Virginia con gli occhi di Leonard

La morte di VirginiaLuca Vaudagnotto
AOSTA – La morte di Virginia (Woolf) è un omaggio che le Edizioni Lindau hanno voluto fare all’immensa e rivoluzionaria scrittrice inglese, uscito nelle librerie proprio nel mese in cui si ricorda il settantaquattresimo anniversario della sua morte; è tuttavia un omaggio ricercato, non scontato. Si tratta, nello specifico, di un capitolo dell’autobiografia di Leonard Woolf, The Journey Not the Arrival Matters, in cui l’autore, marito della scrittrice, saggista e scrittore anch’egli e poi, assieme alla consorte, editore, narra gli eventi, sia di portata mondiale sia relativi alla sfera familiare, tra la fine del 1939 e il 28 marzo 1941, data del suicidio della moglie.
Nella sua prosa piana e distesa, serena, Woolf racconta le sue due guerre: in primis il secondo conflitto mondiale e la vita nella campagna inglese da rifugiato, a causa dei bombardamenti su Londra, che l’autore descrive con occhio particolare. Oltre ad aver vissuto anche la Prima guerra mondiale, infatti, Woolf si ritrova ebreo e militante socialdemocratico in un paese con la minaccia del nemico alle porte (sono gli anni della resa della Francia e delle incursioni tedesche in suolo britannico). Questo gli permette di condurre un’analisi schietta e razionale, comparando entrambe le sue esperienze di guerra.
E la stessa schiettezza la troviamo nel reportage della sua seconda guerra, ovvero della lotta contro la depressione che affliggeva la moglie in questi anni accanto a lei. In questo caso, però, Leonard Woolf si rivela un narratore che ama lo sfondo, allo stesso modo in cui spesso viene giudicata, a torto, la sua vita nei confronti della moglie; pertanto non può fare a meno di lasciar parlare Virginia, riportando passi e pagine del suo “Diario di una scrittrice”, commentandoli a margine, cercando indizi della catastrofe, domandandosi se non ci fossero stati segni chiari e inequivocabili che magari non avesse colto. L’autobiografia diventa cronistoria nelle ultime pagine, dove Woolf si lancia correndo nella descrizione di ogni singolo momento e accadimento appena precedenti il ritrovamento del bastone della moglie accanto al fiume dove si era suicidata. E ci lascia, come a riprender fiato, con il brano celeberrimo della lettera di Virginia scritta per lui e l’immagine di quegli olmi gemelli, battezzati Leonard e Virginia, uno dei quali fu abbattuto nel ’43 da una forte burrasca, appena due anni dopo la morte della consorte.

Le “Bùlastrocche” che sconfiggono le paure dei bambini

BùlastroccheGiulio Gasperini
AOSTA – Marco Zanchi è un avvocato con la passione della poesia e delle filastrocche. Dopo il riuscito esperimento delle Gufilastrocche (La Toletta edizioni), i suoi testi tornano in libreria nel volume Bùlastrocche, edito da CLEUP (Coop. Libraria Editrice Università di Padova), con i disegni di sei bravissimi illustratori: Alessandro Coppola, Luca Monfardino, Sergio Olivotti, Miriam Serafin, Mariacecilia Tiozzo e Tommaso Vidus Rosin, e la postfazione di Livio Sossi, docente di letteratura per l’infanzia all’Università degli Studi di Udine e all’Università del Litorale di Koper (Capodistria).
Le “Bùlastrocche” sono raccolte in sei sezioni, ognuna illustrata da un autore diverso. Si inizia coi “Rimostri”, illustrati da Tommaso Vidus Rosin, una carrellata di filastrocche sui mostri che più diffusamente popolano gli incubi dei bambini, dall’orco (“tutto nero e pure sporco”) alla strega (“d’evitarla dunque prega”) allo yeti (“non c’è molto da star quieti”). I disegni di Luca Monfardino accompagnano la seconda parte, quella dei Mischiamostri: lo Spaventatutti (“Spaventar la sua missione”), Mummiao (“Gatto nero imbalsamato”) e la Sirenera (“di carattere astiosa / Sirenetta tenebrosa”). Le Cadaverime, le cui immagini di Sergio Olivotti così tanto ricordano il Tim Burton de La sposa cadavere, sono la terza sezione, dove compaiono gli abitanti del mondo dei morti: gli zombi (“rigidini come piombi”), lo scheletro (“della linea ne va fiero”), Dracula (“brutto pure è il suo castello”). Gli animaloschi sono i protagonisti della quarta sezione, decorata da Mariacecilia Tiozzo: il T.Rex (“era ghiotto di budino”), il serpente (“vorrebbe a tutti dare un gran morso”), lo squalo (“da domani via in montagna / là lo squalo non ti magna”). La quinta sezione è dedicata invece alle paure più diffuse tra i bambini, con le illustrazioni molto oscure di Miriam Serafin: la siringa (“tutti temon la siringa”), l’interrogazione (“e poi svieni per tre ore”), gli occhi nel buio (“vedi solo pelouche sopra il tuo letto”). L’ultima sezione, con le illustrazioni di Alessandro Coppola e il suo personaggio dai capelli rossi, è dedicata a paura più sociali e collettive: la fame (“resta il morso della fame”), l’inquinamento (“acqua putrida e fetente”), i ladri (“scoprirli in casa vestiti di nero”).
Le “Bùlastrocche” affrontano le paure più frequenti dei bambini, ma che spesso anche molti adulti cullano nel proprio intimo, incastonate nell’essere più profondo (e che troppo sovente non hanno il coraggio di affrontare compiutamente). Per questo, le “Bùlastrocche” sono uno strumento, quasi un mantra o un salmo da ripetere, per chiunque abbia a che fare con un’angoscia, un trauma, un terrore. Le immagini splendide dei sei illustratori trasportano la parole su un piano diverso, visivo e decorativo, colorato e spesso crudelmente evocativo, e danno più valore e più potenza al potere curativo delle rime e dei suoni. Sono giocose, è vero, queste filastrocche, ma si sa che il gioco ha potenzialità enormi, e la parola ancora di più.

Il diario di un ragazzo alla guerra del ’15.

Guerra del '15Giulio Gasperini
AOSTA – Ci sono dei libri oramai perduti che fa un gran piacere rileggere. Questo è il caso di Guerra del ‘15 di Giani Stuparich, uno degli ultimi intellettuali della cultura triestina, ristampato da Quodlibet nella collana “In ottavo grande”. La genesi di “Guerra del ‘15”, che in occasione del Centenario della Grande guerra diventa strumento notevole, è stata lunga e complessa: tanto ben descritta da Giuseppe Sandrini nel saggio a conclusione del volume: “Giani Stuparich: poesia e verità di un ‘semplice gregario’”. All’origine, “un taccuino tutto sporco di rosso terriccio del Carso”; di quel luogo dove Stuparich combatté come Sottotenente del 1° reggimento dei Granatieri di Sardegna, insieme al fratello Carlo.
“Guerra del ‘15” è un documento prezioso, per cercare di capire quella guerra che tanto ha significato per l’Italia e per intere generazioni di ragazzi entusiasti di un ideale. Dagli appunti di quel taccuino, Stuparich ha rielaborato le pagine di questo diario, pubblicato in una prima versione nel 1931. La guerra è fatta di appunti, di annotazioni, spesso in situazioni di emergenza (come le poesie di Ungaretti). È fatta di brevi e fulminanti considerazioni, spesso acquisite sotto il tiro delle granate o nei momenti di disfatta stanchezza. Quello che leggiamo, è un testo ovviamente riveduto e manipolato, ma ciò non lo priva della sua freschezza di testo diaristico, di narrazione intima e disperatamente autobiografica.
Sono frammenti di immagini, quelli che popolano “Guerra del ‘15”, schegge di ricordi che tessono una trama ancora più intensa e massiccia. La grande aggettivazione, l’accumulo sinonimico, il periodare breve brevissimo rendono un’immagine vivida, intensa, robusta del ricordo. È un diario che continuamente, ostinatamente (senza rassegnazione, però), ci parla di come la guerra cambia il mondo, peggiorandolo: “Le prime volte odoravano di pino tagliato di fresco, ora sanno, ogni volta di più, di marciume”). La natura viene descritta nel particolare, soffermandosi sulla sua bellezza, che spesso fa da contraltare alla furiosa devastazione prodotta dalla guerra o che viene distrutta e sterminata dalla barbara violenza della guerra stessa: un rapporto stretto e complesso, dunque, al quale il poeta-soldato non riesce ad abituarsi. La guerra è un meccanismo crudele, persino inspiegabile in certi elementi, è un abbrutimento umano dove ricompaiono i desideri dei bisogni più primari, a cominciare da quello del pulito. Tutto questo Stuparich ce lo racconta con uno stile perfetto, cesellato; l’italiano è elegante e ricercato (ma non artefatto né adulterato). Non c’è la fretta del diario, in questi appunti, ma c’è la naturalezza del racconto appassionato.
Quella della guerra del ’15 è stata senza dubbio una delle esperienze più impattanti della storia moderna dell’Italia, e dei ragazzi che si sono trovati a combattere tra trincee e montagne impervie per un’ideale che chissà quanto era stato compreso veramente. Giani Stuparich, con la sua testimonianza, ci prova che evidentemente l’ideale non sempre basta; e che, in definitiva, la guerra è soltanto un massacro.

I paradisi artificiali di Maria Callas

Sognando Maria CallasLuca Vaudagnotto
AOSTA – Sognando Maria Callas di Alessandro F. Ansuini è un libro anarchico e ardito. E beffardo. In una nota di lettura che apre il volume, edito da Meridiano Zero, il lettore viene avvisato che in realtà sta leggendo due libri, un romanzo e una raccolta di racconti: questi racconti, che riempiono la seconda parte, sono collegati alla vicenda principale da alcune parole o frasi che si trovano sottolineate nel testo e che ne diventano il titolo. Ci ritroviamo a leggere, insomma, la deriva di un’esistenza, quella del protagonista Enea, in quel popoloso deserto che appellano Bologna, a cui sono collegate, tramite questi link che ricordano un po’ i librogame degli anni ’90, altre esistenze e altre derive: coppie di scambisti, bellissime dj osservate da ragazze brutte e complessate, un gruppo di poliziotti in servizio. Ad accompagnare questo vagare di Enea, Maria Callas che canta nelle sue cuffie, come un rifugio, un paradiso artificiale dove tutto trova tregua.
Ma l’autore Ansuini è ardito, l’abbiamo detto, e si spinge ancora oltre: procedendo con la lettura ci rendiamo conto che il romanzo principale non è che un pre-testo, un contenitore che ingloba in sé un mare di coscienze collettive, o entità psichiche, che confluiscono in un gigantesco flusso di coscienza, fatto non solo di pensieri, ma ricordi, incontri, impressioni, esistenze vere o ipotetiche, o ancora immaginate, come nel caso dei copioni di film possibili, presenti nei racconti; e il lettore crede a tutto questo, perché a ben guardare ad ognuno di noi, quando cammina per strada, succede lo stesso. E pure i racconti non sono racconti: sono dialoghi, sono frasi, sono riflessioni, sono flashback.
Esplodono le forme letterarie, esplode il linguaggio: l’autore fa uso di un italiano contemporaneo, l’italiano del pensiero della gente, arricchendolo di immagini e figure ardite, appunto, e stuzzicanti (“il tuorlo di un giorno”, oppure “la calligrafia della rete elettrica di Bologna”), senza mai diventare lezioso o artificioso.
Infine l’inganno: sì, perché dopo averci fatto credere nell’effettiva esistenza di questo magma di coscienze, scopriamo che ci siamo sbagliati, che tutto ciò non esiste, che il romanzo andrebbe riletto. E comunque non troveremmo la risposta alla domanda cruciale: la vita pensata e la vita vissuta sono davvero entità separate?

Lo stato (disastroso) della poesia contemporanea.

Le mucche non leggono MontaleGiulio Gasperini
AOSTA – Il saggio di Giulio Maffii, Le mucche non leggono Montale, edito da Marco Saya Edizioni (2015), inizia provocatoriamente dall’altrettanto provocatoria affermazione di Montale: “La poesia è l’arte tecnicamente alla portata di tutti”. Era il 1975 e Montale lesse il suo discorso, dal titolo “È ancora possibile la poesia?”, di fronte all’Accademia di Svezia ritirando il Premio Nobel. Da questa evidenza (una penna e un foglio sono alla portata di tutti) inizia l’invettiva di Maffii contro la pletora di presunti poeti e poetucoli che intasano il mercato editoriale, scegliendo le case editrici self-publishing, organizzando presentazioni a uso e consumo di parenti e amici e trovando un valido alleato anche nelle infinite possibilità di evidenza che i social network consentono.
Ma la poesia, per Maffii, non è soltanto tecnica, come molti potrebbero erroneamente pensare: “La forma è un elemento basilare ma non è tutto”. Perché il poeta ha fondamentale bisogno anche di un IO poetico che sappia giocare con le parole, le sappia consegnare nuovi significanti che non sono i soliti, che sappia lanciare uno sguardo inedito su argomenti magari inflazionati da precedenti scrittori e poeti. Non si tratta soltanto di un’abilità tecnica nel mettere in fila suoni e rime; si tratta anche di dare un contenuto che sia originale e non eternamente banale.
In un paese, come l’Italia, dove tanti (quasi tutti) scrivono ma pochi (quasi nessuno) legge, secondo Maffii si annida l’altro grande problema della poesia contemporanea: il poeta dovrebbe prima di tutto leggere gli altri, perché non si può scrivere nuova poesia se non si conosce che cosa, di poesia, è già stato scritto, principalmente da scrittori ben più ispirati. Altrimenti rimane un poeta inutile. Totalmente inutile: “Il rifiuto a leggere non può portare che a un disastro sociale che vedrà i poteri forti usare l’ignoranza come centro di comando”.
A far da contrappeso a questa vis polemica (e persino apocalittica), Giulio Maffii inserisce capitoli di breve critica su alcuni grandi poeti e poetesse del passato, magari ad oggi dimenticati. Ad esempio, parla di Majakovskij, citando i dodici punti (in “A piena voce”) “una sorta di mini compendio ad uso di chi ‘voglia diventare poeta… pur avendo cognizione che la poesia è una delle attività produttive più difficoltose”. Oppure ricordando le scelte di Margherita Guidacci, che si è sempre rifiutata di sottostare a determinate regole “di mercato” e culturali ed è stata condannata a un lungo e intenso abbandono poetico. Oppure, ancora, lo scrittore Cernuda, appartenente alla stessa “Generación del 27” di Federico García Lorca, che è rimasto poeticamente soffocato dal successo dei suoi compagni, pur meritando un ruolo di primo piano nella ricerca poetica spagnola.
Il discorso di Maffii procede in maniera semplice e diretta, senza mezzi termini né risparmiandosi critiche a un sistema dal quale pare difficilissimo uscire. Come soluzione, la proposta di modelli poetici raffinati e completi. Come a dire che soltanto riconsegnandosi alla vera poesia ci si può salvare da quella pessima (e abbondante).

Bologna Children’s Book Fair 2015: novità e notizie dal mondo del libro per ragazzi

bologna BFBOLOGNA – E’ in corso la 52esima edizione di Bologna Children’s Book Fair, la Fiera del Libro per Ragazzi che ha aperto i battenti lunedì 30 marzo e continuerà fino a domani, giovedì 2 aprile. Circa 1.200 espositori con una rappresentanza di oltre 70 Paesi e la Croazia come nazione ospite di questa edizione ricca di novità, libri e protagonisti.

 

PREMIO STREGA RAGAZZI
Tra le novità dell’edizione 2015 di Bologna Children’s Book Fair c’è il Premio Strega Ragazzi. Andare alle radici della passione per la lettura, promuoverne il valore formativo e culturale, scoprire quali sono le storie più amate dando voce ai bambini e ai ragazzi fra i 6 e i 16 anni. Con queste finalità la Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna, il Centro per il Libro e la Lettura e la Fondazione Maria e Goffredo Bellonci lavoreranno per dare vita al Premio Strega Ragazzi, come annunciato durante l’inaugurazione della 52esima Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna. Un’iniziativa che vedrà per la prima volta coinvolti insieme il più importante premio letterario nazionale – promosso da Fondazione Bellonci e Strega Alberti Benevento con il sostegno di Unindustria –, il principale soggetto istituzionale di promozione della lettura e la più grande fiera editoriale per ragazzi. La Bologna Children’s Book Fair, infatti, è da oltre cinquant’anni il punto di riferimento internazionale per editori, autori e illustratori, che a Bologna si incontrano per avviare collaborazioni, scambiare diritti, conoscere le nuove tendenze del settore e così migliorare sempre più l’offerta di contenuti.
Nel segno dell’attività pluriennale di diffusione della lettura, testimoniata dal successo del Premio Strega Giovani (assegnato da una giuria di quattrocento studenti delle scuole secondarie superiori), il Premio Strega Ragazzi “è un nuovo, entusiasmante progetto che nasce per valorizzare l’eccellenza della narrativa per bambini e ragazzi” dichiara Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione Bellonci, “un settore che resiste ad ogni crisi e riconferma ogni anno il proprio ruolo strategico: in un Paese in cui solo il 41% della popolazione ha letto almeno un libro nel 2014, i dati in controtendenza arrivano proprio dai lettori tra gli 11 e i 19 anni, che superano quota 50% con un indice ancora più positivo – il 53,5% – nella fascia di età tra gli 11 e i 14 anni”.

Agli studenti di scuole elementari e medie diffuse in tutta Italia spetterà il “compito” di decretare i vincitori della prima edizione del Premio Strega Ragazzi. Una Commissione di esperti selezionerà due cinquine, una di libri per bambini dai 6 ai 11 anni, l’altra per ragazzi dai 12 ai 16, che saranno annunciate in autunno nell’ambito della seconda edizione di Libriamoci (26-31 ottobre), le giornate di lettura a voce alta nelle scuole promosse dal Centro per il libro e la lettura. La parola passerà quindi ai piccoli votanti per scegliere i due libri vincitori, che saranno resi noti alla prossima Fiera del libro per ragazzi. Bambini e ragazzi saranno dunque lettori e giudici allo stesso tempo, ci indicheranno le loro tendenze di lettura, i temi che più li appassionano e che vorrebbero approfondire. Sapere cosa cattura l’interesse di questi piccoli, grandi lettori è la chiave per costruire un futuro più ricco di storie e conoscenza.