kyi, Angela Merkel, Serena Dandini, Daria Bignardi, e molte altre.
• L’intuito femminile? Dono genetico• Femmine un giorno e poi madri per sempre• La rivoluzione delle donne normali• L’emisfero destro della donna• Il dono esclusivo della femminilità• La natura crudele della donna• L’involuzione conformista• Una superiorità pericolosa• Il potere di Arianna• Donne, allenatevi!• Dietro c’è sempre una grande donna• Il seme della non violenza• Quell’irresistibile ambiguità• L’archetipo del guerriero

“Il violino del signor Stradivari”

ROMA – Arriva alla seconda edizione “Il violino del signor Stradivari”, il libro di Paola Pacetti pubblicato dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
Prendete due fratelli, due tipi svegli di otto e dieci anni e buttateli in un’avventura niente male sulle tracce di un violino scomparso. Non si tratta di un violino qualunque, ma di un famoso Stradivari, misteriosamente sparito da un’asta.

Per risolvere l’enigma ci vuole l’aiuto di qualcuno che ne sappia di più, per esempio una zia un po’ mattacchiona e il suo amico violinista.
Un tranquillo week-end di sorprese si trasforma nella divertente avventura di un grande musicista.

London Book Fair, l’editoria italiana in trasferta a Londra

LONDRA – Sono oltre cinquanta le case editrici italiane presenti alla London Book Fair, il grande appuntamento per lo scambio dei diritti in programma fino al 18 aprile a Earls Court One, nel cuore di Londra. Il nostro Paese partecipa con uno stand collettivo (stand G605) di 130 mq, realizzato dall’Associazione Italiana Editori (AIE) in collaborazione con l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (ex ICE), in cui esporranno 23 aziende italiane: 24 Ore Cultura, Black Cat Cideb, Bologna Children’s Book Fair, Corraini Edizioni, Donzelli Editore, Edi.Ermes, Ediciclo, Edizioni Gribaudo, Egea, Gruppo Albatros Il Filo, Ibiskos-Ulivieri, Idearte, Logos, Editoriale Jaca Book, Magnus Edizioni, Momento Medico Group, Franco Cosimo Panini Editore, Piccin Nuova Libraria, Printer Trento, Psicologica Editrice, Sassi Editore, Società Editrice Dante Alighieri, Utet Unione Tipografica-Editrice Torinese.

La London Book Fair per questa edizione registra oltre 1550 espositori provenienti da 57 Paesi su una superficie espositiva complessiva di 17.500 mq. Paese ospite d’onore sarà la Cina.

Focus su Arrow – L’Italia propone per oggi, martedì, 17 aprile, il seminario “Go digital now! Quick and easy digitization with the Arrow rights information system”, in programma nella Cromwell room di Earls Court One alle 11,30. L’appuntamento fornirà una panoramica sulle sfide che le biblioteche devono affrontare nei progetti di digitalizzazione su larga scala, sulle problematiche giuridiche e sulle soluzioni applicate a livello europeo, illustrando in particolare i benefici dell’utilizzo del sistema ARROW – ideato e realizzato nell’ambito dell’omonimo progetto europeo coordinato da AIE – come sistema di ricerca dello stato di diritto di un’opera e dell’identificazione degli autori, editori e altri titolari di diritti. In questa occasione sarà anche fornito un esempio dell’utilizzo di ARROW in un caso concreto attraverso la testimonianza di una istituzione, il Wellcome Trust inglese.

Interverranno, moderati da Jim Parker (Director of Public Lending Right UK), Piero Attanasio di AIE, Sarah Faulder – Publishers Licensing Society, Christy Henshaw – Wellcome Trust e il professor Charles Oppenheim.

 

Fonte AIE

VerbErrando:Trentatré

Veruska Armonioso
MILANO
– A Milano piove. Dicono che andrà avanti ancora per dieci giorni. L’ho trovata così quando sono arrivata venerdì scorso… alle otto e cinquanta del mattino la Stazione Centrale era una sfinge bagnata, silenziosa e addormentata… come me, che avevo lasciato Roma con il treno delle sei, dopo un sonno piccolo, figlio di una serata senza fondo con vecchie birre e un amico nuovo.

Da quando il lavoro mi porta a Milano il treno è diventato uno dei miei nonluoghi preferiti… cerco di prenotare sempre la stessa seduta, anche se in carrozze diverse, così da mantenere un senso di familiarità che renda il mio nonluogo ospitale… all’occorrenza un letto, spesso un ufficio, a volte (quelle più fortunate) un salotto; comunque un osservatorio. Proprio sul treno penso di aver capito che non sarò mai una grande scrittrice… l’ho capito leggendo un’intervista a Céline…quando chiedi a uno scrittore cosa ami di più tra la conoscenza e l’immaginazione non ti risponde mai la conoscenza, invece io ho sempre preferito indagare piuttosto che inventare, chiedere piuttosto che supporre…eh sì, c’era un tempo in cui, per me, chiedere era tutto… eppure smisi. Forse perché cominciai ad avere paura di non ricevere risposte, o forse perché cominciai a temere le riposte. Smisi di fare domande e così la mia carrozza di conoscenza, indagine, tracce, perse di resistenza fino a diventare un polveroso e pericolante carretto pieno di strumenti in disuso… magari è proprio da lì che proviene la mia passione per gli utensili antichi, abbandonati…è una passione che ho scoperto condividere con Paolo. L’ho scoperto sabato scorso alla cappelleria Mutinelli, durante una delle nostra passeggiate del sabato mattina. Da qualche tempo passeggiare di sabato mattina con Paolo per Milano è diventato un allenamento intellettuale. Insieme a lui c’è un gruppo di persone che si riuniscono e condividono conoscenza… letteratura che sedimenta nell’asfalto, negli anfratti delle rotaie del tram, sui muri dei palazzi, nelle pieghe della memoria di Milano. Si chiamano “Passeggiate d’autore” e ogni settimana incontri uno scrittore diverso, un libro diverso, un quartiere diverso e con loro un mondo nascosto, silente. E allora succede come sabato appena passato in cui Paolo (Melissi) ti guida per Porta Venezia e, senza dover chiedere, lui ti racconta cose.. .cose che vorresti proprio sapere… con lui le “donne di carta”, donne che non recitano ma ‘dicono a memoria’ estratti dai libri a cui le passeggiate sono ispirate. Costeggiando i confini immaginari di quello che un tempo era il Lazzaretto finisci, così, per incontrare la chiesa Di San Nicola. E’ la vigilia di Pasqua per la Chiesa Ortodossa e questo prevede un rito chiamato “miracolo della luce”. La tradizione vuole che, nel buio prima della mezzanotte, il vescovo accenda trentatré candele da portare in processione per le vie della città e che, per i primi trentatré minuti, il fuoco di quelle candele non bruci ciò con cui entra in contatto. Trentatré minuti di grazia, di trentatré candele di luce senza calore, di fiamma senza pericolo. Trentatré minuti in cui si potrebbe ancora correre il rischio di chiedere…per trentatré minuti almeno. Ho sempre saputo di aver perso dei passaggi chiave nella costruzione della mia coscienza emozionale. Mi domandavo cosa ne sarebbe stato di me se avessi saputo fin da subito come si fa … come si fa a riconoscere un’emozione, attribuendole il giusto nome, individuandone i tratti distintivi, senza errori, senza confonderla con altro…e poi come si fa a prenderla in mano quell’emozione e a tenerla senza farla cadere o, peggio, mandarla via. Infine, come si fa ad affrontarla…viverla insomma…o, se non altro, camminarci accanto restando vivi.

Ero cresciuta poggiando i piedi su un basamento solido che diceva così:

“Alcuni vanno alla ricerca di luoghi in cui ritirarsi, in campagna, al mare o sui monti, e anche tu hai l’abitudine di desiderare ardentemente tutto questo. Però è quanto mai sciocco, dato che puoi, in qualunque momento tu voglia, ritirarti in te stesso. Perché in nessun luogo più tranquillo e calmo della propria anima ci si può ritirare; soprattutto se si hanno dentro di sé i princìpi tali che, al solo contemplarli, si acquista una perfetta serenità. E per serenità non intendo altro che ordine interiore.” Marco Aurelio me lo aveva insegnato quando avevo tredici anni e io avevo cercato di tenerlo sempre a mente. Solo che non avevo considerato che sapere dove cercare qualcosa non volesse dire trovarla. E allora da un po’ avevo cominciato ad associare fraintendimento a comunicazione e a pensare cosa succede quando si comunica con diversi codici e ci si fraintende…a lungo…di continuo.
Succede che ci si perde. Succedono i distacchi, le separazioni…succedono gli addii.
Succedono valigie fuori dalla porta, lacrime, parole piene di spigoli…succedono reazioni, cariche di brutte intenzioni, succedono illusioni, delusioni.
Succede che non ci si capisce. E si comincia ad avere paura.

Nei rapporti tra umani rintraccio tutta la solitudine dei contenitori vuoti, siamo sempre più simili a scatole, bellissime, curate nelle rifiniture, ma senza contenuto….così le relazioni diventano condivisioni di spazi vuoti riempiti a forza da inutili gingilli che distraggano dalle mancanze. Cosa ci manca per essere uomini e non solo esseri umani? Per capirci? Forse usiamo codici diversi? No, temo si tratti di altro. Penso che non abbiamo codici, e quando andiamo a decodificare una reazione ad esempio, la interpretiamo male perché è frutto di un’azione svolta senza criterio, senza codice. Continuo ossessivamente a domandarmi da un po’ che cosa ne sarebbe stato di noi se, alle scuole materne o alle elementari, avessimo ricevuto lezioni di sentimenti.
Così ieri sera, con quelle trentatré candele in mano, ho deciso di ricominciare a chiedere. A Giovanni ad esempio, che tra poco diventerà sacerdote, di fare la Pasqua con loro; di condividere con me le loro uova e i loro tozzi di pane secco. E poi ho deciso di chiedere altro, a un’altra persona. E sono andata a bussare alle porte di Dario Borso. Che è, sì, uomo dall’intelletto sopraffino e dalla sconfinata cultura, traduttore di bravura inestimabile e docente universitario di prim’ordine, ma prima di tutto un conoscitore delle filosofie dei più grandi pensatori, un uomo capace di rintracciare e sintetizzare l’essenza delle cose. Allora gli ho chiesto… di scegliere un sentimento, uno qualunque, e di insegnarmi a capirlo come se fossi sua sorella…

Non avrei dubbi: la curiosità. Che deriva da cura. Curiosità è prendersi cura chiedendo: cur? in realtà viene da cuor, perciò non è un sentimento freddo, e come l’amor parte da un vuoto/mancanza/bisogno. Sete di sapere/fame di… insomma, la curiosità comincia con una confessione: d’ignoranza.

Mh…poi però deve essere successo qualcosa, perché provare curiosità è diventato un sentimento di cui avere pudore… Sempre meno si ha in stima il curioso, sempre più si associa la curiosità all’invadenza. Allora, cos’è cambiato… quando è successo?

Da sempre la curiosità è associata al pudore e al divieto: Ulisse finì all’inferno, no?Adamo fu curioso, ogni curiosità prevede un velo da sfondare, o almeno da scostare. La chiesa cattolica, quindi stato e famiglia, sono concrezioni patologiche di blocco della curiosità. Come diceva Paolo di Tarso “la legge crea il peccato”, perciò la curiosità è vista come invadenza di un territorio altrui. In realtà la curiosità di per sé è una forma altissima di rispetto… rispetto da respicio = guardo due volte, ossia guardo con cura: curiosità. Piuttosto, ultimamente si è diffusa una curiosità strana, senza cura: si curiosa senza neanche guardare, si fruga cioè, si cerca/crea l’osceno, il fuori scena oltre, o meglio sotto il divieto. Se curiosare è nevrotico, frugare è psicotico.

Quindi inibire la curiosità è un effetto della diseducazione al sentimento… e come mi educo alla curiosità?

Alla curiosità ti educhi soddisfacendola. Se è vero che la legge crea il peccato, essa crea parimenti il piacere, è come l’assicella del salto in alto. L’ignoto è oltre i valori, se ne fosse assogettato, sarebbe noto. Ciò crea paura, solitudine, ma contemporaneamente spinge all’unione, all’alleanza. La ricerca colllettiva/curiosa dell’ignoto è la fonte della società perfetta, che è anche la più imperfetta, perché priva di tutto, vuota.

E cosa mi dici della delusione allora? Uno dei pericoli in cui si rischia di cadere per soddisfare la curiosità è proprio quello…la delusione per la conoscenza dell’ignoto…

La delusione è il rovescio dell’illusione, e il ludus si gioca tra soggetti, non tra soggetto e oggetto: l’ignoto né illude né delude. La curiosità tra soggetti è reciproca, raddoppiata rispetto a quella per l’ignoto. E’ il campo del patto e della promessa, in una parola del futuro.

Il campo del patto e della promessa…

Prendiamola da un altro lato: osservare, ob-servare, serbare davanti. Curiosità, rispetto, osserv… anza. per serbare davanti, devi essere sicuro dietro (il timoniere di Ulisse). Il patto è di rispettare/osservare una promessa. Pro-messa è l’apertura al mondo… una famiglia, una società, un mondo va a ramengo se alla base manca ciò.

Delusione, ludus, cor, Ulisse, ignoto, solitudine… mica un passo da niente. Del resto, però, se si chiede aiuto a qualcuno, poi bisogna affidarsi a lui. E allora sia!
Così avrà inizio il mio viaggio… e l’inizio partirà da qui.
Un viaggio alla scoperta del mondo, con un occhio verso Ulisse e l’altro verso il suo timoniere.
Trentatré candele ancora da accendere sul comodino e una promessa a me stessa: non avere più ’70aura dell’ignoto.
Una curiosità da alimentare, soddifacendola, senza paura e poi… giocare, giocare, e ancora giocare…
…forse, così, finalmente, imparerò anch’io a immaginare.

“La libertà interiore” – Marco Aurelio (ed.Mondadori)
Passeggiate d’autore – Associazione Pluriversi (pluriversi@gmail.com)
Chiesa Russa Ortodossa di San Nicola – Via San Gregorio, Milano (15 Aprile 2012 Pasqua Ortodossa)