Meridiano Zero: il macello della peste in un romanzo di Paola Prosciuttini, “La mannaia”

Marilena Giulianetti
ROMA – Prima e dopo. Nel mezzo la tragedia. Il presente non esiste, annullato dalla lugubre spirale che falcia l’umanità. E il futuro? Chi non ha presente non ha neppure futuro. Solo la pestilenza e la paura esistono. Macabra e potente Paola Presciuttini avvince e coinvolge nel romanzo La mannaia – Il macello della peste, edito da Meridiano Zero.
Culla di civiltà e delle arti Firenze è il centro nevralgico dei commerci tra Asia ed Europa. Certo, la famiglia di nascita determina il censo e tutte le possibilità cui gli uomini avranno accesso nella vita; i ricchi arricchiscono e i poveri restano tali. Scorre così la vita nella straordinaria Firenze, con le sue severe ingiustizie e le pavide certezze. Scorre la vita finché il morbo si abbatte spietato. E’ il 1348 e Firenze viene travolta dalla peste. Continua

Meridiano Zero: “Ad ogni costo”, l’ultimo capitolo della trilogia firmata da Emiliano Reali

Giulia Siena
PARMA – “Desideria si era stupita di come fosse piacevole sentirsi ancora parte di qualcosa di più grande, l’aver trascurato le abitudine le aveva regalato nuovi stimoli e tanta adrenalina, la stessa adrenalina che aveva donato alla sua allieva Bambi quando decise di educarla. Un’educazione sentimentale, un’educazione alla sopravvivenza, un’educazione alla ribellione quando vogliono costringerti a essere altro da quello che senti”. Partiamo da qui perché la chiave di Ad ogni costo, il libro che chiude la trilogia firmata da Emiliano Reali (insieme a Se Bambi fosse trans e Maschio o femmina? Meridiano Zero), è in queste semplici e dense parole: “un’educazione alla ribellione quando vogliono costringerti a essere altro da quello che senti”.
Le vite costruite e intrecciate dall’autore romano in quest’ultimo capitolo della sua opera letteraria indossano le ali, si prendono per mano e compiono quel destino che con fatica e impegno si sono regalati. Emiliano Reali con Ad ogni costo è riuscito nell’intento di narrare sofferenze che mutano in emozioni; un riscatto, una ribellione per la sopravvivenza e la vita. Continua

Meridiano Zero: “Il romanzo di Matilda”, la vita e le imprese di una donna tenace

il romanzo di Matilda_Meridiano Zero _ chronicalibriGiorgia Sbuelz
ROMA – Il romanzo di Matilda di Elisa Guidelli pubblicato da Meridiano Zero, rispolvera la figura storica della Grancontessa di Canossa, nota ai posteri per la parte da mediatrice che ebbe nel periodo delle lotte per le investiture e, soprattutto, per l’episodio che riguarda l’umiliazione del sovrano Enrico IV di Franconia, nell’ormai celeberrima rappresentazione che lo ritrae penitente al cospetto di papa Gregorio VII. Ma Matilda di Canossa fu molto di più e Elisa Guidelli, dopo una ricerca storiografica durata ben dieci anni, ci restituisce il ritratto di una donna sorprendentemente moderna, dalle eccezionali abilità politiche, conscia della sua femminilità e fiera della sua genealogia. Continua

Emiliano Reali: “Maschio o femmina?” torna Bambi insieme a una manciata di nuove vite

maschio o femmina_realiGiulia Siena
ROMA – Partiamo dalla fine. Bambi torna ed è pronta. Ma pronta per cosa, e dove è stata tutto questo tempo? Dopo Se Bambi fosse trans? la protagonista della penna di Emiliano Reali torna con Maschio o femmina? (arriva anche la nuova edizione del precedente romanzo, entrambi pubblicati da Meridiano Zero) e lo fa attraverso un romanzo ricco di vite ed enigmi.  Continua

I paradisi artificiali di Maria Callas

Sognando Maria CallasLuca Vaudagnotto
AOSTA – Sognando Maria Callas di Alessandro F. Ansuini è un libro anarchico e ardito. E beffardo. In una nota di lettura che apre il volume, edito da Meridiano Zero, il lettore viene avvisato che in realtà sta leggendo due libri, un romanzo e una raccolta di racconti: questi racconti, che riempiono la seconda parte, sono collegati alla vicenda principale da alcune parole o frasi che si trovano sottolineate nel testo e che ne diventano il titolo. Ci ritroviamo a leggere, insomma, la deriva di un’esistenza, quella del protagonista Enea, in quel popoloso deserto che appellano Bologna, a cui sono collegate, tramite questi link che ricordano un po’ i librogame degli anni ’90, altre esistenze e altre derive: coppie di scambisti, bellissime dj osservate da ragazze brutte e complessate, un gruppo di poliziotti in servizio. Ad accompagnare questo vagare di Enea, Maria Callas che canta nelle sue cuffie, come un rifugio, un paradiso artificiale dove tutto trova tregua.
Ma l’autore Ansuini è ardito, l’abbiamo detto, e si spinge ancora oltre: procedendo con la lettura ci rendiamo conto che il romanzo principale non è che un pre-testo, un contenitore che ingloba in sé un mare di coscienze collettive, o entità psichiche, che confluiscono in un gigantesco flusso di coscienza, fatto non solo di pensieri, ma ricordi, incontri, impressioni, esistenze vere o ipotetiche, o ancora immaginate, come nel caso dei copioni di film possibili, presenti nei racconti; e il lettore crede a tutto questo, perché a ben guardare ad ognuno di noi, quando cammina per strada, succede lo stesso. E pure i racconti non sono racconti: sono dialoghi, sono frasi, sono riflessioni, sono flashback.
Esplodono le forme letterarie, esplode il linguaggio: l’autore fa uso di un italiano contemporaneo, l’italiano del pensiero della gente, arricchendolo di immagini e figure ardite, appunto, e stuzzicanti (“il tuorlo di un giorno”, oppure “la calligrafia della rete elettrica di Bologna”), senza mai diventare lezioso o artificioso.
Infine l’inganno: sì, perché dopo averci fatto credere nell’effettiva esistenza di questo magma di coscienze, scopriamo che ci siamo sbagliati, che tutto ciò non esiste, che il romanzo andrebbe riletto. E comunque non troveremmo la risposta alla domanda cruciale: la vita pensata e la vita vissuta sono davvero entità separate?

“Sono tutti bravi a morire” di Niccolò Zancan: la città oltre le apparenze

Zancan_BraviaMorireGiorgia Sbuelz
ROMA – Milton Manera era la prima firma della cronaca, aveva camicie con bottoni color madreperla, una casa che divideva con la donna dei suoi sogni e una debolezza per i massaggi (erotici) cinesi, con cui ha fatto saltare in aria carriera, relazione e reputazione.

Dopo il supplizio della condanna pubblica operata, immancabilmente, dai suoi colleghi, si reinventa in una nuova poco onorevole professione: fornitore di alibi per coniugi fedifraghi. Mentre legge fra le righe del foglietto illustrativo di una confezione di psicofarmaci la penosità della sua attuale esistenza, bussa alla sua porta un’opportunità di riscatto travestita da proposta lavorativa.

 

Stavolta dovrà procurare un alibi per l’avvocato Rigamonti, persona bene in vista in città, ma con molti segreti, ed abitudini, da nascondere, segreti che sua moglie, l’intelligente e ancora affascinante Lisa Rigamonti, sta per scoprire. L’omicidio della donna e il colpevole frettolosamente rintracciato in un immigrato romeno, fa scattare in Manera il piglio del cronista che era stato e, malgrado l’incendio appiccato nel suo appartamento come monito, decide di andare a fondo con la storia.
Lo seguirà nelle indagini la fotoreporter Charo: avvenente, perspicace e riconosciuta come la migliore in piazza. Con lei condivide già il gusto per la birra a doppio malto e le belle donne, stavolta condividerà le stesse intuizioni su un caso che nasconde molto più del marcio che già preannuncia. In una foto, scattata da Charo poco dopo l’assassinio della signora Rigamonti, i due riconoscono il volto di un altro ragazzo romeno, Sorin, trovato impiccato ad un albero poco distante da una ex fabbrica di pneumatici.
Da questo momento, ricollegando gli indizi e sfruttando le vecchie conoscenze da giornalista d’assalto, Milton e Charo scovano la porta d’accesso ad una città “altra”. Silenziosa e inesorabile affiora dalle viscere della metropoli visibile, la città nascosta dell’immigrazione clandestina, dello sfruttamento e del degrado.
L’ex fabbrica di pneumatici è il covo per piegare con la violenza uomini senza documenti venuti in Italia inseguendo un sogno che s’infrange presto nelle scatolette di riso per cani come pasto e nelle scudisciate di aguzzini che muovono la nuova economia abusiva, fatta di mani sporche che spellano cavi di rame, che recuperano ogni singola vite o bullone dai materiali di scarto per rivenderli al mercato nero.

Emergono le storie amare di Doru, Maria, Laurent e Cosmina, la sorella scomparsa del defunto Sorin, tutti provenienti da Macin, una località a pochi chilometri dal mar Morto, luogo d’origine abbandonato e presto rimpianto, dove far ritorno appare più che mai impossibile. Milton e Charo seguono la pista della prostituzione di lusso per rintracciare Cosmina: orge elitarie coadiuvate da droghe con cui stordire le giovani vittime, depravazioni esaudite nella riservatezza di ville appartate sulla collina che guarda sprezzante il resto della città, la collina dei ricchi che odora del cloro delle loro piscine.
Ma ficcare il naso negli affari della gente “dabbene” ha un suo prezzo… e Milton e Charo lo scopriranno sulla propria pelle, catturati da una realtà che va al di là della loro propensione allo scoop: è la sete di verità che li muove, la voglia di recuperare parte della loro storia nella storia dell’altro, del “diverso” del “cattivo”, quando una vita e la sua storia sono solo un fattore contingente nel piano di qualcun altro.

 

Sono tutti bravi a morire, di Niccolò Zancan, edizioni Meridiano Zero, ha il gusto di un’inchiesta , il ritmo di un action movie e una costruzione narrativa scattante, che punta dritta al sodo, fatta di scambi di battute e un tono colloquiale che stempera l’acredine dell’argomento trattato. Le descrizioni vivide di odori e sapori si mescolano di volta in volta alle riflessioni sulle inquietudini proprie estendibili a una realtà sociale non circoscritta, ma rappresentativa, come il taglio su una ferita in cancrena che ha già infettato l’intero apparato. Una storia che può tranquillamente essere il retroscena di uno dei tanti episodi di cronaca a cui viene spesso attribuita una facile conclusione; Zancan qui pone un ragionevole dubbio attraverso un protagonista emblematico: fragile quanto sagace e cocciuto. Il profilo ideale di chi è in grado di gettare veramente uno sguardo oltre…

“Trotula”: una donna, la medicina e il Medioevo nel romanzo di Paola Presciuttini

TrotulaGiorgia Sbuelz
ROMA 
– Nei primi decenni dell’anno Mille, la città di Salerno conobbe uno splendore economico e culturale come pochi territori italici ebbero la fortuna di sperimentare. Nel grembo del suo golfo venivano raccolte le menti più brillanti dell’epoca: intelletti che spiccavano nelle scienze matematiche e filosofiche e che molto concorsero allo sviluppo della moderna medicina. Qui visse e operò Dama Trotula De Ruggiero, nobildonna dall’eccezionale perspicacia mentale e di fortissima volontà, a cui va il merito di aver elevato la ginecologia e l’ostetricia a disciplina medica, affrancandola dall’appannaggio esclusivo di levatrici e mammane, e sollevando la coltre di superstizione che aleggiava intorno al misterioso momento della nascita di una nuova vita.

Ma, per quanto ebbe a contribuire al lustro della Scuola Medica Salernitana, in pochi conoscono l’operato di questa donna, la cui memoria è stata insabbiata nel tempo, relegandola a figura poco più che leggendaria, fino a dissolversi del tutto, dimenticata, come tante altre donne di genio, e allontanata dalla storia a causa del divario di genere.
Mille anni dopo, Paola Presciuttini con il suo romanzo “Trotula”, edito da Meridiano Zero, si assume l’incarico di rimuovere tutta la polvere che ricopre questa figura, restituendoci un ritratto vivo e documentato, di una donna medievale eppure modernissima, che si poneva dei dubbi, sulla ricerca e sulla teologia, che sono ancora i nostri.
Quello tra la Presciuttini e Trotula, è un incontro felice, lo si percepisce fin dalla prefazione dell’autrice, in cui trapela tutta l’emozione e la cura impiegata, per dar corpo e voce ad un esempio di grandezza morale e intellettuale, quello della “medichessa” Trotula, che proprio della voce e della fisionomia femminile era stata privata. E’ bello apprendere come la Presciuttini abbia scelto un mulino a vento dei primi secoli dello scorso millennio, come luogo di raccoglimento per dar principio alla sua opera, perché l’impressione che si ha è proprio quella che stia lì a parlarci, da un’altra epoca, assieme alla sua protagonista.
Assistiamo alla spensierata infanzia di Trotula De Ruggiero nel castello paterno, vicino al mare e circondato da campagna e frutteti. Sua madre, Donna Ginestra, l’affida alle cure di una balia e alla sapienza di un precettore. La prima, Iuzzella, è anche, come molte buone donne del popolo, un’esperta conoscitrice di erbe per curare i malanni, il secondo è un giovane monaco, Gerardo, che ha il compito di indottrinarla su quanto conosciuto fino ad allora in materie filosofiche, matematiche e letterarie.
L’esempio materno è forte: Donna Ginestra discute di storia e politica al pari di un uomo, ama sinceramente il proprio consorte, dal quale è ricambiata con lo stesso affetto e devozione. Per questo la prematura scomparsa della madre, a causa del parto del secondogenito Grimoaldo, sconvolge la piccola che reagisce però con sconcertante lucidità: studierà il corpo umano, affinché possa un giorno alleviare i dolori delle partorienti, e risparmiar loro la morte.
Così Trotula, affiancata dal suo inseparabile precettore, diviene un medico, e tra i più brillanti della Scuola Salernitana. Il suo punto di vista rimane però difficile da accogliere persino per le menti più erudite, perché sembra contraddire in toto il comandamento delle sacre scritture “con dolore partorirai i tuoi figli”. La morte per parto era accettata come componente naturale del destino di una donna, così come la morte in battaglia per un uomo. E a questo assunto Trotula si ribella, enunciando forte la sua convinzione con cui aveva fatto ingresso nella Scuola: “La guerra è opera dell’uomo, ma la nascita viene direttamente da Dio, e Dio non può aver creato niente d’imperfetto. Sta a noi capirne i segreti” .
Con questa forza prosegue i suoi studi, mentre conosce suo marito, il medico Giovanni Plateario, e intorno a lei si succedono le battaglie per la conquista dell’ Italia del Sud da parte dei Normanni. Trotula diviene madre di tre figli maschi: Ruggero, Giovanni e Matteo, mentre porta avanti la sua missione di medico. Aiuta a mettere al mondo Sichelgaita, figlia del principe di Salerno Guaimaro V, e salva anche la vita del fratello di lei, Giovanni, erede al trono. La speranza è che il mondo accademico le attribuisca i meriti che le spettano, e non la consideri solo una colta levatrice.

Speranza svanita, ma che non avvilisce la donna, che prosegue anzi nelle sue ricerche con un’apertura mentale che al tempo la fa apparire come superba e irriverente.
Ben conscio però della superiorità della moglie, è il marito Giovanni, che seppure sinceramente innamorato, ingaggia con la donna una silenziosa competizione, nel tentativo di vincerla e metterla da parte, forse per sentirsi più al sicuro, o forse per mantenere l’equilibrio stabilito dall’epoca.
Dopo un gesto sconsiderato da parte del marito, Trotula fugge e si stabilisce, con pochi averi e pochi aiutanti nel quartiere giudaico di Salerno. Una scelta, la sua, inammissibile per chiunque. Suo padre e suo marito avrebbero avuto tutto il potere per rovinarla. Decidono comunque di accettare la sua nuova vita, e assistono inermi alle sue nuove sfide: portare cure mediche a tutti coloro che lo necessitano, ricchi o poveri che siano, umili braccianti, o derelitti umani.
Affronta le epidemie di tisi e le infezioni, insegna alle levatrici le norme igieniche, ai cerusici a suturare, e si confronta con altre menti disposte ad ascoltarla, arabi come normanni, che frequentavano quel ricettacolo di fermento culturale che era Salerno. S’interroga sul reale valore dell’autopsia, pratica considerata eretica, quindi proibita, e si dichiara favorevole alla chirurgia, operata allora solo dagli “infedeli” islamici di Avicenna.
Di volta in volta la storia viene narrata dal punto di vista di ciascun protagonista, rendendo la lettura vivida e offrendo con straordinaria leggerezza panoramiche di vissuti interiori forti e intensi, molto spesso drammatici, ma mai patetici. Pagine animate dalla stessa passione che muove i personaggi di questo romanzo, che custodiscono tutti una fiamma interiore che li consuma e li avvicina alla conoscenza: quella per la medicina come in Trotula e Giovanni Plateario, che erediteranno anche i figli Giovanni e Matteo, o quello per la politica e la battaglia che saranno il destino del primogenito Ruggiero. Finanche l’amore illecito e non corrisposto del monaco Gerardo, o quello per il cibo e la cucina del fratello Grimoaldo.
Tutto è vivo e pulsante nel romanzo della Presciuttini, che ci regala un sorprendente scorcio di Medioevo attivo e vibrante, molto simile ai nostri giorni, in pregi e difetti.
Si coglie tutto l’affetto e l’ammirazione che l’autrice nutre nei confronti di questa donna non comune eppure vicina a tutte le donne, sentimenti che si trasferiscono nel lettore, che partecipa con gioia ai successi finali di Trotula e alla riconciliazione con i suoi cari, così come allo stesso tempo s’interroga sui motivi per cui, nel tempo, si sia persa ogni traccia di lei e del suo apporto alla medicina moderna.
“Trotula” è un romanzo in cui la ricostruzione storica s’intreccia con naturalezza alla componente immaginativa dall’autrice, in una commistione armoniosa, come le erbe che sapeva miscelare la protagonista, e che generosamente offriva per il bene comune. Il bene che Paola Presciuttini offre è quello di riportare l’attenzione su questa figura storica, restituendocela in tutta la sua vigorosa dignità e in tutta la sua poetica e femminile bellezza.

“Magma”- una lavina intellettuale

Marianna Abbate
ROMA – Quando parliamo di élite della società di oggi, ci riferiamo sempre meno all’aristocrazia per nascita e alla ricchezza acquisita. Quello che sembra effettivamente differenziare i singoli dalla marmaglia è il sapere e lo status di intellettuale, quel qualcosa che ci fa essere effettivamente superiori. Per questo motivo in molti scelgono di camuffarsi da persone colte vestendo in modo trasandato, facendosi crescere la barba, guidando una bicicletta per le trafficate strade di Roma, citando filosofi e rimatori dialettali nella stessa frase e guardando gli altri dall’alto in basso. Cercano, insomma, di coprire il mancato sapere con un look radical chic o hipster per gli anglofoni, che permetta loro di rientrare in quella tanto anelata élite di nobiltà del nostro tempo.

Ovviamente il goffo tentativo è abbastanza visibile ai più, e i veri intellettuali guardano con ancora più sdegno ed ironia a questa sfera della società. Perché la caratteristica che divide in modo assoluto il vero intellettuale da uno falso è quanto poco gliene freghi al primo di quello che pensa il secondo e di quello che pensano gli altri in generale.

La caratteristica fondamentale è la depressione. Dopo il postmodernismo è arrivato il momento del neodecadentismo, con il suo pessimismo cosmico e l’abuso di sostanze stupefacenti a scopo produttivo.

Lars Iyer, l’autore di “Magma” pubblicato da Meridiano Zero, è un vero intellettuale. Lui di mestiere fa il professore di filosofia, e credo che non esista al mondo sogno proibito più eccitante per gli aspiranti elitari, che fare il professore di filosofia. Il professore di filosofia è il nonplusultra dell’intellettualità: un mestiere che non ti obbliga a produrre assolutamente nulla se non pensieri. Se sei lì a fissare il muro con lo sguardo perso e fai il medico, ti potrebbero dire che stai perdendo tempo. Se invece sei un filosofo e stai fissando lo stesso muro di prima tutti cercheranno di camminare in punta di piedi per non disturbare il tuo lavoro. Ovviamente Lars Iyer queste cose le sa, lui sa tutto. Guarda con ironia quelli che lo guardano mentre lui se ne sta tranquillo a fissare il muro perché aveva visto una crepa.

E decide di aprire un blog: “Spurious”.
Per raccontare l’altra parte, l’altro punto di vista: quello che passa davvero per la testa degli intellettuali 2.0.

Il risultato del seguitissimo blog è il suo primo libro, tradotto in italiano come “Magma”.

Il libro, che non mi sento di chiamare romanzo perché completamente privo di trama, ci porta nei meandri dei pensieri di due accademici britannici. Tra l’alcol e l’insoddisfazione cronica i due viaggiano in quell’Europa che ha visto i successi e la realizzazione del talento di autori e filosofi. L’elemento comune tra Lars e W. è sicuramente la capacità di riconoscere in sé la mancanza di un qualunque talento che potesse portarli all’Olimpo della memoria eterna. Entrambi hanno delle conoscenze molto superiori alla media, e devo riconoscere che a volte ho faticato a seguire il filo dei loro ingarbugliati pensieri. Ma questa conoscenza, questo sapere che li porta ad avere un atteggiamento di saccenza involontaria e congenita, non porta soddisfazioni. I due sono delusi di non avere le capacità letterarie di Kafka e la sua limpidezza nella costruzione della trama.

Il loro raffinato senso critico non grazia nemmeno loro stessi, anzi sono proprio loro i protagonisti assoluti di ogni disapprovazione, costantemente sotto esame del recensore più esigente: l’Io.

E non bastano i giornali, i giochini scaricati sul cellulare a uccidere quell’anelito fremente, quella tensione che dovrebbe essere produttiva, ma non lo è.

Ironico, tagliente, originale questo non-romanzo. Non è un libro facile e sicuramente non vi farà sentire rilassati, ma se siete in cerca di qualcosa di nuovo, eccolo: l’avete trovato.