Giulia Siena
PARMA – Le poche cose certe (Mondadori) è la seconda prova narrativa di Valentina Farinaccio che, dopo La strada del ritorno è sempre più corta, torna a raccontare di figli, genitori, dolori, scoperte e attese.
Chiamarsi come il protagonista di un romanzo forse non aiuta a vivere la vita vera. Doveva saperlo fin da subito, Arturo, che quel nome lo avrebbe intrappolato senza farlo mai crescere, paralizzato, come un attore troppo impaurito per dire le proprie battute sulla scena. Arturo l’attore lo faceva davvero; era comparso in qualche film, fiction in tv, teatro, ma da qualche tempo, da quando quella ragazza lo aveva smascherato e consigliato di cambiare strada, si era rintanato nel suo silenzio, tra il tram, il suo bilocale e nuovo lavoro, un lavoro vero. Ed ora che l’inverno continuava il suo corso senza cedere ancora il passo alla primavera, ora si trovava sul quel tram, il 14, in attesa che il rottame ripartisse alla volta di un appuntamento con Atlantide; un’isola con le sembianze di una donna. Anche Arturo aveva la sua isola, il suo posto, il suo perché e il suo principio: è a Procida – luogo di ambientazione del famoso romanzo della Morante – che Immacolata, la mamma di Arturo, fuggì per fare chiarezza in sé. Di fronte a quel mare, osservando i capricci del tempo, Immacolata decise di dare un’opportunità a Dino e lasciar nascere quel bambino a cui avrebbe dato il nome del protagonista della penna di Morante. Arturo è un’isola – come la misteriosa ragazza che sta per raggiungere – Arturo è un uomo cresciuto senza mai diventare grande, vive incapace di muoversi e nuotare, eppure tutto intorno è vuoto, è mare che annega e spaventa. Lo stesso vuoto che sniffa da quella carta stagnola passatagli da Giovanni, il suo spacciatore di fiducia, accorso in suo aiuto non appena la disperazione, data dalla consapevolezza di un ritardo all’appuntamento con il futuro, è comparsa nel suo sguardo. Possibile futuro, perché per Arturo nulla è compimento, come l’amore per Celeste o l’arrivo di Cesare.
“Arturo era stato a un passo da ogni cosa, questo il nodo intricato della sua esistenza. Vicino alla morte, vicino all’amore. E tutto aveva mancato, e tutto aveva sporcato”.
Valentina Farinaccio con Le poche cose certe costruisce un romanzo in cui è forte – e quasi assordante – il senso di straniamento di Arturo, il moderno inetto che fugge da ogni cosa, fugge dalla vita. Arturo cerca sé stesso su un tram, nel ricordo di un’isola, nei gesti e nei vestiti del padre, nel suo sguardo contro i finestrini dei mezzi, negli occhi dei passanti, nelle tasche piene di niente, nella vita di un viandante, nelle pieghe del viso di un neonato. Arturo cerca ovunque, ma non si prende la briga di partire dalle sue scelte, dalle sue fughe e dai suoi rifiuti. Un lasso temporale di dieci anni narrati con parole evocative ed essenziali.
Non possiamo far altro che seguire il protagonista e il suo sguardo.