Slow Food Editore: “Le Carte del Vino”, un viaggio enologico lungo 8000 anni attraverso 56 Paesi

Giulia Siena
PARMA – Parlare di vino non è mai parlare esclusivamente di un prodotto. Parlare di vino significa raccontare una storia, risalire ai luoghi, al clima, alle persone e ai momenti; significa osservare il terreno, ascoltare il vento, assaporare il sole e lasciarsi bagnare dalla pioggia. Parlare di vino significa avere pazienza, gustare l’attesa perché quello che troviamo in un bicchiere non è altro che il risultato di molte fasi che vanno percorse. Parlare di vino vuol dire abbracciare più tematiche e ascoltare con tutti i sensi.

Le Carte del Vino. Atlante dei vigneti del mondo asseconda alla perfezione questa esigenza di percorrere il mondo vitivinicolo e intrecciare le sensazione olfattive e gustative con la storia, la geografia e le tante evoluzioni delle tecniche di vinificazione. Il volume – un atlante prezioso e completo – è frutto del lavoro sinergico tra Adrien Grant Smith Bianchi e Jules Gaubert-Turpin che raccoglie 8000 anni di storia cadenzati in 100 carte geografiche di 56 Paesi. Questo lungimirante progetto, pubblicato da Slow Food Editore, è un ottimo strumento di conoscenza e supporto per addetti ai lavori e interessante percorso conoscitivo per semplici appassionati che vogliono approcciarsi o approfondire le tematiche enologiche. Continua

I tanti gusti (e sapori) del leggere…

libri-slow-foodGiulio Gasperini
AOSTA – Sul cibo si scrivono sempre opere deliziose e gustose. E l’accoppiata cibo-letteratura ha sempre avuto dei rapporti stretti. Lo testimonia anche l’iniziativa dell’associazione Slow Food, che ha deciso di presentare una serie di brevi racconti di “cucina letteraria” in una “piccola biblioteca”, curata da Giovanni Nucci, che vede interventi, tra gli altri, di Simonetta Agnello Hornby, Nicola Lagioia, Massimo Carlotto, Moni Ovadia e Matteo Codignola. In ogni volume, oltre alla storia, sono “raccontate” una serie di ricette deliziose, da riproporre e assaporare in continuazione.
La “Metamorfosi” di Kafka è lo spunto da cui parte l’avventura raccontata da Moni Ovadia, che ci accompagna così in un dolcissimo viaggio tra i prodotti tipici dell’arte dolciaria ebraica. La storia è nota: un uomo si sveglia e non è più un uomo, ma qualche altra cosa; in “Il glicomane” l’uomo in questione si ritrova trasformato in un dolce; ma non perché abbia preso l’aspetto di un budino o di una ciambella; ha semplicemente troppo zucchero nel sangue per essere un uomo: dovrebbe essere già in coma, ma lui continua a vivere. La sua smodata passione per i dolci lo ha cambiato costituzionalmente: non c’è nessuna soluzione, perché il suo cambiamento è un “evento mistico”: la passione per i dolci ha “provocato un cortocircuito nelle relazioni biopsichiche” dell’organismo. Uno dei suoi dolci preferiti, una sorta di madeleine proustina, che lo riporta all’infanzia e lo fa cullare nei ricordi è la khalvà, il sui ingrediente principale è una pasta oleosa di sesamo detta tkhina, lavorata poi con zucchero, miele e aromatizzata alla vaniglia.
Massimo Carlotto racconta invece, in “L’arrosto argentino”, il rito sontuoso dell’asado: inseguendo la storia di Zorro, il protagonista del breve ma sapido racconto incontra a Buenos Aires un uomo di origine veneta, che di Zorro era stato assistente nel suo circo. Con questo sconosciuto, Vinicio Ortolan, si instaura un rapporto difficile e complesso, giocato su reticenze, omertà e rumorosi silenzi, gravidi di parole. Ogni incontro, ogni dialogo, è scandito dal rito del cibo: non solo della sua degustazione, della piacevolezza del gusto che esplode in bocca, ma anche della sua preparazione, dei sensi che lentamente sono accesi e funzionali, dell’arte nel saper dosare, poggiare, lasciare in cottura, girare e profumare. Il consumo dell’asado argentino ha una sua teoria, complessa ed elaborata, colma di una sua dignità estrema: il buon asado può essere jugoso, a punto, bien cocido, crocante. E l’asador è il sacerdote che supervisiona la perfetta e compiuta realizzazione dell’incantesimo. A fianco dell’asado, ci sono le salse, che spesso anticipano la cottura. E tutte le verdure che contornano e sublimano il gusto. L’asado è “un rito, una liturgia dedicata all’amicizia”: “Sono trascorsi molti anni e non ho mai smesso di arrostire, mescolando culture diverse, per celebrare il rito della conversada amistad”. Anche se l’asador, nel suo ruolo sacerdotale, è solitario e scostante, dedito alla carne e alla sua cottura; non sono ammesse deroghe né concessioni: “A volte accendo il fuoco solo per me stesso. El gran solitario può sognare. O semplicemente ricordare”.

Cronache Golose. Vita e storie di cuochi italiani

ROMA – “Tutto nella cucina di Pierangelini rimanda all’esecuzione, al tocco, allo stile. L’irripetibilità del gesto è forse la forza e al tempo stesso il limite più grande di questo re Mida capace di cambiare con le mani anche il sapore di un’alice semplicemente sfilettandola: è difficile trasmettere questo sapere a un allievo. Cosa, infatti, sostanzialmente mai successa. Il gesto irripetibile, il rapporto con la materia, la cessione di emozioni sono elementi fondamentali in questa cucina, tanto da impedire deleghe. Così come sono la  forza di uno stile riconoscibile tra mille, fatto di conoscenza maniacale  del prodotto, qualunque esso sia, senza trucchi o alchimie tecniche”.

Racconti di vita e di cucina, storie di brigate e di incontri fatali, ricette simbolo e introvabili. Questi gli spunti per narrare l’evoluzione della cucina italiana negli ultimi cinquant’anni. “Cronache Golose. Vite e storie di cuochi italiani” è il lavoro a quattro mani di Marco Balasco e Marco Trabucco per Slow Food Editore.
Dall’Harry’s Bar al Trigabolo, da Alfonso Iaccarino a Massimo Bottura, da Lidia Alciati ad Annie Féolde, dal risotto mantecato di Nino Bergese all’assoluto di cipolle di Niko Romito. Un appassionante viaggio nell’alta ristorazione italiana di oggi senza dimenticare i grandi di ieri. Per scoprire cosa nasconde un grande piatto.