“Ti riporto a casa”: una storia di guerra e di famiglia

Ti riporto a casaGiulio Gasperini
AOSTA – La Storia (quella universale) è un intreccio di storie. Elsa Morante ce ne ha offerto l’esempio magistrale. Ma le storie possono essere infinite, toccanti ed emozionanti nella sua perfezione di vita concreta, veramente vissuta; come quella raccontata da Nicola Maestri in Ti riporto a casa di Epika Edizioni.
La storia della sua famiglia, in particolare del nonno, Eleuterio, e della nonna, Livia, prende le mosse da un desiderio personale di far conoscere la figura di questo uomo, migrante per necessità e per amore. I luoghi che hanno fatto da sfondo alla loro storia sono ancora presenti, a Parma; li si possono ancora scovare, passeggiando per le strade, alzando lo sguardo e facendo attenzione alle targhe, alle testimonianze che ancora oggi popolano gli angoli delle nostre città, cercando di convincere il passeggiatore distratto che sta passando per strade importanti, che conservano una memoria. Per questo, il libro è accompagnato da foto, che ritraggono gli angoli di Parma che compaiono nella vicenda: una vicenda come ce ne furono tante altre, in tempo di guerra, ma che coinvolge il narratore in prima persona e lo rende “esecutore memoriale” di una storia di intima quotidianità.
È il racconto di un amore forte, di una consapevolezza prepotente su chi si è e su quali valori si vogliono insegnare a quei figli così amati. È una storia, anche, che accelera inevitabilmente alla tragedia, una storia dove gli uomini si scoprono in grado di gesti di estremo eroismo e di amore sconfinato, che danno un valore nuovo e inedito anche a esistenze che si potrebbero erroneamente definire grigie e anonime. Sono sempre i gesti di amore che ci caratterizzano e ci definiscono, particolarmente in momenti dolorosi della storia, personale e universale.
Il romanzo breve di Nicola Maestri è una testimonianza che risente un po’ del legame di parentela: non fa nessun tentativo di estraniarsi dalla vicenda narrata, calandosi sempre nella storia come più parente che narratore. Lo sguardo è intimo, dolce, estremamente partecipativo, anche nella descrizione degli interni, dei rapporti, delle emozioni. È una storia evidentemente autobiografica, raccontata con il tatto tipico di chi magari non è scrittore di professione e pecca un po’ di ingenuità ma sa trovare le parole giuste per una dimensione personale e autentica.

Oroonoko, il nobile schiavo della letteratura inglese

OroonokoGiulio Gasperini
AOSTA – Aphra Behn è una scrittrice che in ben pochi, se non amanti e cultori della letteratura inglese, conosceranno. Assente dalle librerie dei più, anche perché i suoi libri difficilmente reperibili. Fino ad oggi, quando la coraggiosa casa editrice Rogas Edizioni, nata “come ‘sorella minore’ (ma solo per età…) della libreria Marcovaldo (come recita il sito stesso), ha deciso di ripubblicare, in un’edizione con testo a fronte (tradotto da Adalgisa Marrocco), il suo romanzo più significativo: Oroonoko, nobile schiavo, edito nella prima edizione nel 1688. La collana inaugurata è “Darcy”, dedicata a capolavori della letteratura inglese “(non) dimenticati, fino a ieri introvabili”.
Aphra Behn, definita da Virginia Woolf la prima scrittrice inglese professionista (perché visse con la sua attività di poeta, scrittrice e drammaturga), ha avuto una vita che potrebbe parere un vero e proprio romanzo, anche per via delle poche notizie certe che se ne hanno. Probabilmente nel 1663, quando lei aveva circa 23 anni, la famiglia si trasferì nella Guyana olandese, dove rimase per circa un anno. Questa esperienza fornì la base e il materiale per il romanzo che l’ha resa celebre ed è considerato il suo capolavoro, “Oroonoko”. Il romanzo, il cui sottotitolo originario recitava “A true history”, racconta la storia di un principe, nipote di un sovrano africano, e Imoinda, stupenda donna figlia di un valoroso condottiero. L’amore dei due giovani viene ostacolato dal nonno dell’impavido principe, che sposa con l’inganno la giovane. A questo punto, i due si ribellano, finendo schiavi e trovando, dopo una serie di sfortunate peripezie, una morte gloriosa.
Il romanzo, che si fonda sull’affermarsi un esotismo che in quegli anni cominciava a prendere forma e sostanza letteraria, pur se breve, è denso di elementi significati, anche legati alla società del tempo, non ultimo lo schiavismo e il significato che aveva per gli europei; atteggiamento legato anche alla religione e alla sua diffusione tra gli “indigeni”, che Aphra Behn descrive con occhio benevolo ma persino un po’ compatente. Sicuramente, splendida è la descrizione di questa terra lontana, il Suriname, di cui la Behn ne aveva saputo cogliere il potenziale, a differenza della Corona inglese, che la cedette all’Olanda. La scrittura della Behn è deliziosa, ben calibrata, essenziale nel dire, senza superfluo. I personaggi, in particolare Oroonoko, dai tratti eroici e fortemente tragici, sono quasi sculture antiche, perfette nella loro statuaria comportamentale e caratteriale, che parlano con un’eloquenza tipica dei grandi condottieri antichi, tutti calati in questo “nuovo mondo” che, in quella lontana fine di ‘600, faceva sognare e fantasticare senza limiti.

Fino a domenica è tempo di Libri al Centro

LIBRI-AL-CENTRO-2015ROMA – Inarrestabili i Libri al centro. Qualunque sia l’argomento, dalle inchieste sul campo alla cucina della tradizione italiana passando per la letteratura, è sempre folla. Il festival letterario diretto da Roberto Ippolito in corso sino a domenica 19 aprile 2015, l’unico in un centro commerciale, Cinecittàdue (viale Palmiro Togliatti 2, Roma – metro A fermata Subaugusta e Cinecittà), continua a registrare successi straordinari, sia per affluenza di pubblico sia per qualità dei temi trattati.

Giovedì 16 si inizia con un’anteprima nazionale, quella di Nicola Gratteri che presenta “Oro bianco” (Mondadori) scritto con Antonio Nicaso e dedicato a uno dei flagelli mondiali: la cocaina. Il libro, frutto di indagini effettuate con viaggi in Europa e in Sudamerica, traccia le tappe di un business planetario che arricchisce i narcotrafficanti, impoverisce i tossicodipendenti, contamina il sistema bancario e corrompe le classi dirigenti. Le parole del magistrato sono dirette, spesso rimandano a immagini violente, e incollano il pubblico per la forza e l’energia con cui vengono pronunciate.

Dalle ricerche nel mondo del malaffare alle ricerche sui sapori e i profumi della nostra tradizione gastronomica. Spumeggiante lo chef del Gambero Rosso Channel che dispensa ricette e consigli all’esercito di fan, che fotografa a raffica. Da come rendere il guanciale “antipastino da urlo” al metodo migliore di stufare il radicchio con lo speck, arrivando alla preferenza per il sale grosso rispetto al sale fino (“Tagliate a metà una bistecca, salatene una parte con il sale grosso e una parte con il sale fino; la prima verrà salata, la seconda cambierà colore”) e sull’importanza di selezionare un buon olio. Perché l’olio è una cosa molto seria, e come dice il mitico Giorgione “comprate gli oli boni”.

Battaglie politiche e personali sono invece gli ingredienti dell’incontro con Nadia Terranova. “Volevo raccontare una storia qualsiasi, volevo raccontare il modo in cui la Storia urta la vita delle persone normali”, racconta l’autrice di “Gli anni al contrario” (Einaudi) al pubblico presente che si lascia trasportare dalle sue parole e dalle riflessioni su uno dei periodi storici più controversi della recente storia italiana. “Ma questo mondo bellissimo che ci avevate promesso dov’è?”, si chiede.

Speciale affluenza di pubblico e interesse dunque per tutti gli incontri di “Libri al centro” sin dalle prime giornate con Riccardo Iacona, Dario Vergassola, Andrea Carandini, Lorenzo Marone. Poi Marco Damilano e Marco Lillo. Si prosegue venerdì 17 con Giancarlo De Cataldo e Mario Almerighi; sabato 18 Roberto Pruzzo con Susanna Marcellini, Edoardo Boncinelli, Maria Latella e Alessia Gazzola; domenica 19 aprile Giorgio Nisini, Roberto Koch, Marco Presta e Michela Marzano con Giovanna Casadio.

Per tutta la settimana, fino al 19 aprile, inoltre è aperta al pubblico la mostra fotografica “I tanti Pasolini”, realizzata dall’Archivio Riccardi e curata da Giovanni Currado e Maurizio Riccardi, concepita appositamente per “Libri al centro” a 40 anni della morte.

“La scrittura del Dio”: Borges e l’eternità.

la scrittura del dioGiulio Gasperini
AOSTA – La scrittura del Dio. Discorso su Borges e sull’eternità, edito nel 2015 da Edizioni Spazio Interiore, è un saggio di Igor Sibaldi che affronta una questione importante della poetica di Borges: ovvero, la scrittura del Dio. Il testo di partenza è il racconto La escritura del dios, che lo scrittore argentino compose negli anni Quaranta: il tema è l’invenzione di un enigma, una frase (la sentencia mágica) che contiene quattordici misteri, come quattordici sono le parole apparentemente casuali che la compongono. Igor Sibaldi le passa in rassegna tutte, cercando di dare loro una spiegazione che permette al lettore di arrivare a disvelare, se non tutto, almeno parte del mistero che sta dietro questa visione.
Così che Sibaldi conduce il lettore, guidandolo tra i difficili meandri delle interpretazioni, attraverso le quattordici parole, dal personaggio di Alvarado all’Orbis Tertius, da El tercer tigre (ovvero il giaguaro nelle cui macchie è cifrata tutta la sentencia mágica) a il Dio della scrittura (“Un uomo a un certo punto lo narrò”), sostenendo che se un uomo (nello specifico Mosè) non avesse scritto su Dio, Dio non sarebbe mai esistito.
Questa antica sentencia mágica si ricollega anche al mito biblico della Torre di Babele, quando una comunità umana aveva a sua disposizione un’unica lingua che dava un “potere illimitato”; la stessa Babele che lo stesso Borges descrive in un altro suo racconto, La biblioteca de Babel, il luogo dove tutto è contenuto perché è contenuto tutto il linguaggio: “I suoi scaffali archiviano tutte le possibili combinazioni dei simboli ortografici, cioè tutto ciò che è dato di esprimere, in tutte le lingue”.
È un testo, questo di Sibaldi, che, se anche breve e con uno stile chiaro e accessibile, non è semplice né agevole, perché introduce il lettore a una serie di questione complesse e composite, non immediatamente penetrabili. E lui stesso ne è consapevole: “Io trovo soltanto pseudoproblemi, cioè questioni che non possono venire risolte”. Una sicurezza c’è, ovvero che l’approccio di Borges sia poetico e senza dubbio nell’atteggiamento di Borges stesso di non fornire risposte ai suoi quesiti profondi c’è anche una “inclinazione, propria a tutti gli scrittori onesti, ad assumersi solo il compito di descrivere uno stato di cose: cioè di ampliare il più possibile l’elaborazione delle domande”.

“La finestra viola”, quando gli artisti lasciano il segno

La_finestra_viola_Cop_chronicalibriGiulia Siena
PARMA – L’amicizia, a chilometri di distanza, può essere legata a un filo colorato, immaginario e fantasioso. L’amicizia tra Giulio, che vive in una città italiana affacciata sul mare e Adama, un bambino di un villaggio africano, nasce per caso e continua, nonostante la distanza, grazie ai colori. La finestra viola, la favola scritta da Fuad Aziz e pubblicata dalle Edizioni Artebambini, racconta di questa amicizia e narra, in modo semplice e poetico, dei colori.
Adama, infatti, scrive a Giulio e gli racconta di aver visto un quadro bellissimo, un dipinto coloratissimo di Paul Klee. Catturato dalla vivacità espressa dal quadro, dal calore immenso dato dai colori, Adama vuole condividere quell’emozione con il suo amico lontano. Dall’altra parte del mare, Giulio gli risponde e si ritrova in quella immagine descritta così bene dal bambino africano; Giulio, in Italia, vive sul mare, in una casa di pescatori, in una di quelle colorate con i colori del cielo, dKleeel sole e della terra. Adama, leggendo quelle parole, ha un’idea. E se anche il suo villaggio fosse così colorato? Così convince tutti a dare colore alle proprie case, ognuna con una tonalità diversa. E un giorno, mentre un pittore straniero passeggia per le vie del villaggio incontra il piccolo Adama, si lascia trascinare dal bambino ad ammirare i colori vividi e avvolgenti della sua casa. Ma al pittore non basta, oltre a guardare, si lascia ispirare e dipinge una finestra, una finestra viola.

 

Fuad Aziz, in questa favola di amicizia e diversità, inserisce la figura possente ed enigmatica di Paul Klee, il pittore tedesco che si lasciò coinvolgere dalla luce e dalla ricchezza cromatica della Tunisia. Questo, de La finestra viola, è un viaggio nell’arte, nella storia e nelle ambizioni.
“Il colore mi possiede; il colore ed io siamo una cosa sola”. P. Klee

Dieci anni di Donne in opera

Donne in opera 2015AOSTA – Decima edizione per il concorso letterario, fotografico e per illustrazioni Donne in opera, organizzato dall’Associazione culturale Solal in collaborazione con altre realtà del territorio valdostano, in particolare l’Associazione di promozione sociale Dora – donne in Valle, ma anche estere, visto anche il carattere plurilingue del concorso e la diffusione in ambiente francofono. Il tema di quest’anno è “Il futuro che è in me. Pensieri, testimonianze e narrazioni sulle speranze di cambiamento delle e per le donne”. L’intenzione è quella di far riflettere le partecipanti sulle difficoltà presenti in riferimento all’ambito del lavoro, alla maternità, alla cura, di raccontare come si può uscire da situazioni di violenza domestica, come si può essere libere da condizionamenti derivati dagli stereotipi di genere e inventarsi nuovi modelli estetici e di comportamento.
Il concorso, nato nel 2005 da una proposta dell’Associazione Solal prontamente accolta dall’allora Consulta regionale femminile della Valle d’Aosta e dall’Ufficio della Consigliera di Parità, ha ottenuto un continuo successo, fino ad arrivare a più di 300 opere presentate nel 2013. Il concorso, dalla prima edizione, ha inteso valorizzare lo sguardo femminile sul mondo e stimolare la riflessione in merito a temi e problematiche che riguardano da vicino la realtà e la cultura femminile.
All’edizione 2015, caratteristica peculiare di tutte le edizioni, possono partecipare donne di qualunque età e nazionalità. Il bando prevede l’invio di opere relative a cinque differenti tipologie artistiche: racconto breve, poesia, fotografia, illustrazione e mail art in tre sezioni: racconti e poesie, fotografie e illustrazioni, mail art. Per inviare gli elaborati bisogna utilizzare una speciale cartolina allegata al bando ; c’è tempo fino al 15 giugno 2015.
Per richiedere e consultare il bando completo si può scrivere a solal@corpo12.it o visitare il sito www.donneinopera.wordpress.com o il gruppo facebook Donne in opera.

Premio Strega 2015: ecco le 26 opere presentate

Strega_Ita2009_LogoPositivoCmykROMA –  Sono 26 le opere presentate per il Premio Strega 2015 dagli Amici della domenica, lo storico corpo votante che dal 1947 attribuisce il riconoscimento a un libro di narrativa italiana pubblicato tra il 1° aprile dell’anno precedente e il 31 marzo dell’anno in corso.

 

 

Qualche sorpresa e molte cose buone:
1. Stalin + Bianca (Tunué) di Iacopo Barison
Presentato da Fulvio Abbate e Roberto Ippolito
2. Non sono un assassino (Newton Compton) di Francesco Caringella
Presentato da Raffaele Nigro e Sergio Santoro
3. Il paese dei coppoloni (Feltrinelli) di Vinicio Capossela
Presentato da Eva Cantarella e Gad Lerner
4. Il dolore del mare (Nutrimenti) di Alberto Cavanna
Presentato da Giuliano Montaldo e Ferruccio Parazzoli
5. La sposa (Bompiani) di Mauro Covacich
Presentato da Dacia Maraini e Sandro Veronesi
6. I Nuovi Venuti (Clichy) di Giorgio Dell’Arti
Presentato da Corrado Augias e Giuseppe De Rita
7. Storia della bambina perduta (e/o) di Elena Ferrante
Presentato da Serena Dandini e Roberto Saviano
8. Final cut (Fandango) di Vins Gallico
Presentato da Renato Minore e Luca Ricci
9. Chi manda le onde (Mondadori) di Fabio Genovesi
Presentato da Silvia Ballestra e Diego De Silva
10. 24:00:00 (Il Foglio) di Federico Guerri
Presentato da Simonetta Bartolini e Wilson Saba
11. La ferocia (Einaudi) di Nicola Lagioia
Presentato da Alberto Asor Rosa e Concita De Gregorio
12. La meteora di luglio (Biblioteca dei Leoni) di Adriano Lo Monaco
Presentato da Maurizio Cucchi e Paolo Ruffilli
13. Monte Sardo (Rubbettino) di Dante Maffia
Presentato da Paolo Ferruzzi e Luciano Luisi
14. Il genio dell’abbandono (Neri Pozza) di Wanda Marasco
Presentato da Francesco Durante e Silvio Perrella
15. Don Riccardo (Mursia) di Loredana Micati
Presentato da Angela Padellaro e Roberto Zaccaria
16. Se mi cerchi non ci sono (Manni) di Marina Mizzau
Presentato da Umberto Eco e Angelo Guglielmi
17. Gli amici che non ho (Codice) di Sebastiano Mondadori
Presentato da Antonio Pascale e Lorenzo Pavolini
18. La Repubblica di Santa Sofia (Tullio Pironti) di Pietro Paolo Parrella
Presentato da Bruno Luiselli e Marcello Rotili
19. L’estate del cane bambino (66thand2nd) di Mario Pistacchio e Laura Toffanello
Presentato da Antonella Sabrina Florio e Luca Nicolini
20. Come donna innamorata (Guanda) di Marco Santagata
Presentato da Salvatore Silvano Nigro e Gabriele Pedullà
21. Sans blague (Nulla die) di Eugenio Sbardella
Presentato da Bruno Cagli e Vittorio Emiliani
22. Via Ripetta 155 (Giunti) di Clara Sereni
Presentato da Massimo Onofri e Domenico Starnone
23. I dirimpettai (Baldini&Castoldi) di Fabio Viola
Presentato da Piero Gelli e Filippo La Porta
24. Autunnale (Book Sprint) di Dario Voltolini
Presentato da Michele Mari e Paola Mastrocola
25. XXI Secolo (Neo) di Paolo Zardi
Presentato da Giancarlo De Cataldo e Valeria Parrella
26. Dimentica il mio nome (Bao Publishing) di Zerocalcare
Presentato da Daria Bignardi e Igiaba Scego

Il Comitato direttivo del Premio – presieduto da Tullio De Mauro e composto da Valeria Della Valle, Giuseppe D’Avino, Simonetta Fiori, Alberto Foschini, Paolo Giordano, Enzo Golino, Giuseppe Gori, Giovanna Marinelli, Melania G. Mazzucco, Edoardo Nesi, Luca Serianni, Maurizio Stirpe – si riunirà giovedì 16 aprile per selezionare tra le proposte degli Amici della domenica i dodici libri che si disputeranno la sessantanovesima edizione.
I libri selezionati dal Comitato direttivo concorreranno anche alla seconda edizione del Premio Strega Giovani, che coinvolgerà una giuria di circa quattrocento ragazze e ragazzi, di età compresa tra i 16 e i 18 anni, in rappresentanza di quaranta licei e istituti tecnici diffusi su tutto il territorio italiano e all’ester

“Lhotar e il risveglio del Murskull”: l’avventura di un elfo e una fata intrappolati sulla Terra

Lhotar-e-il-risveglio-del-MarskullGiorgia Sbuelz
ROMA – Agrilard è una mondo dove ancora viene praticata la magia. Lhotar ed Ellywick – protagonisti di Lhotar e il risveglio del Murskull, il libro di Gionata  Scapin edito da Marcianum Press – sono un elfo e una fata che, a causa dell’incantesimo di uno stregone, sono stati scaraventati nella terra degli umani, dove ci si è dimenticati della magia e dove le creature fatate sono state relegate a pure invenzioni fantastiche.  Lhotar ed Ellywick scortati da Matthias, un giovane archeologo che ha promesso di proteggerli, seguono una pista per ritornare a casa, non senza destare le attenzioni di Stephen, un magnate privo scrupoli ed ex capo di Matthias, che intende catturare le due creature per poterne trarre il massimo profitto.

La notizia del ritrovamento di quello che sembra essere proprio un uovo di drago, accende le speranze dell’elfo sulla reale possibilità di un ritorno ad Agrilard, tuttavia procede nelle sue indagini brancolando nel buio.

 

La svolta arriva da Margarete, una brillante quanto affascinante ricercatrice che si ritrova coinvolta nella storia. Decifrando delle enigmatiche incisioni nascoste in una grotta ad Amburgo che gli avi di Margarete custodiscono da secoli, Lhotar e gli altri raccolgono nuovi indizi per continuare la ricerca, sebbene nell’impresa venga per sbaglio rievocata un’ entità malvagia così spaventosa e potente da poter annientare persino un drago, l’essere magico più temibile che sia mai esistito. Il Murskull, questo è il suo nome, si è cibato per secoli di ogni briciolo di fonte incantata che ancora lega la Terra agli altri mondi, e lo fa con ferocia indomita, presentandosi sotto forma di vortice dalle mille fauci che sradica e fagocita ogni cosa o creatura al suo passaggio. Far ritorno ad Agrilard, seminare Stephen e i suoi scagnozzi, bloccare il Murskull prima che divori il pianeta, come fare senza l’aiuto di un drago? Ma i draghi esistono ancora? Le iscrizioni sulle pareti della grotta conducono i nostri al castello di Urquhart, sul lago Ness in Scozia e qui, attuando una serie di espedienti, si mettono in contatto con Tanzeum Sath di Myr Ness, l’ultimo drago nero esistente sulla Terra. Attirare la benevolenza di un drago dal cuore avvizzito pare un’impresa impossibile. Nel corso dei secoli, la vetusta creatura ha maturato una sequela di esperienze sul genere umano che ha sedimentato in lui una serie di amare convinzioni sul fatto che per la specie terrestre dominante non ci sia redenzione; così infatti si rivolge a Matthias quando il gruppo riesce a scovare la sua tana:

“Voi umani avete perso ogni relazione con il mondo trascendentale. Nei secoli della vostra storia non avete dato la benché minima possibilità alle entità degli spiriti di penetrare nelle vostre coscienze e di prosperare nell’equilibrio del mondo. […] A tal punto da invidiare, odiare, condannare, massacrare, sterminare qualunque altra specie erudita di capacità superiori alle vostre”.

 

Lhotar e il risveglio del Murskull  è un romanzo che segue le linee classiche della narrativa fantasy. L’autore, Gionata Scapin, dosa con equilibrio momenti d’azione e colpi di scena a riflessioni su mondi perduti e scenari passati. Ci parla dei draghi e della loro lingua, il draconiano, fa spostare i protagonisti di metropoli in metropoli fra inseguimenti e sparatorie, mentre rivisita il mito del mostro di Loch Ness e ci fa intenerire con una fata dalla luce azzurrognola capace di commoventi slanci altruistici. Sequenze adrenaliniche si snodano da un capo all’altro del globo e conducono ad un finale che lascia presagire dell’altro… il sospetto è che le avventure di Lhotar non termineranno qui.

30 grandi miti (sfatati e no) su Shakespeare

30 grandi miti su ShakespeareGiulio Gasperini
AOSTA – Shakespeare è, da sempre, uno scrittore che ha alimentato leggende e fantasie, particolarmente nel cinema, con una serie di film che hanno contribuito ad alimentare la leggenda su alcuni aspetti della sua vita umana e professionale. Nel saggio 30 grandi miti su Shakespeare, appena pubblicato da ObarraO Edizioni nella collana agli-estremi dell’Occidente, la docente Laurie Maguire e la ricercatrice Emma Smith analizzano 30 grandi “leggende metropolitane” che riguardano il Bardo, affrontandole con una preparazione attenta e puntuale e riferimenti bio-bibliografici altrettanto mirati e significativi.
Le studiose partono dal tratteggiare il concetto di mito, che spesso viene usato a sproposito e senza cognizione di causa. La parola mito, dal greco mythos, significa semplicemente “qualcosa che viene raccontato”, una narrazione. Sono gli uomini che hanno bisogno di qualcosa da raccontare, senza preoccuparsi troppo dove termini la verità e dove inizi l’abbellimento, la credenza, la leggenda. Perché spesso di leggende l’uomo ha bisogno, come fossero modelli rassicuranti; diventa una forza misteriosa che scorre sottopelle.
Shakespeare continua a essere uno dei grandi miti letterari (e umani). In questo testo, le scrittrici si soffermano su miti piuttosto diffusi e noti, a cominciare dalla vera o presunta esistenza di William Shakespeare o, addirittura, del sospetto che le sue opere siano state scritte effettivamente da lui o da qualchedun altro, come il recente film Anonymous (2011, diretto da Roland Emmerich e scritto da John Orloff). La lettura del testo è scorrevole e appassionante, nonostante si affrontino argomenti complessi per chi magari non ha una conoscenza così approfondita di Shakespeare e della sua poetica. Praticamente tutte le opere vengono affrontate, per vari aspetti, e tutte sono prese in esame, offrendo al lettore tante curiosità e dettagli che sorprendono e appassionano, spingendosi in qualche caso addirittura fino all’indagine investigativa delle fonti, delle tracce materiali, dei documenti che riservano ancora sorprese, a distanza di anni (come il suo testamento e lo svogliato e sbrigativo riferimento alla moglie Anne Hathaway).
Il volume è arricchito anche dalle notizie di alcune messe in scena delle opere shakespeariane, a sostegno o meno di particolari tesi: la messa in scena diventa la chiave interpretativa per cogliere le intenzioni del regista (significativa, ad esempio, in questo senso, la partecipazione di Judi Dench nel ruolo di Titania nell’allestimento di Peter Hall nel 2010 di Sogno di una notte di mezza estate, in cui la Dench assume caratteristiche più simili alla regina Elisabetta interpretata di Shakespeare in Love che non di una “semplice” regina delle fate).
“30 grandi miti su Shakespeare” è uno strumento preziosissimo per chi, incuriosito dall’opera immortale del Bardo (che sia il teatro o che siano gli altrettanto preziosissimi sonetti), vuole cominciare a indagare il complesso mondo di verità e finzione sulla sua opera e la sua altrettanto incuriosente personalità.

“Il sudario di latta”: il fotogiornalismo nell’epoca 2.0.

Il sudario di lattaGiulio Gasperini
AOSTA – In quest’epoca di social espansi all’inverosimile, di comunicazioni immediate, a tempo di un semplice click, di fotografie, filmati e documenti colti dal vivo, quale spazio ha ancora il fotogiornalismo? Pare essere questa la domanda che sta all’origine di Il sudario di latta, il taccuino di guerra del giornalista Ugo Lucio Borga, edito dalle Edizioni Marcovalerio nella collana “I Faggi”.
In particolare, con le Primavere arabe il mondo ha scoperto le potenzialità della documentazione 2.0. Tutti, con un semplice cellulare, possono riprendere, fotografare, inviare milioni di documenti nel web. E tutti, con un semplice click, possono usufruire di quest’enorme patrimonio di informazioni. Il confine con il fotogiornalismo è, però, ancora piuttosto evidente, come testimonia anche “Il sudario di latta”. Innanzi tutto, il fotografo è un giornalista, che spesso ha una conoscenza molto approfondita della zona dove si trova e nella quale sta lavorando. La sua, pertanto, non è una semplice documentazione, spesso colta solamente nell’istante dell’accadimento, ma diventa una testimonianza ragionata, condotta con un criterio e con una chiave di lettura che possa aiutare e sostenere il lettore, non lasciandolo abbandonato e sommerso di materiali che senza un’accurata preparazione finiscono soltanto per travolgerlo. Il giornalista, se bravo e competente, sa anche raccontare, sa spiegare, sa narrare.
In più, il fotogiornalista è un artista; un artista che ha una sua chiave interpretativa (perché ogni giornalista dà un’interpretazione, veicola un punto di vista), che ha una sua poetica, una sua concezione della realtà e una sua percezione della storia. E proprio quella regala al lettore, chiamato così a confrontarsi con numerosi codici comunicativi.
“Il sudario di latta” ci fa conoscere tre scenari particolari di guerra: la Siria, la Libia e la Somalia. Tre luoghi di entità statali distrutte, di furia brutale, di cieca e incontrollata violenza. Quelli di Ugo Lucio Borga sono appunti, scritti nell’immediato o a distanza di tempo: sono dunque sia vergati impulsivamente sia rielaborati dalla lucidità che soltanto la lontananza e la separazione danno. Danno l’affresco potente di tre scenari complessi e multiformi, difficili. Non raccontano solamente, però: cercano anche di capire e spiegare l’uomo, senza mai giustificarlo né condannandolo; semplicemente, descrivendolo, narrandolo e provando a capire le sue reazioni, i suoi motivi, le sue scelte a volte profondamente drammatiche. A sostegno delle parole, le fotografie, il vero miracolo di queste esperienza al fronte. Perché la fotografia di Borga non è mai banale: coglie attimi non sempre, e non necessariamente, topici, decisivi; anche lo sguardo su una quotidianità, in questi territori di lotta, che spesso finisce poi inghiottita nella follia vorace e nella dimenticanza di tutto il resto (indifferente) del mondo, è fonte preziosa di documentazione.