Chiara Giacobelli e il romanzo: “Un disastro chiamato amore” oltre i soliti cliché

disastro-chiamato-amore_chronicalibriGiulia Siena
PARMA – Copertina rosa shocking e un’immagine leggera, di stupore: tutto lascia presagire a una lettura da ombrellone, a un romanzo dove una giovane e sbadata giornalista riesce a far capitolare il fascinoso rampollo. Oltre la copertina, che attrae ma inganna, questo libro è molto di più. Vivienne Vouloir è molto più che un’ingenua e imbranata trentenne alle prese con sfilate di moda e personaggi famosi; Vivienne non è solamente una catalogatrice di uomini bizzarri, fobie e delusioni. Vivienne possiede sensibilità, Vivienne vive di una leggerezza profonda dovuta alla sua capacità di ascolto e osservazione.
Vivienne è la protagonista di Un disastro chiamato amore, il romanzo della giornalista e scrittrice Chiara Giacobelli. Pubblicato da Leggereditore, il libro è incentrato sulla figura della stramba eroina parigina che conosce l’italiano grazie alla sua nonna materna e che continua a non saper cucinare poiché troppo distratta e smemorata. Continua

“La meraviglia delle piccole cose”: un ritratto dedicato alle famiglie imperfette

Alessia Sità

ROMA – Tutti sognano la famiglia perfetta, quella in cui l’armonia fra genitori e figli regna sovrana e tutti i problemi si risolvono nel migliore dei modi e senza troppi drammi. Come sappiamo, però, la perfezione non esiste. Nel suo romanzo “La meraviglia delle piccole cose”, edito nel 2011 da Leggereditore, la brillante scrittrice Dawn French ci offre un divertente ritratto dei Battles, scardinando completamente l’ideale della famiglia da favola.
Mo è una madre, una moglie, una psicologa ed è quasi autrice di un libro dedicato a tutti i genitori alle prese con i problematici adolescenti di oggi. Nonostante la sua notevole esperienza professionale nel campo dell’infanzia, comprendere i suoi due complicatissimi figli – la diciassettenne Dora, determinata a diventare una cantante di successo, e il dandy Peter, totalmente ossessionato da Oscar Wilde – non è assolutamente facile. La povera Mo si sente puntualmente esclusa dalle loro vite e incapace di dar loro tutto il sostegno e il supporto di cui hanno bisogno. A seguirla passo dopo passo, in questo difficile cammino di crescita e di maturazione personale, c’è sempre il suo paziente e affidabile marito: Den. L’arrivo di Noel, il nuovo tirocinante dello studio, però stravolgerà inaspettatamente la vita della psicologa, che finalmente riscoprirà la bellezza del suo essere donna, riappropriandosi inoltre di quella libertà che per troppo tempo ha sacrificato e raggiungendo allo stesso tempo anche la piena consapevolezza che la vera felicità, in fondo, si nasconde proprio dietro le piccole cose di tutti i giorni. Del resto, sono i semplici gesti quotidiani che aiutano a ritrovare la giusta via quando improvvisamente ci si sente perduti e senza più una meta.
Grazie alla grande capacità di suscitare piccole e grandi emozioni, “La meraviglia delle piccole cose” ha conquistato il primo posto delle classifiche inglesi in soli sette mesi, vendendo 500.000 copie. Con uno stile brillante, originale e soprattutto divertente, Dawn French ci regala un romanzo unico, che ritrae con grande ilarità la classica famiglia imperfetta, con tutti i suoi vizi e le sue virtù.

Concorso al femminile targato Leggereditore

ROMA In occasione del suo esordio nel romance italiano con due libri, uno storico e un paranormal “L’anello di ferro” di Ornella Albanese e “Un cuore nelle tenebre” di Roberta Ciuffi, in libreria dal 30 giugno – Leggereditore indice un nuovo concorso per aspiranti scrittrici. Ed è a partire dalle atmosfere e dai personaggi che animano questi romanzi che vi invitiamo a scatenare la vostra fantasia! Per partecipare basta seguire questi passi:
1) Leggete “L’anello di ferro” di Ornella Albanese e “Un cuore nelle tenebre” di Roberta Ciuffi e scegliete il genere che più si addice alla vostra penna. La scelta dovrà ricadere su un solo genere ed è concesso un solo racconto per partecipante
2) Lasciatevi ispirare dalle caratteristiche del romanzo che sceglierete, e proprio come in una fan fiction potrete costruire il racconto utilizzandone l’ambientazione, i personaggi, e imitandone lo stile
3) Inviate un racconto di massimo 8.000 battute spazi inclusi, entro e non oltre il 31 luglio 2011 all’indirizzo: info@leggereditore.it La casa editrice selezionerà due racconti, uno di genere storico e uno paranormal.
Un’occasione unica per le amanti del romance italiano, che permetterà alle autrici dei due racconti selezionati di partecipare – a spese della casa editrice – al Women’s Fiction Festival che si terrà a Matera a settembre 2011.

Michele Monina parla ai lettori di ChronicaLibri

Stefano Billi

Roma – Michele Monina, autore di “Eros Ramazzotti”, la biografia pubblicata da Leggereditore e da noi recensita qualche settimana fa, svela ai lettori di ChronicaLibri alcune curiosità sulla sua opera.

Nelle prime pagine del libro afferma che ha nutrito un particolare interesse in Eros Ramazzotti – e asserisce che ciò, per certi versi, è la ragione per cui ha scritto questa biografia – vedendolo esibire in un concerto.
Dunque, facendo riferimento all’intero profilo artistico del Ramazzotti, Lei predilige il cantante romano più in versione “live”, oppure più in versione “studio”?
Come ho cercato di chiarire nel corso della mia biografia, in realtà non mi sarei mai avvicanato alla biografia di Ramazzotti se non mi fosse capitato di vederlo dal vivo. Non perché avessi preconcetti nei suoi confronti, ma solo perché, onestamente, non ho mai guardato alla sua musica con eccessivo interesse. Ho però sempre seguito il suo personaggio, trovandolo sicuramente uno dei più singolari nel nostro panorama pop. Quindi, dal mio personalissimo punto di vista, l’energia vista sul palco batte quella espressa su cd in maniera abbastanza netta.

Come biografo, quale ritiene essere l’ingrediente fondamentale del successo di Eros Ramazzotti?
Difficile trovare il segreto di un successo, perché altrimenti sarebbe possibile anche costruirli a tavolino, con buona pace di quanti arrivano in vetta solo grazie alla gavetta e al duro lavoro (come Eros, del resto). Io penso che il suo principale pregio sia quello di aver trovato una lingua, un modo di comunicare diretto, senza filtri. Un modo di comunicare, magari, non rivolto e me, ma che non per questo non riconosco. Il pop, in fondo, è questo. Un linguaggio trasversale che non ha bisogno di traduzioni o di spiegazioni.

Per Leggereditore, Lei si è occupato non soltanto di redigere una biografia su Eros Ramazzotti, ma anche di narrare le storie e le vite di altri artisti, quali Vasco Rossi e Laura Pausini.
Ha mai pensato di raccontare la carriera musicale di una band, anziché di un musicista singolo?
Io da anni sto lavorando alla mappatura di quella che è la cultura popolare italiana e non solo, in modo particolare musicale. Ho scritto di popstar come Vasco, la Pausini, Eros, ma anche di Valentino Rossi, Michael Stipe, Lady Gaga, Mondo Marcio, Malika Ayane, Caparezza, Milito, Ibrahimovic, e a breve usciranno lavori su Lucio Dalla, Elisa, Cristina Donà e Fabri Fibra. In questa mia mappatura, ovviamente, rientrano anche alcuni gruppi, di cui presto dovrei andarmi a occupare. Ma tra il mio analizzare il mondo culturale pop e la pubblicazione di un libro deve scattare anche la volontà dell’editore. Io vivo di scrittura, e i miei studi si concentrano su un personaggio in maniera più stringente solo quando il mio studio diventerà un libro, cioè quando l’editore si farà avanti in maniera decisa. Al momento, quindi, non è di imminente uscita nessuna biografia di una band, ma prima o poi succederà…

Dopo aver scritto una biografia su un artista, Lei rimane molto appassionato del musicista in questione, diventandone un fan accanito, oppure al termine della redazione della biografia riprende i suoi gusti musicali tradizionali, lasciati appositamente “incontaminati” dal suo lavoro?
Io non tendo a diventare mai un fan accanito degli artisti di cui scrivo. E qui magari rispondo anche alla domanda successiva. Sono uno scrittore e un critico musicale, scrivo per mestiere, oltre che per passione. I miei libri, credo, hanno trovato un certo successo nel mercato editoriale proprio perché non avevano il tipico taglio del libro scritto dal fan, una sorta di santino del personaggio trattato. Io scrivo ovviamente quello che è il mio punto di vista, ma cerco di rimanere sempre obiettivo, incensando quando c’è da incensare, ma anche criticando quando c’è da criticare. L’essere distaccato, e quindi non un fan, è fondamentale. Anche per questo, per scelta, non scrivo mai di quelli che sono i miei reali gusti musicali. O raramente, come nel caso di Cristina Donà.

Perché i nostri lettori dovrebbero leggere il suo libro?
Quando una decina di anni fa ho cominciato a scrivere biografie di cantanti, i grandi editori, come la Mondadori, la Rizzoli e altri, dicevano che in Italia le biografie non avrebbero mai funzionato, perché i lettori italiani volevano le autobiografie. Dieci anni dopo, e oltre seicentomila copie vendute dopo, credo che questa faccenda sia archiviata per sempre. L’imminente uscita di Semplicemente Elisa, proprio per Mondadori, lo dimostra. Credo che, non stando a me parlare dei miei libri, un buon argomento potrebbe essere il fatto che i lettori, comprandoli e parlandone, hanno reso possibile l’inizio, anche in Italia, di un nuovo genere, “le biografie pop”. Non fidatevi di me, ché sarei poco obiettivo, fidatevi dei lettori…

Michele Monina racconta "Eros Ramazzotti"

Stefano Billi

Roma – Da pochissime settimane è  in libreria “Eros Ramazzotti”, il nuovo libro di Michele Monina pubblicato da Leggereditore. Il libro che racconta la vita e la musica della celebre pop star italiana è un percorso nella carriera di Eros: dai suoi esordi sino alle sue ultime opere, passando per i momenti salienti del suo percorso artistico e per gli avvenimenti più importanti della sua vita privata. Le canzoni di Ramazzotti fanno da sottofondo all’intessere – da parte di Michele Monina – di pagine molto appassionanti, che sanno carpire l’attenzione del lettore attraverso l’utilizzo di uno stile narrativo assolutamente coinvolgente e sincero.
Il modus scrivendi utilizzato dall’autore è scorrevole e lineare: l’uso di un linguaggio semplice ed asciutto agevola la curiosità verso questo musicista romano, cosicché tanto i fans più sfegatati, quanto i neofiti potranno trovare uno spiccato interesse nella lettura di questo libro.
Numerosi aneddoti impreziosiscono poi il contenuto della biografia, che diviene così lo spunto divertente per saperne di più su un cantante che, a pieno titolo, risiede stabilmente nell’Olimpo del panorama musicale italiano, a fronte di una storia personale costellata di solidi successi professionali.
Inoltre, è particolarmente piacevole scoprire come il Monina metta a fuoco l’anima da rock star di Eros Ramazzotti in riferimento ai suoi concerti, dove viene sprigionata un’energia e un’adrenalina fortissima, che lascia sbigottiti coloro che assistono, soprattutto per la prima volta, a un suo show.
Uno strumento utile, infine, sono le note sulla discografia inserite in fondo al libro: esse divengono un’appendice indispensabile per tutti coloro che vogliano dirsi ferrati sulle attività discografiche del cantante e sulla sua produzione artistica, dagli esordi fino ad oggi.
“Eros Ramazzotti” è dunque la biografia ideale sia per gli appassionati di musica leggera, che potranno dunque approfondire la storia di questo “big” della canzone italiana, sia per i fans più accaniti del cantautore italiano, che potranno scoprire aspetti inediti attinenti il loro idolo, e sia per coloro che hanno ascoltato per anni la musica del cantautore romano, e che però hanno intenzione di conoscerne la vita artistica e privata.

Anteprime: leggi in esclusiva "Brivido eterno", romanzo sensuale e peccaminoso

ROMA – Grazie alla collaborazione con Leggereditore puoi leggere su ChronicaLibri l’esclusiva anteprima di “Brivido eterno”, l’ultimo libro di Larissa Ione in tutte le librerie dal 31 marzo. Il romanzo è il primo volume di una saga intrisa di sensualità, avventura e azione, solo per un pubblico adulto.

1.
Il demone è un principe dell’aria e può assumere diverse forme, ingannare i nostri sensi per un certo periodo di tempo; ma il suo potere è limitato,può terrorizzarci ma non farci del male.
Robert Burton, Anatomia della malinconiaSe non fossero stati in ospedale, Eidolon avrebbe ucciso il
tizio che implorava per la propria vita.

Ma visto che le cose stavano così, avrebbe dovuto salvare
il bastardo.Il paziente rispose con un gemito. «Derc.»
«Ascoltami bene, Derc. Curerò questa brutta ferita, ma farà
male. Parecchio. Cerca di non muoverti. E non gridare come
un diavoletto spaventato.»
«Dammi qualcosa per il dolore, pezzo di merda di un parassita.»
«Dottor parassita.» Eidolon fece un cenno al vassoio degli
strumenti e Paige, una delle poche infermiere umane, gli passò le pinze vascolari.
«Derc, amico, hai mangiato uno dei figli di quell’Umber prima che ti scoprisse?»
L’odio defluì dal corpo di Shade quando Derc scosse il capo,
mostrando i denti affilati, mentre gli occhi brillavano arancioni.
«Allora oggi non è proprio la tua giornata fortunata. Non
hai fatto uno spuntino e non avrai nemmeno qualcosa per il dolore.»
Concedendosi un ghigno sinistro, Eidolon clampò l’arteria
danneggiata in due punti mentre Derc gridava ignobili imprecazioni
e lottava contro le cinghie di contenzione che lo tenevano fermo sul tavolo metallico.
«Bisturi.»
Paige gli passò lo strumento e Eidolon incise sapientemente
tra le due clamp. Shade si chinò per osservarlo mentre tagliava
il tessuto arterioso a brandelli per poi ricongiungere i
due capi nuovamente intatti. Un brivido caldo gli percorse il
braccio destro lungo i segni che aveva sulla pelle fino alle punte
delle dita guantate, e l’arteria si fuse. Il mangiatore di bambini
non avrebbe più dovuto preoccuparsi dell’emorragia.
Dall’espressione di Shade, però, avrebbe dovuto preoccuparsi
di sopravvivere non appena avesse messo piede fuori dall’ospedale.
Non sarebbe stata la prima volta che Eidolon salvava la vita a
un paziente per poi vederlo morire subito dopo la dimissione.

sul monitor accanto al letto. «Potrebbe collassare.»
«C’è un’altra perdita di sangue da qualche parte. Stabilizza la pressione.»
Riluttante, Shade mise il palmo della mano sulla cresta ossea
della fronte di Derc. Le cifre sul monitor scesero improvvisamente,
poi si alzarono ancora e infine si stabilizzarono,
ma il cambiamento sarebbe stato temporaneo. I poteri di Shade
non potevano sostenere una vita che non c’era, e se Eidolon
non avesse trovato il problema, l’intervento di Shade non
sarebbe servito a nulla.
Una rapida valutazione delle altre ferite non rivelò nulla
che potesse spiegare il calo delle funzioni vitali. Poi, proprio
sotto la dodicesima costola, trovò una cicatrice fresca. Sotto
il taglio netto qualcosa gorgogliava.
«Shade.»
«Per le fiamme dell’inferno» disse Shade in un sospiro. I
suoi occhi si mossero in modo frenetico mentre si passava le
dita fra i capelli quasi corvini che, arrivandogli alle spalle, erano
più lunghi ma dello stesso colore di quelli di Eidolon. «Potrebbe
non essere niente. Non è detto che siano stati i ghoul.»
Ghoul. Non si trattava dei mostri che secondo il folklore
umano si nutrivano di cadaveri. Così venivano chiamati coloro
che facevano a pezzi i demoni per vendere le loro parti al
mercato nero degli inferi.
Sperando che il fratello avesse ragione, ma di certo non così
ingenuo, Eidolon premette delicatamente sulla cicatrice.
«Derc, che è successo qui?»
«Mi sono tagliato.»
«Questa è una cicatrice chirurgica.»
L’
la chirurgia sulla loro specie e Derc non era mai stato ricoverato
prima d’allora.
Eidolon percepì il puzzo pungente della paura. «No. È sta-
«La pressione sta scendendo.» Lo sguardo di Shade era concentratoUG era l’unica struttura sanitaria al mondo che praticasse10to un incidente.» Derc strinse i pugni, gli occhi privi di palpebre
erano disperati. «Devi credermi.»
«Derc, calmati. Derc?»
Le spie del monitor cominciarono a suonare e al divoratore
di bambini vennero le convulsioni.
«Paige, prendi il carrello delle emergenze. Shade, alza le funzioni vitali.»
Un misterioso lamento sembrò fuoriuscire da ogni poro
della pelle di Derc e un fetore di bacon andato a male e liquirizia
riempì lo spazio angusto. Paige vomitò la colazione nel
bidone dell’immondizia. Il tracciato dell’elettrocardiogramma era piatto. Shade tolse
la mano dalla fronte del paziente.
«Odio quando fanno così.» Chiedendosi cosa avesse spaventato
Derc a tal punto da fargli decidere di fermare da solo
le proprie funzioni vitali, Eidolon aprì la cicatrice con un
colpo deciso del bisturi, sapendo cos’avrebbe trovato, ma col
bisogno di esserne assolutamente certo.
Shade infilò la mano nella tasca della divisa e tirò fuori l’immancabile
gomma da masticare. «Cosa manca?»
«Il sacco di Pan Tai. Raccoglie i materiali di rifiuto e li reintegra
nell’organismo, così la sua specie non deve mai urinare o defecare.»
«Che praticità» mormorò Shade. «E uno cosa se ne farebbe?»
Paige si tamponò la bocca con una spugna chirurgica, aveva
un colorito ancora verdognolo, anche se il puzzo della morte
del paziente si era prevalentemente dissolto. «Il contenuto
viene usato durante alcuni riti vudu che colpiscono i movimenti intestinali.»
Shade scosse la testa e diede all’infermiera un pacchetto di
gomme. «Non c’è più niente di sacro?» Si voltò verso Eidolon.
«Perché non l’hanno ucciso? Hanno ucciso gli altri.»
«Valeva di più da vivo. La sua specie riesce a farsi ricrescere
un organo nel giro di qualche settimana.»
«Cosa da cui avrebbero tratto profitto.» Shade si lasciò sfuggire
una sfilza di imprecazioni, incluse alcune che Eidolon
non aveva mai sentito nonostante i suoi cento anni d’età. «Deve
trattarsi dell’Aegis. Morbosi bastardi.»
Chiunque fossero i bastardi in questione, erano stati piuttosto
occupati. I paramedici avevano portato in ospedale dodici
corpi mutilati nelle ultime due settimane e la violenza era
andata crescendo. Alcuni segni sui corpi delle vittime indicavano
che erano state squartate mentre erano ancora vive… e coscienti.
Peggio ancora: alla maggior parte dei demoni non importava
nulla, e quelli a cui importava non avrebbero cooperato con
i Consigli delle altre specie per aprire un’indagine. AEidolon
importava, non solo perché era implicato qualcuno con conoscenze
mediche, ma perché era solo una questione di tempo
prima che i macellai acciuffassero qualcuno che conosceva.
«Paige, informa l’obitorio perché vengano a prendere il
corpo e comunica loro che voglio una copia del risultato dell’autopsia.
Ho intenzione di scoprire chi sono questi stronzi.»
«Dottor E.» Eidolon non aveva fatto più di dieci passi
quando Nancy, una vampira che faceva l’infermiera da prima
di essere trasformata, lo chiamò dalla postazione dietro al
banco dell’accettazione. «Ha chiamato Skulk, ha detto che sta
portando qui un Cruentus. Arrivo stimato fra due minuti.»
Eidolon si lasciò quasi sfuggire un gemito. I Cruenti vivevano
per uccidere, il loro desiderio di carneficina era così incontrollabile
che persino durante l’accoppiamento a volte si
facevano a pezzi a vicenda. L’ultimo Cruentus che avevano
avuto come paziente si era liberato delle cinghie di contenzione
e aveva distrutto mezzo ospedale prima che riuscissero a sedarlo.
«Prepara la sala emergenza 2 con le cinghie rinforzate in
oro e chiama il dottor Yuri. Alui piacciono i Cruenti.»
«Ha detto anche che porta un paziente a sorpresa.»
Questa volta Eidolon gemette sul serio. L’ultima sorpresa
di Skulk si era rivelata un cane investito da un’auto. Un cane
che lui poi si era dovuto portare a casa perché lasciarlo uscire
dal pronto soccorso avrebbe significato offrire un bel pasto
a un certo numero di membri dello staff. Adesso quel piccolo
bastardo maledetto si era già mangiato tre paia di scarpe e
aveva preso il controllo del suo appartamento.
Shade sembrava combattuto tra dar sfogo all’irritazione
con Skulk, la sua sorella Umber, e flirtare con Nancy, con cui
era già stato a letto due volte per quel che ne sapeva Eidolon.
«La uccido.» Chiaramente, alla fine aveva vinto l’irritabilità.
«Non se la becco prima io.»
«Lei è off limits per te.»
«Non hai mai detto che non posso ucciderla» puntualizzò
Eidolon. «Hai solo detto che non posso andare a letto con lei.»
«Vero.» Shade si strinse nelle spalle. «Uccidila tu, allora.
Mia madre non mi perdonerebbe mai.»
Shade aveva ragione su questo. Sebbene Eidolon, Wraith e
Shade fossero demoni di pura razza Seminus figli dello stesso
padre ormai defunto, le loro madri erano tutte di specie
differenti e tra loro quella di Shade era la più materna e protettiva.
I segnalatori alogeni rossi ruotarono sui montanti attaccati
al soffitto, per segnalare l’arrivo dell’ambulanza. La luce cremisi
inondò la stanza, portando in evidenza le scritte sulle
pareti grigie. Quella tonalità non era stata la prima scelta di
Eidolon, ma tratteneva gli incantesimi meglio di qualsiasi altro
colore, e in un ospedale in cui tutti erano il nemico mortale
di qualcuno, ogni vantaggio era decisivo. Per questo i simboli
e gli incantesimi erano stati modificati per aumentare i
loro poteri protettivi.
13Invece della pittura, erano scritti col sangue.
L’ambulanza penetrò nei recessi della struttura sotterranea
e l’adrenalina iniziò a scorrere con violenza nelle vene di
Eidolon. Amava questo lavoro. Amava gestire quell’angolino
d’inferno personale, per lui era quanto di più vicino al paradiso
avesse mai trovato.
L’ospedale, situato sotto le strade affollate di New York e
nascosto con la magia proprio sotto al naso degli umani, era
la sua creatura. Ma era anche la sua promessa al genere demoniaco,
che vivesse nei meandri della terra o in superficie insieme
agli umani: sarebbe stato curato senza discriminazioni, la
sua razza non era abbandonata da tutti.
Le porte scorrevoli del pronto soccorso si aprirono con un
sibilo e il paramedico che faceva coppia con Skulk, un lupo
mannaro che odiava tutto e tutti, spinse dentro una barella cui
era stato legato per sicurezza un Cruentus sanguinante. Eidolon
e Shade si misero al passo con Luc: sebbene fossero entrambi
sul metro e novanta, i dieci centimetri in più e la corporatura
imponente del licantropo li faceva sentire dei nani.
«Cruentus» ringhiò Luc, perché non produceva mai altro
suono quando era in forma umana, come in quel momento.
«Trovato privo di coscienza. Frattura esposta di tibia e perone
alla gamba destra. Ferita lacerocontusa alla base della nuca inferta
da un colpo. Entrambe le lesioni si sono rimarginate. Profonde
lacerazioni non rimarginate all’addome e alla gola.»
Eidolon sollevò un sopracciglio. Solo l’oro o armi perfezionate
con la magia avrebbero potuto causare ferite del genere.
Tutte le altre lesioni si richiudevano da sole mentre il Cruentus si rigenerava.
«Chi ha chiamato aiuto?»
«Li ha trovati un vampiro. Il Cruentus e…» indicò con l’unghia
lunga del pollice l’ambulanza alle proprie spalle, dove
Skulk aveva tirato fuori la seconda barella «quella
Eidolon si fermò di colpo, e Shade con lui. Per un istante,

Uno dei medici le aveva tagliato i vestiti di pelle rossa che giacevano
sotto di lei come se fosse stata scuoiata. Adesso aveva
addosso solo le cinghie, reggiseno e mutandine neri e una vasto
assortimento di fodere per armi legate alle caviglie e agli avambracci.
Un brivido gli percorse la spina dorsale a doppia articolazione:
cazzo, no, questo non doveva succedere. «Hai portato
una cacciatrice dell’Aegis nel mio ospedale? Che diavolo ti è saltato in mente?»
Skulk sbottò esasperata, lo fulminò con i penetranti occhi
grigi che si accordavano con la pelle e i capelli cinerei. «Che
altro avrei dovuto farne? La sua partner è finita in pasto ai topi.»
«Il Cruentus ha neutralizzato una cacciatrice?» chiese Shade,
e quando la sorella annuì percorse con lo sguardo l’umana
ferita. I comuni esseri umani costituivano una minaccia insignificante
per i demoni, ma quelli che appartenevano all’Aegis,
un’associazione guerriera volta a sterminarli, non avevano
nulla di comune. «Non avrei mai pensato di ringraziare un
Cruentus. Avresti dovuto lasciare pure questa ai topi.»
«Le sue lesioni potrebbero risparmiarci un po’ di lavoro.»
Skulk snocciolò la lista delle ferite, tutte serie, ma la peggiore
– il polmone perforato – poteva anche accelerare il decesso.
Skulk le aveva praticato una decompressione con un ago e per
il momento la cacciatrice era stabile, il colorito era buono. «E
poi» aggiunse «la sua aura è debole, sottile. Non sta bene da molto tempo.»
Paige si avvicinò a loro, nei suoi occhi nocciola brillava
qualcosa di simile alla soggezione. «Mai vista una Buffy prima
d’ora. Non una viva, comunque.»
«Io sì. Diverse.» La voce roca di Wraith arrivò da qualche
parte alle spalle di Eidolon. «Ma non sono rimaste vive a lungo.
» Wraith, praticamente identico ai fratelli tranne che per
entrambi fissarono la femmina umanoide priva di coscienza.
alle spalle, prese il controllo della barella. «La porto fuori
e la faccio sparire.»
Farla sparire.
che l’Aegis aveva fatto a loro fratello, Roag. Una perdita
che Eidolon ancora sentiva come una crepa nell’anima. «No»
disse, digrignando i denti per quella decisione. «Aspetta.»
Per quanto lo allettasse l’idea di lasciare che Wraith facesse
a modo suo, solo tre tipi di creature potevano essere respinte
dall’
macellai dell’Aegis non erano tra queste. Una svista cui aveva
intenzione di rimediare. Certo, in qualità di quello che era
l’equivalente del capo dello staff medico in un ospedale umano,
lui aveva l’ultima parola: poteva lasciar morire la donna,
ma era stata concessa loro una rara opportunità. I suoi sentimenti
nei confronti dei cacciatori dovevano essere messi da parte.
«Portala in sala emergenza 1.»
«Ascolta,» disse Shade abbassando il tono per la disapprovazione
«averla catturata per poi lasciarla andare non mi
sembra una buona idea in questo caso. E se è una trappola?
E se ha addosso un dispositivo di localizzazione?»
Wraith si guardò attorno come se si aspettasse di vedere i
cacciatori dell’Aegis – loro si facevano chiamare Guardiani – comparire dal nulla.
«C’è l’incantesimo di Protezione.»
«Solo se ci attaccano dall’interno. Se ci trovano, potrebbero
cercare di far saltare l’edificio.»
«Occupiamoci di lei e dopo penseremo al resto.» Eidolon
spinse la barella nella sala predisposta, i fratelli paranoici e
Paige subito dietro di lui. «Abbiamo l’opportunità di imparare
qualcosa su di loro. La conoscenza che potremmo acquisire
supera di gran lunga gli eventuali pericoli.»
Allentò le cinghie e le sollevò la mano sinistra. L’anello argento
e nero che portava al mignolo aveva un’aria piuttosto
innocua, ma quando lo sfilò lo stemma dell’Aegis inciso al suo
interno confermò l’identità della donna e gli provocò un brivido.
Se le dicerie erano vere, qualsiasi gioiello che recasse inciso
quello scudo era imbevuto di poteri che conferivano ai cacciatori
la visione notturna, la protezione da certi incantesimi,
l’abilità di vedere attraverso i mantelli dell’invisibilità… e solo
gli dèi sapevano chissà che altro.
«Sarà meglio che tu sappia quello che fai, Eidolon.» Wraith
chiuse la tenda con uno strattone per lasciare fuori il personale sbalordito.
A giudicare dal numero degli astanti, probabilmente la
voce aveva cominciato a circolare. Venite a vedere Buffy, l’incubo«Non fai così tanta paura adesso, vero, piccola assassina?»
mormorò Eidolon infilandosi i guanti.
Il labbro superiore della donna si arricciò, come se lo avesse
sentito, e lui d’un tratto ebbe la certezza che non avrebbe
perso la paziente. La morte disdegnava forza e cocciutaggine,
qualità che si sprigionavano da lei a ondate. Incerto se la
sua sopravvivenza fosse una cosa positiva o negativa, le tagliò
il reggiseno per controllare le lacerazioni al torace. Shade,
che era rimasto in giro a ciondolare in attesa che iniziasse
il suo turno, stabilizzò le funzioni vitali, attenuando i suoi respiri faticosi e gorgoglianti.
«Paige, determina il gruppo sanguigno e portami una sacca
di gruppo 0 umano mentre aspettiamo.»
L’infermiera si mise al lavoro e Eidolon allargò la ferita più
grave della cacciatrice con il bisturi. Sangue e aria gorgogliarono
attraverso il polmone danneggiato e le pareti del torace
mentre inseriva le dita e univa i lembi lacerati per la fusione.
Wraith incrociò le braccia sul petto, i bicipiti si contraevano
come se volessero partire alla carica e uccidere la cacciatrice

Leggereditore tutti i diritti riservati.
appostato nei nostri armadi e pronto all’agguato.
Era la cosa giusta da fare. Dopotutto, era quellogli occhi azzurri e i capelli biondi – quasi bianchi – lunghi finoUG, in base allo statuto che lui stesso aveva redatto, e i.

«Avolte essere un medico è uno schifo» borbottò, e trafisse
il demone in abiti umani con una siringa piena di enoxacina.
Il paziente urlò quando l’ago penetrò nel tessuto lacerato
della coscia, iniettando nella ferita il medicinale per prevenire
eventuali infezioni.
«Non lo hai sedato prima?»
Eidolon ridacchiò per le parole del fratello minore. «L’incantesimo
di Protezione mi impedisce di ucciderlo. Non mi
trattiene dal dispensare un po’di giustizia durante la terapia.»
«Non riesci a lasciarti il vecchio lavoro alle spalle, eh?» Shade
aprì completamente la tendina che separava due dei tre
cubicoli del pronto soccorso e si avvicinò. «Questo figlio di
puttana mangia i neonati. Lascia che lo accompagni fuori io
in sedia a rotelle, poi gli spaccherò quel culo sciancato.»
«Si è già offerto di farlo Wraith.»
«Se fosse per lui, Wraith liquiderebbe tutti i pazienti.»
Eidolon borbottò. «Probabilmente è un bene che il nostro
fratellino non abbia intrapreso la strada della medicina.»
«Non l’ho fatto nemmeno io.»
«Tu avevi altri motivi.»
Shade non aveva voluto passare troppo tempo sui libri, soprattutto
perché il suo potere di guarigione si addiceva di più
al mestiere che aveva scelto, il paramedico. Tutto quello che
faceva era togliere i pazienti dalla strada e tenerli in vita finché
lo staff dell’Underworld General non li avesse sistemati.
Il sangue gocciolò sul pavimento di ossidiana mentre Eidolon
esplorava con lo specillo la ferita più grave del paziente.
Una femmina di demone Umber – la stessa specie della
madre di Shade – aveva sorpreso il paziente dopo che si era
intrufolato nella camera dei bambini e in qualche modo era
riuscita a trafiggerlo diverse volte con lo scopettino del water.
D’altra parte, i demoni Umber erano straordinariamente
forti nonostante la corporatura minuta. Soprattutto le femmine.
In diverse occasioni Eidolon aveva tratto piacere dall’impiego
di quella forza sotto le lenzuola. In effetti, quando non
sarebbe più riuscito a resistere al ciclo di maturazione finale
in cui era entrato il suo corpo, pensava di scegliere una femmina
Umber come sua prima infadre. Le Umber erano ottime
madri e raramente uccidevano la progenie indesiderata di un demone Seminus.
Mettendo da parte i pensieri che lo affliggevano sempre
più spesso con l’avvicinarsi del Cambiamento, Eidolon diede
un’occhiata al viso del paziente. La pelle, che sarebbe dovuta
essere di un intenso color ruggine, ora era pallida per il
dolore e la perdita di sangue. «Come ti chiami?»

Anteprima: leggi un estratto de "Il letto di rose", il nuovo romanzo di Nora Roberts (Leggereditore)

ROMA – In anteprima su ChronicaLibri un estratto del nuovissimo romanzo scritto da Nora Roberts e pubblicato da Leggere Editore. “Il letto di rose” è il secondo episodio della serie Il quartetto della sposa, che ha già conquistato il cuore di centinaia di migliaia di lettrici nel mondo.
1
I dettagli le affollavano la mente, molti in modo confuso,
Emma controllò l’agenda degli appuntamenti mentre prendeva
la prima tazza di caffè. Le consulenze consecutive le davano
la stessa carica della forte miscela zuccherata. Assaporandola, si appoggiò allo schienale della sedia nel comodo ufficio per leggere le annotazioni che aveva aggiunto a margine dei dati di ogni cliente.

Nella sua esperienza, la personalità della coppia – o spesso, più precisamente, della sposa – la aiutava a determinare il tono della consulenza, la direzione che avrebbero seguito.
Secondo la concezione di Emma, i fiori erano il cuore del matrimonio.
Che fossero eleganti o divertenti, ricercati o semplici, i fiori rappresentavano il romanticismo.
Il suo lavoro era dare ai clienti tutto il cuore e il romanticismo che desideravano.
Sospirò, si stiracchiò, poi sorrise al vaso di roselline sulla
scrivania. La primavera, pensò, era il meglio. La stagione dei
matrimoni entrava nel vivo… Il che significava giornate indaffarate
e lunghe notti a progettare, disporre, creare, non solo
per i matrimoni di questa primavera, ma anche per la successiva.
Amava la continuità quanto il lavoro stesso.
Ecco quel che Promesse aveva dato a lei e alle sue tre migliori
amiche. Continuità, un lavoro gratificante e quel senso
di realizzazione personale. E lei era finita a giocare con i fiori,
a vivere con i fiori, praticamente a immergersi tra i fiori ogni giorno.
Pensierosa, si osservò le mani, esaminando i piccoli graffi
e i tagli minuscoli. In certi giorni li considerava cicatrici fatte
sul campo di battaglia, in altri medaglie al valore. Quella mattina
desiderò soltanto di essersi ricordata di prenotare una manicure.
Diede uno sguardo all’ora, fece due calcoli. Di nuovo carica,
balzò in piedi. Facendo una deviazione in camera, prese
una felpa scarlatta col cappuccio e la infilò sopra il pigiama.
C’era abbastanza tempo per passare dall’edificio principale
prima di vestirsi e prepararsi per la giornata. Lì la signora Grady
avrebbe preparato la colazione, così Emma non avrebbe
dovuto frugare in tutta casa per cucinarsi qualcosa da sola.
La sua vita, pensò mentre scendeva le scale saltellando, era piena di squisiti privilegi.
Attraversò il soggiorno che utilizzava come reception e sala
di consulenza e si guardò rapidamente attorno mentre si
dirigeva alla porta. Avrebbe cambiato l’acqua ai fiori in esposizione
in tempo per il primo appuntamento della giornata,
ma oh, quei Lilium orientalis non si erano aperti meravigliosamente?
Uscì da quello che era stato l’alloggio per gli ospiti di villa
Brown e che ora era la sua casa e la base operativa di Bouquet,
la sezione di Promesse gestita da lei.
Respirò a fondo l’aria primaverile. E tremò.
Accidenti, perché non poteva fare un po’ più caldo? Era
aprile, per l’amor di dio. Era il tempo delle giunchiglie. Com’erano
allegre le viole del pensiero che aveva piantato nei
vasi. Si rifiutava di permettere a una giornata gelida – e, okay, a dirla tutta stava cominciando anche a piovigginare – di rovinarle l’umore.
Si strinse nella felpa, infilò la mano che non reggeva la tazza
di caffè in tasca e cominciò a camminare in direzione dell’edificio principale.
Le cose stavano tornando a prendere vita intorno a lei, ricordò a sé stessa. Se si guardava attentamente, si riusciva a scorgere la promessa del verde sugli alberi, l’indizio della delicata
fioritura del corniolo e del ciliegio. Quelle giunchiglie
volevano sbocciare, e i fiori di zafferano selvatico lo avevano
già fatto. Forse ci sarebbe stata un’altra nevicata primaverile,
ma il peggio era passato.
Presto sarebbe giunto il momento di sporcarsi le mani, di
portare alcune delle sue meraviglie fuori dalla serra e metterle
in mostra. Lei si occupava di bouquet, festoni e ghirlande,
ma niente superava madre natura nel fornire il più struggente
scenario per un matrimonio.
E niente, secondo lei, batteva villa Brown nel valorizzare tale scenario.

I giardini, il pezzo forte persino adesso, presto sarebbero
esplosi di colori, boccioli, profumi, invitando le persone a gironzolare
per i sentieri sinuosi e a sedersi su una panchina, a
rilassarsi al sole o all’ombra. Parker aveva incaricato lei – così
come dava incarichi a chiunque altro – di occuparsene,
quindi ogni anno si trovava a giocare, a piantare qualcosa di
nuovo, o a supervisionare la squadra di tecnici del paesaggio.
Le terrazze e i patii creavano dei deliziosi spazi utili all’aperto,
perfetti per matrimoni ed eventi… ricevimenti in piscina,
ricevimenti in terrazza, cerimonie nel roseto o sotto il
pergolato, o magari vicino al laghetto all’ombra di un salice.
Abbiamo ogni possibilità, pensò.
E la casa? C’era qualcosa di più elegante, di più bello? Il
meraviglioso blu tenue, quei caldi tocchi di giallo e crema,
tutti i vari profili del tetto, le finestre ad arco, le balconate in ferro battuto contribuivano a creare quel fascino raffinato. E poi il portico d’entrata sembrava fatto apposta per essere affollato
da vegetazione lussureggiante o da tessuti e colori complessi.
Da bambina aveva sempre pensato a quel posto come al
regno delle fate, con tanto di castello.
Ora era casa sua.
Girò in direzione della dépendance accanto alla piscina dove
la sua socia Mac viveva e gestiva il proprio studio fotografico.
Proprio mentre stava per afferrare la maniglia, la porta si
aprì. Emma sorrise, fece un cenno all’uomo allampanato con
i capelli spettinati e la giacca di tweed che stava uscendo.
«Buongiorno, Carter!»
«Ciao, Emma.»
La famiglia di Carter e la sua si frequentavano da che aveva
memoria. Ora Carter Maguire, ex docente di Yale e insegnate
di letteratura inglese nel liceo che avevano frequentato
da ragazzi, era fidanzato con una delle migliori amiche che avesse al mondo.
La vita non era semplicemente bella, pensò Emma. Era un dannato letto di rose.
Con quel pensiero in mente, non poté far altro che raggiungere
Carter a passo di danza, tirarlo per i risvolti della giacca
mentre si alzava in punta di piedi per dargli un sonoro bacio.
«Wow» disse lui, arrossendo leggermente.
«Ehi.» Mackensie, gli occhi assonnati, la massa di capelli
rossi luminosi nell’oscurità, si appoggiò allo stipite della porta.
«Ci stai provando con il mio ragazzo?»
«Magari. Te lo ruberei, ma tu l’hai sedotto e ammaliato.»
«Hai assolutamente ragione.»
«Bene.» Carter offrì a entrambe un sorriso confuso. «Questo
è davvero un ottimo inizio per la mia giornata. La riunione
dei docenti cui devo partecipare non sarà divertente nemmeno la metà di così.»
«Datti malato.» Mac abbassò il tono della voce con fare seduttivo.
«Ti darò io qualcosa di divertente.»
«Ah. Bene. Comunque… ciao.»
Emma sorrise guardandolo precipitarsi verso la macchina.
«È così carino
«Proprio così.»
«Ma guardati, Ragazza Felice.»
«Fidanzata Felice. Vuoi vedere di nuovo il mio anello?»
«Oooh» fece d’obbligo Emma mentre Mac sventolava le dita. «Aaah.»
«Stai andando a fare colazione?»
«Questo è il mio piano.»
«Aspetta.» Mac entrò un attimo, prese una giacca, poi si
chiuse la porta alle spalle. «Non ho nient’altro di pronto a parte il caffè, quindi…» Mentre scendevano insieme i gradini,
Mac aggrottò la fronte. «Quella è la mia tazza.»
«La vuoi indietro adesso?»
«Io lo so perché sono felice in questa merdosa mattina, ed
è la stessa ragione per cui non ho avuto tempo di fare colazione.
Si chiama ‘facciamo la doccia insieme’.»
«Ragazza Felice e anche Stronza Fanfarona.»
«E ne sono orgogliosa. Perché sei così allegra? Hai un uomo in casa?»
«Purtroppo no. Ma ho cinque consulenze questa mattina.
Il che è un modo grandioso di iniziare la settimana, e segue la scia della deliziosa conclusione della settimana scorsa, con il tè della cerimonia di ieri.»
«La nostra coppia di sessantenni che si è scambiata le promesse e ha festeggiato circondata dai figli di lui, quelli di lei e i nipotini. Non è stato solo dolce, ma rassicurante. Era la seconda
volta per entrambi, eppure eccoli lì, pronti a farlo di nuovo, spinti dal desiderio di condivisione e unione. Ho fatto degli scatti davvero belli. Comunque, credo che quei pazzerelli
ce la faranno.»
«Aproposito di pazzerelli, dobbiamo davvero cominciare
a parlare dei fiori per te. Dicembre sarà anche lontano,» disse rabbrividendo «ma arriverà in un baleno, come ben sai.»
«Non ho nemmeno deciso il tono della foto di fidanzamento.
Né dato un’occhiata ai vestiti, o scelto i colori.»
«Io sono fantastica nei toni delle pietre preziose» disse Emma con uno sfarfallio delle ciglia.
«Tu sei fantastica anche con addosso un sacco. Aproposito
di stronze fanfarone.» Mac aprì la porta che dava nello spogliatoio
e, poiché la signora Grady era tornata dalla sua vacanza invernale, ricordò di pulirsi i piedi. «Non appena troverò il vestito, discuteremo di tutto il resto.»
«Sei la prima tra noi a sposarsi. E a celebrare il matrimonio qui.»
«Già. Sarà interessante vedere come faremo a occuparci
del matrimonio e a parteciparvi allo stesso tempo.»
«Sai che puoi contare su Parker per la logistica. Se c’è qualcuno
che può far andare tutto liscio, quella è Parker.»
Entrarono in cucina, e nel bel mezzo del caos.
Mentre la sempre equilibrata Maureen Grady lavorava ai
fornelli, con movimenti efficienti e viso sereno, Parker e Laurel
si affrontavano da una parte all’altra della stanza.
«Bisogna fare così» insisté Parker.
«Stronzate, stronzate, stronzate.»
«Laurel, questi sono affari. Negli affari bisogna servire i clienti.»
«Lascia che ti dica cosa vorrei servire alla cliente.»
«Adesso smettila.» Parker, i folti capelli castani raccolti in
una coda, indossava già un completo blu notte in previsione
dell’incontro con i clienti. «Ascolta, ho già compilato una lista
con le sue scelte, il numero degli invitati, i suoi colori, le selezioni
floreali. Non dovrai neanche parlarle. Farò io da intermediario.»
«Adesso lascia che ti dica cosa puoi farci con la tua lista.»
«La sposa…»
«La sposa è una testa di cazzo. La sposa è un’idiota, una
stronzetta piagnucolosa che ha fatto ben presente quasi un
anno fa che non avrebbe avuto né il bisogno né il desiderio di
servirsi dei miei particolari servigi. La sposa può baciarmi le
chiappe, che saranno tutto ciò che di mio avvicinerà alla bocca,
perché non mangerà niente preparato da me ora che si è
resa conto della propria stupidità.»
Con addosso pantaloni di cotone e canottiera che usava
per dormire, i capelli ancora spettinati, Laurel si lasciò cadere
su una sedia nell’angolo della colazione.
«Devi calmarti adesso.» Parker si chinò per prendere una
cartellina. Probabilmente gettata a terra da Laurel, pensò Emma.
«Tutto quello che ti serve è qui.» Parker posò la cartellina
sul tavolo. «Ho già assicurato alla sposa che esaudiremo le
sue richieste, quindi…»
«Quindi disegnerai e preparerai una torta di nozze di quattro
strati tra adesso e sabato, e una torta dello sposo, e una selezione
di dessert. Per duecento persone. E lo farai senza esserti
preparata in precedenza e con tre eventi nel week-end e
un evento serale nel giro di tre giorni.»
Con il viso mutato in un’espressione ribelle, Laurel prese la
cartellina e la fece scivolare deliberatamente sul pavimento.
«Adesso ti stai comportando come una bambina.»
«Bene. Sono una bambina.»
«Ragazze, le vostre amichette sono venute a giocare» cantilenò
la signora Grady, in tono eccessivamente dolce, gli occhi che ridevano.
«Oh, sento la mamma che mi chiama» disse Emma e fece per uscire dalla stanza.
«No, non ci provare!» Laurel scattò in piedi. «Senti questa.
Il matrimonio Folk-Harrigan. Sabato, evento serale. Ricorderai,
ne sono certa, come la sposa abbia storto il naso al solo
pensiero che Delizie di Promesse provvedesse alla torta o a
uno qualsiasi dei dessert. Come ha schernito me e i miei suggerimenti e ha ribadito che sua cugina, chef pasticcere a New York che ha studiato a Parigi e ha disegnato torte per occasioni
importanti
«Ti ricordi cosa mi ha detto?»
«Ah.» Emma si spostò leggermente perché il dito di Laurel
puntava dritto al suo cuore. «Non le parole esatte.»
«Be’, io sì. Ha detto che era sicura – e lo ha detto con quel
tono di scherno – che era sicura che potessi occuparmi discretamente
della maggior parte delle occasioni, ma che lei voleva
il meglio per il proprio matrimonio. Me lo ha detto in faccia.»
«Scortese da parte sua, senza dubbio» cominciò Parker.
«Non ho finito» disse Laurel a denti stretti. «Ora, all’ultimo
momento, sembra che la geniale cugina sia scappata con
uno dei propri clienti. Scandalo, scandalo, visto che il suddetto
cliente le aveva commissionato la torta per il suo fidanzamento.
Adesso questi due sono spariti e la sposa vuole che
subentri io e salvi il suo grande giorno.»
«Il che è quello che faremo. Laurel…»
«Non lo sto chiedendo a te.» Le dita puntate su Parker si spostarono
a indicare Mac ed Emma. «Lo sto chiedendo a loro.»
«Che? Hai detto qualcosa?» Mac offrì un sorriso tutto denti.
«Scusa, dev’essermi rimasta dell’acqua nelle orecchie dopo la doccia. Non ho sentito una parola.»
«Vigliacca. Em?»
«Colazione!» La signora Grady girò un dito per aria. «Tutte a tavola. Omelette di chiare d’uovo su pane di segale tostato. Sedete, su. Mangiate.»
«Non mangerò finché…»
«Sediamoci.» Interrompendo l’ennesima filippica di Laurel,
Emma cercò un tono conciliante. «Dammi un minuto per pensare. Sediamoci tutte quante e… oh, signora G, sembra favoloso.» Afferrò due piatti, usandoli come scudi si diresse di
corsa verso l’angolo della colazione. «Ricordiamoci che siamo una squadra» esordì.
«Non sei tu quella insultata e sommersa di lavoro.»
«In realtà, sì. O almeno lo sono stata. Whitney Folk è il primo
esemplare certificato di Spozilla della storia. Potrei riferirvi
gli incubi personali che ho avuto con lei. Ma questa è una storia per un altro giorno.»
«Ne ho qualcuna anch’io» si inserì Mac.
«Così hai riacquistato l’udito» borbottò Laurel.
«È scortese, pretenziosa, viziata, difficile e sgradevole»
continuò Emma. «Di solito quando pianifichiamo un evento,
persino con i problemi che possono insorgere e le comuni
stranezze di certe coppie, mi piace pensare che li stiamo aiutando
a delineare un giorno che darà inizio al loro ‘per sempre
felici e contenti’. Con questa qui? Mi sorprenderei se durasse
due anni. È stata scortese con te, e non credo si trattasse
di scherno, ma di compiacimento. Non mi piace.»
Ovviamente inorgoglita dal sostegno ricevuto, Laurel mostrò
la propria soddisfazione a Parker, poi cominciò a mangiare.
«Detto questo, siamo una squadra. E i clienti, anche le stronzette
compiaciute, devono essere serviti. Questi sono buoni
motivi per farlo» disse Emma mentre Laurel le metteva il broncio.
«Ma ce n’è uno più importante. Farai vedere a quel suo culo
piatto, secco, scortese e compiaciuto cosa può fare uno chef
pasticcere davvero geniale, e per di più sotto pressione.»
«Questa l’ha già usata Parker.»
«Oh.» Emma tagliò una fettina sottile della propria omelette.
«Be’, è la verità.»
«Potrei cuocermi al forno anche quella mangiauomini di sua cugina.»
«Senza dubbio. Personalmente, credo che dovrebbe strisciare, almeno un po’.»
«Se strisciasse mi andrebbe bene» considerò Laurel. «E anche se implorasse.»
«Dovrei essere in grado di fornire un po’di entrambe le cose.» Parker sollevò il proprio caffè. «Inoltre l’ho informata che per soddisfarla con così poco preavviso dovremmo applicare
una penale. Le ho aggiunto il venticinque percento. Ha accettato
come se si trattasse di un’ancora di salvezza, e in realtà ha pianto di gratitudine.»
Una nuova luce balenò negli occhi viola di Laurel. «Ha pianto?»
Parker piegò il capo e alzò un sopracciglio rivolta a Laurel.
«Allora?»
«Anche se la storia del pianto mi scalda il cuore, dovrà comunque
accettare quello che le darò e farselo piacere.»
«Assolutamente.»
«Devi solo informarmi di cosa decidi o quando lo decidi»
le disse Emma. «Preparerò i fiori e le decorazioni per la tavola.»
Diede un’occhiata comprensiva a Parker. «Ache ora ti ha chiamato per dirti tutto questo?»
«Stanotte alle tre e venti.»

Laurel diede un buffetto sulla mano di Parker. «Scusami.»
«Questa è la parte di lavoro che spetta a me. Ce la faremo. Ce la facciamo sempre.»
Ce la facevano sempre, pensò Emma mentre cambiava
l’acqua ai fiori nel soggiorno. Era certa che sarebbe sempre
stato così. Diede uno sguardo alla foto che conservava in una
semplice cornice bianca, e che ritraeva tre bambine che giocavano
a ‘Matrimonio’ in un giardino d’estate. Quel giorno aveva fatto la sposa e aveva tenuto il bouquet di erbacce e fiori selvatici, aveva indossato il velo di pizzo. Ed era stata incantata
e deliziata quanto le amiche quando la farfalla blu si
era posata sul dente di leone del suo bouquet.
Anche Mac era lì, naturalmente. Dietro la macchina fotografica,
a immortalare quel momento. Considerava un miracolo
non da poco che avessero trasformato il fantasioso gioco
della loro infanzia in una florida società.
Niente più denti di leone adesso, pensò mentre sprimacciava
i cuscini. Ma quante volte aveva visto lo stesso sguardo
deliziato e incantato sul viso di una sposa quando le offriva
un bouquet studiato appositamente per lei. Solo per lei.
Sperò che l’incontro che stava per iniziare alla fine si risolvesse
la primavera successiva con lo stesso sguardo incantato
sul volto della sposa.
Sistemò le sue cartelline, i suoi album, i suoi libri, poi si diresse
allo specchio per controllare capelli, trucco e la linea del
completo pantalone che aveva indossato.
La presentazione, pensò, è una priorità per Promesse.
Si allontanò dallo specchio per rispondere al telefono:
«Bouquet di Promesse. Sì, ciao, Roseanne, certo che mi ricordo
di te. Matrimonio in ottobre, giusto? No, non è troppo presto per prendere queste decisioni.»
Mentre parlava, Emma prese l’agenda dalla scrivania e la
aprì. «Possiamo organizzare una consulenza la prossima settimana,
se per te va bene. Puoi portare una foto del vestito?
Grandioso. E hai già scelto gli abiti per le damigelle, o i loro colori?
Mmh-mmh. Ti aiuterò io per ogni cosa. Che ne dici di lunedì alle due?»
Segnò l’appuntamento, poi guardò sopra la propria spalla quando sentì l’auto avvicinarsi.
Una cliente al telefono, un’altra alla porta.
Quanto amava la primavera!
Emma mostrò all’ultima cliente della giornata l’area di
esposizione in cui teneva composizioni con la seta e bouquet,
insieme ad altri modelli sui tavoli e sugli scaffali.
«Questo l’ho preparato quando mi hai mandato l’email
con la foto del tuo abito e l’idea base dei tuoi colori e fiori preferiti.
So che mi avevi detto che preferivi un grande bouquet a cascata, ma…»
Emma prese dallo scaffale il bouquet di rose e lilium legato con un nastro di seta bianco tempestato di perle. «Volevo soltanto che vedessi questo prima di prendere una decisione
definitiva.»
«È bellissimo, e in più sono i miei fiori preferiti. Ma non sembra, non so, grande abbastanza.»
«Con la foggia del tuo vestito, la linea della gonna e la
splendida decorazione di perline del corpetto, il bouquet più
contemporaneo potrebbe stridere un po’. Voglio che tu abbia
esattamente ciò che desideri, Miranda. Questo modello è più
vicino a quello che avevi in mente.»
Emma prese un bouquet a cascata dallo scaffale.
«Oh, è come un giardino!»
«Sì, è vero. Lascia che ti mostri un paio di foto.» Aprì il raccoglitore
sul bancone, ne tirò fuori due.
«È il mio vestito! Con i due bouquet.»
«La mia socia, Mac, fa magie con Photoshop. Queste ti
danno un’idea piuttosto precisa di come ogni stile risulti con
il tuo abito. Non c’è una scelta sbagliata. È il tuo giorno, e ogni
dettaglio deve essere esattamente come desideri.»
«Però hai ragione tu, vero?» Miranda studiò entrambe le
foto. «Quello grande in un certo senso, be’, mette in ombra il
vestito. Ma l’altro, sembra proprio fatto apposta. È raffinato,
ma pur sempre romantico. È romantico, no?»
«Direi di sì. I lilium, con quel tocco di rosa, contrastano con
le rose bianche e il pizzico di verde chiaro. La trama del nastro
bianco, il bagliore delle perle. Ho pensato, se la cosa ti piace,
che potremmo usare solo i lilium per le tue damigelle, forse
con il nastro rosa.»
«Credo…» Miranda portò il modello di bouquet davanti allo
specchio orientabile vecchio stile posizionato nell’angolo
della stanza. Il sorriso le sbocciò come un fiore sul viso mentre
studiava la propria immagine. «Credo che sembri fatto da
una fata davvero molto creativa. E lo adoro.»
Emma ne prese nota sul suo taccuino. «Ne sono lieta. Lavoreremo a partire dai bouquet. Metterò dei vasi trasparenti sul tavolo principale, così i bouquet non solo resteranno freschi,
ma serviranno anche come elemento decorativo durante
il ricevimento. Ora, per il lancio del bouquet stavo pensando
alle sole rose bianche, in formato più piccolo di questo.»
Emma prese un altro modello. «Legate con nastri bianchi e rosa.»
«Sarebbe perfetto. Si sta rivelando tutto più semplice di
quanto pensassi.»
Compiaciuta, Emma prese un altro appunto. «I fiori sono
importanti, ma devono anche essere divertenti. Non ci sono
scelte sbagliate, ricordalo. Da tutto quello che mi hai detto, vedo
‘romantico moderno’come stile del matrimonio.»
«Sì, è esattamente quello che cerco.»
«La tua nipotina, la prima damigella, ha cinque anni, giusto?»
«Li ha compiuti proprio il mese scorso. È davvero eccitata
al pensiero di spargere i petali di rosa lungo la navata.»
«Ci scommetto.» Emma cancellò dalla propria lista mentale
l’idea di un pomander. «Potremmo usare questo cesto stilizzato,
rivestito di satin bianco, decorato con roselline, circondato
anch’esso di nastri rosa e bianchi. Potremmo farle
un’aureola, sempre di roselline bianche e rosa. Dipende dal
vestitino, e da quello che ti piace, possiamo mantenerlo sul
semplice oppure potremmo far scendere dei nastri lungo la schiena.»
«I nastri, assolutamente. È proprio civettuola. Sarà elettrizzata
all’idea.» Miranda prese l’aureola che Emma le stava porgendo.
«Oh, Emma. Sembra una coroncina! Da principessa.»
«Esattamente.» Quando Miranda la sollevò per metterla
sulla propria testa, Emma rise. «Una bambina di cinque anni
sarà in estasi. E tu sarai per sempre la sua zia preferita.»
«Sarà un amore. Sì, sì, a tutto. Cesto, aureola, nastri, rose, colori.»
«Grandioso. Mi stai rendendo facile il lavoro. Ora pensiamo alle madri e alle nonne. Potremmo fare dei corsage, al polso o appuntati su una spalla, usando rose o lilium o entrambi. Ma…»
Sorridendo, Miranda posò di nuovo l’aureola. «Ogni volta
che dici ‘ma’si tratta di un’idea fantastica. Quindi, ma?»
«Pensavo che potremmo rispolverare il classico tussymussy.»
«Non ho idea di cosa sia.»
«È un piccolo bouquet, come questo, inserito in un piccolo
contenitore per mantenere i fiori freschi. Potremmo sistemare
dei sostegni ai loro tavoli, sempre a scopo decorativo,
solo un po’ più degli altri. Potremmo usare lilium e rose, in
miniatura, ma forse invertendo i colori. Rose rosa, lilium
bianchi, il solito tocco verde chiaro. Oppure, se non si accompagnano
ai loro vestiti, tutto bianco. Piccoli, non troppo delicati.
Io userei qualcosa come questo in argento, niente di troppo
elaborato. Poi potremmo farli incidere con la data delle
nozze, o i vostri nomi, i loro nomi.»
«È come se avessero i loro bouquet. Come se fossero una
miniatura del mio. Mia madre…»
Quando gli occhi di Miranda si inumidirono, Emma si
sporse per prendere la scatola di fazzolettini che teneva a portata
di mano.
«Grazie. Li voglio. Devo pensare ai monogrammi. Mi piacerebbe
discuterne con Brian.»
«Abbiamo tutto il tempo.»
«Ma li voglio. Il contrario del mio, credo, perché così sono
più personali. Resterò seduta qui per un minuto.»
Emma andò a sedersi con lei, mise i fazzoletti in un punto
accessibile per Miranda. «Sarà bellissimo.»
«Lo so. Lo vedo. Riesco già a vederlo, e non abbiamo ancora
cominciato con le decorazioni e i centrotavola e, oh, tutto
il resto. Ma riesco a vederlo. Devo dirti una cosa.»
«Certamente.»
«Mia sorella, la mia… damigella d’onore? Mi ha davvero
fatto pressione perché ci affidassimo a Felfoot. È sempre stato
il
«È favoloso, e fanno sempre un ottimo lavoro.»
«Ma Brian e io ci siamo innamorati di questo posto. L’aspetto,
l’atmosfera, il modo in cui voi quattro lavorate insieme. Ci
è sembrato adatto a noi. Ogni volta che vengo qui, o che incontro
una di voi, so che avevamo ragione. Avremo il più
splendido dei matrimoni. Mi dispiace» disse, asciugandosi di
nuovo gli occhi.
«Non devi.» Emma prese un fazzolettino per sé. «Sono lusingata,
e niente mi rende più felice dell’avere una sposa seduta
qui a piangere lacrime di gioia. Che ne dici di un bicchiere
di champagne per alleggerire un po’ le cose prima di
cominciare con le boutonnière?»
«Davvero? Emmaline, se non fossi innamorata pazza di
Brian, chiederei a te di sposarmi.»
Con una risata, Emma si alzò. «Torno subito.»
Più tardi, Emma salutò l’eccitatissima sposa e, moderatamente
esausta, si sistemò nel proprio ufficio con un bricco di
caffè. Miranda aveva ragione, pensò mentre registrava tutti i
dettagli. Avrebbe avuto il più splendido dei matrimoni. Una
marea di fiori, un’atmosfera contemporanea con tocchi di romanticismo.
Candele e lo splendore, e il luccichio di nastri e
velo. Rosa e bianco con una punta di blu e verde a fare da contrasto.
Argento brillante e vetro trasparente per dare risalto.
Linee lunghe e la stravaganza delle luci.
Mentre preparava un contratto particolareggiato, si congratulò
con sé stessa per la giornata molto produttiva. E poiché
avrebbe trascorso la maggior parte di quella successiva
lavorando ai preparativi del loro evento serale di metà settimana,
considerò l’idea di andare a letto presto.
Avrebbe resistito alla tentazione di andare a vedere cos’aveva cucinato per cena la signora G, si sarebbe preparata un’insalata, magari un po’di pasta. Si sarebbe accoccolata sul
divano con un film o una pila di riviste, avrebbe chiamato sua
madre. Sarebbe riuscita a fare tutto, a trascorrere una serata
rilassante e a essere a letto per le undici.
Mentre correggeva la bozza del contratto, il telefono emise
i due squilli ravvicinati che segnalavano la sua linea personale.
Controllò il display, sorrise.
«Ciao, Sam.»
«Ciao, bellissima. Che ci fai a casa quando dovresti essere
fuori con me?»
«Sto lavorando.»
«Sono le sei passate. Molla tutto, tesoro. Adam e Vicki danno
una festa. Potremmo mangiare qualcosa insieme prima.
Ti passo a prendere tra un’ora.»
«Ehi, calma. Ho detto a Vicki che questa sera proprio non
mi andava bene. Ho avuto una giornata piena oggi, e ne avrò
ancora per un’ora prima di…»
«Dovrai pur mangiare, no? E se hai lavorato tutto il giorno,
meriti un po’di svago. Vieni a divertirti con me.»
«È carino da parte tua, ma…»
«Non farmi andare alla festa da solo. Facciamo un salto lì,
beviamo qualcosa, un paio di risate, ce ne andiamo quando
ci pare. Non spezzarmi il cuore, Emma.»
Gettò uno sguardo al soffitto e vide il suo piano per una serata
di relax andare in fumo. «Non ce la faccio per cena, ma
possiamo vederci lì per le otto.»
«Ti passo a prendere alle otto.»
E poi farai di tutto per entrare quando mi riaccompagnerai
a casa, pensò. E questo non succederà. «Ci vediamo là. Così
se io me ne devo andare e tu vuoi restare a divertirti, puoi
farlo.»
«Se questo è il massimo che riesco a ottenere, ci sto. Ci vediamo là.»
posto a Greenwich, lo sai, ed è bellissimo.»
, si sarebbe occupata di tutti i dolci.

Anteprima: aspettando San Valentino leggi l’estratto di "I love you, goodbye"

ROMA – Cosa si nasconde dietro il sentimento che fa girare il mondo? E’ poi vero che l’amore cambia la vita? A poco più di una settimana da San Valentino, Leggereditore porta in libreria un romanzo delicato, profondo e mai banale: “I Love you, goodbye” di Cynthia Rogerson. Aspettando la recensione di questa ottima idea regalo per il giorno più romantico dell’anno, vi proponiamo un estratto del coinvolgente “I love you, goodbye”.

Settembre

Evanton
È una cittadina nelle Highlands scozzesi che dallo spazio neppure si vede, neanche una macchiolina. Da Fyrish Hill invece sembra un mucchio di detriti in fondo a un crepaccio: case di pietra grigia che si snodano verso l’estuario. Se si entra in città al crepuscolo, si trasforma in una contea. Finestre illuminate da una luce confortevole, e sbuffi di fumo dai camini. Chi non vorrebbe mettere su casa in un luogo simile? Ma appena ci si avvicina un po’ di più, appena ci si accosta a queste finestre, le cose non sono poi così idilliache. Decisamente no. E non solo ogni sentiero caratteristico ha la necessaria infelicità,
ma anche ogni casa. E ogni persona.


Ania
Cos’altro conta, cos’altro è realmente misterioso e degno d’interesse, a parte l’amore? La morte, certo, ma è anch’essa anticipata o ritardata dall’amore. E la morte dell’amore è una
tragedia esclusivamente umana. Dev’esserci un fine evolutivo nel dolore che segue la perdita di un amore. Non so quale sia. Ma la morte dell’amore mi dà da vivere, perciò non posso
lamentarmene troppo. Mi sono immersa negli intimi spasmi d’agonia di cinquecento matrimoni ormai – una bella cifra per una che non ha ancora raggiunto i trent’anni –, ma d’altra parte ho sentito la vocazione molto precocemente, e ho consacrato la mia vita alla resurrezione dell’amore. La consulenza matrimoniale è un’arte. Di più, sono un medico di matrimoni all’ultimo stadio. Mi colloco al pronto soccorso delle relazioni e poi, se ho fallito, al reparto per malati terminali. Soprattutto, sono una filosofa dell’amore. Si saprà, se si è letterati, che tutte le famiglie felici sono simili, mentre quelle infelici lo sono ognuna a proprio modo. Non aggiungo altro. Le persone sono sole, incontrano qualcuno, e si innamorano. Sono migliori, innamorate, perciò è semplice amarle. Quando sono innamorate, le persone sono tutte uguali. In questa fase l’amore è totalmente basato sull’ignoranza e la mancanza di familiarità. Come ha detto W. Somerset Maugham: L’amore è quello che capita a un uomo e a una donna che non si conoscono.’ Per i miei clienti, dal momento in cui li incontro, spesso sposati da un quarto di secolo, è diverso. Non avete idea quanto sia affascinante osservare tutti i giorni il modo in cui gli umani si affannano a trovare sempre nuovi modi per ferirsi a vicenda.
Si conoscono tutte le loro paure circa la solitudine e sognano… una molteplicità di cose che l’amore non ha, finora, concesso. L’amore li ha delusi, com’è normale che sia. Sono nata con questa consapevolezza, il che non mi ha impedito di sposare Ian. L’ho messa a tacere per lui. Ache pro distruggere le sue illusioni? Sarebbe come dire a un bambino di due anni che un giorno certamente morirà. L’amore muore. Certo! Non dovrebbe sorprendere nessuno, ma colpisce comunque mariti e mogli alla stregua di una cannonata. La maggior parte degli individui crede di aver fallito, come se la rottura non fosse inevitabile. Le persone il cui amore dura tutta una vita sono rare. Per noialtri, perfino durante il primo bacio è possibile avvertire il sapore dolceamaro della fine. E a essere onesti, il tormento non ha la stessa squisita intensità della prima vampa di desiderio? Ci sono più poesie e canzoni sul perdere l’amore che sul trovarlo. La sofferenza è di certo preferibile alla lenta agonia della fase intermedia. E quando una relazione si chiude, definitivamente, non c’è più incertezza sul modo in cui andrà a finire. Ci si tormenta, ma in parte ci si sente sollevati, consapevoli che non può più andare, tornando poi a immaginare d’imbattersi in qualcuno che sia migliore.
Se ci fosse un ufficio governativo chiamato dipartimento dell’Amore umano, una grande stanza rosa piena di donne dai grembi soffici e di teneri uomini dagli occhi scuri, questi
verrebbero inondati di reclami e proteste ogni giorno. La gente intenterebbe causa all’Amore per danni inimmaginabili. Ma non può, così viene da me. C’è sempre un momento, dopo che suonano alla porta, in cui chiudo gli occhi e prego: Permettimi di aiutare questi cuori afflitti, domando a nessuno in particolare – l’atmosfera in movimento rotatorio oltre le stelle, l’aria nella stanza, e gli atomi del mio stesso corpo. Mi calma, chiedere aiuto. Poi apro la porta e li faccio entrare. Aproposito. È il campanello. Aiutami Rose. Ecco come parlo a mio marito: «Su, vestiti! Siamo in ritardo per l’appuntamento con la consulente matrimoniale. La camicia blu è stirata. Non lì, nell’armadio! Uffa. E devi comprarti le scarpe nuove, guarda qui le suole! Lunedì si va da Clarcks, c’è una svendita.»
Come se avesse sei anni. Non riesco a ricordare quando è cominciata quest’arrogante impazienza, questo autoritarismo, ma l’impulso è potente e ora non riesco a smettere, anche se credo che mi suiciderei se dovessi rivolgermi così a me stessa. «Pensavo mi avessi detto che non c’era disponibilità» fa Harry scontroso, come un bambino di sei anni che vuole rendersi indipendente dalla madre.

«Gesù, non ascolti mai? Te l’ho detto. C’è stata una disdetta. Abbiamo appuntamento con Ania alle sei.»
«Ania?»
«Sì, Ania.»
«Mi piace come suona. Straniero, ma ha qualcosa di rassicurante
e positivo. Di classe. Polacco?»
«Come faccio a saperlo? Sta’zitto e vèstiti.»

Non sono orribile?
Mi detesto.
«Un appuntamento con Ania. Sì! Che mi metto?
La camicia blu con quei nuovi jeans neri? Non sono troppo banali, no?»
«Nulla che non sia già la tua biancheria. Gesù, devi essere l’ultimo uomo di tutto il Regno Unito che indossa ancora quelle mutande. È sorprendente come fai ancora a comprarle.»
«Quindi non le trovi sexy? Certo, questo paio è sformato e ingrigito, ma posso metterne un paio nuovo.»
«Giusto, come se facesse differenza. Come se ci fosse qualcosa che possa fare differenza.»
«Se tu avessi indossato un perizoma carino di tanto in tanto, questo avrebbe potuto fare differenza» dice mio marito.
Pausa, mentre corrucciata strattono la spazzola sui capelli.
Stasera sono più brutta e vecchia del solito. Ecco l’effetto che mi fa mio marito. Mi imbruttisce. Una porta si chiude giù all’ingresso, e all’improvviso mi ricordo di essere anche una madre terribile, oltre che una terribile moglie. Entra in silenzio.
«Sam! Sam, tesoro, c’è qualcosa per cena nel forno, l’ho lasciato alla temperatura minima. Ricordati di spegnerlo dopo, va bene?»
«Dove andate?»
«Usciamo giusto per un drink veloce con gli amici. Non staremo fuori a lungo, promesso. Ti dispiace? Farai il bravo, vero? Lascio il telefono acceso.»
«Sì, certo che farò il bravo. State pure fuori tutta la notte se volete.»
«Sam, non fare così. Torna qui e dammi un bacio. Sam!»
Ma è andato nella sua stanza, e lì in piedi c’è mio marito, in mutande, con la sua pancia prominente dai peli bianchi, che dice: «E mi piace proprio questo nome. Ania.»
Così saliamo in macchina e partiamo. Vedo coppie ovunque, e nessuna di loro ha l’aria di essere diretta a una seduta di terapia matrimoniale. Sembrano tutti normali. Si tengono per mano, ridono. Scommetto che hanno delle canzoni che sono le loro canzoni. Noi non abbiamo mai avuto una canzone. Non so perché, ma abbiamo tralasciato questo passaggio. Mi chiedo se i matrimoni rispettino tutti lo stesso copione, e se non sia troppo tardi ora per procurarsi una canzone. Con ogni probabilità lo è. È una serata meravigliosa, ma l’incanto in me è inaridito. Anche questo mi irrita, questa incapacità di godermi la bellezza della sera.
«Ferma la macchina, l’ho visto. Ma aspetta, sarà questo? Sulla porta dice quarantasette, dev’essere questo. Ma sembra una casa.»
«Certo. Di sicuro cercano di non attirare l’attenzione» dice il mio sensibile Harry, che ha passato la vita a tentare di rifuggire le attenzioni. Mi sento strana a uscire dall’auto con Harry; che mi induce alla pazzia, all’infedeltà e alla bruttezza, ma che è il mio familiare
Harry. Attiro la sua attenzione e una risatina comincia a salirmi dalla pancia – c’è intimità nel nostro inferno privato. Comprende molte emozioni sgradevoli, ma non disagio. Tuttavia
è presente un impeto di ostilità: la rabbia consueta, una megera di cui sbarazzarsi, anche quando non effettivamente presente. È come se la sua ombra aleggiasse anche quando priva di consistenza.
«Suona il campanello. Su!» sbraito, visto che ha raggiunto la porta per primo.
Nessun rumore, ma c’è una luce all’ultimo piano.
«Stai arrossendo» mi fa notare.
«Sono imbarazzata. È la reazione appropriata alla situazione.
Saresti imbarazzato anche tu se fossi normale.»
«Sì, come se un uomo normale avrebbe sposato te.»
«Vaffanculo» rispondo automaticamente. «E ascolta, non parleremo ad Ania della nostra vita sessuale, d’accordo? Niente a proposito del sesso. So com’è… questa razza di terapeuti. Si
nutre dei dettagli della vita intima degli sconosciuti. Niente sesso» sibilo.
«Okay, nessun problema. Niente sesso.»
«Mai.»
«Niente sesso, mai? Quello che speri.»
E poi la porta si apre. Il mio cuore sta scalpitando, neanche si trattasse di un appuntamento vero e proprio. Rido in modo inopportuno, come se mi stessi innamorando.
«Buonasera» dice una giovane donna senza rughe. Ultimamente sono affascinata dalla pelle liscia. I suoi occhi brillano, come se ci conoscesse e fosse lieta di vederci.
«Voi dovete essere Rose e Harry. Sono Ania, prego.»
Anche Harry sembra innamorato, è diventato tutto rosso ed è ammutolito.
Poi, nel suo modo inappropriato rivela: «Ha un nome insolito, Ania.»
Lei si gira e risponde: «Sì, mio padre è polacco.»
Harry la fissa – è molto carina. In un modo languido.
«Ania è un nome polacco. Be’, in realtà è una variante di Anka, un altro nome polacco» dice molto lentamente, come se avesse già intuito quanto sia tardo Harry. «Che è il mio vero nome.»
«Polacca!» fa lui, come se essere polacchi corrispondesse a venire da Marte.
«Sì, ma ho sempre vissuto a Evanton. E anche mio marito è di Evanton» dice quasi per difendersi.
«Anche noi viviamo a Evanton! Ci siamo trasferiti da Leith.»
«Perciò siamo vicini» ribatte lei freddamente.
«E in che zona vivete?»
Per un attimo Ania s’irrigidisce; probabilmente esiste una prassi secondo la quale si usano nomi falsi e non si danno i propri contatti, nel caso in cui qualche coniuge separato e squilibrato tenti di vendicarsi.
«Harry, non essere così ficcanaso. Scusa, Ania.»
Lei esita, poi scuote la testa una volta, in modo misurato e preciso. Una donna riservata e disciplinata. Mi detesterà.
«Non lontano da voi.»
«Formidabile! E non ci siamo mai visti! Davvero incredibile.»
«Che coincidenza sorprendente!» dico.
Non riusciamo a smettere; siamo in competizione per chi di noi due è più espansivo. Sento che il disgusto verso me stessa sta per assalirmi, come nelle feste in cui all’improvviso avverto la mia risata fragorosa e mi accorgo che sto versando il mio quarto bicchiere di vino sul pavimento, mentre ballo musica che detesto, tipo gli Abba.
«Probabilmente ci siamo incontrati molte volte» dice Ania in modo gentile, per niente simile alla mia replica stizzita. «Per forza, Evanton è talmente piccola. Ci saremo visti senza farci
caso.»
Lo dice con una certa convinzione pacata e una specie di inquietante indifferenza professionale; noi rimaniamo in silenzio, e seguiamo questa bella visione per due rampe di scale. Superiamo porte di studi chiusi e acquerelli astratti fino a una mansarda dipinta di albicocca. Tre magnifiche soffici poltrone una di fronte all’altra. Nessun mobile per più di una persona. Scelgo per prima dove sedermi, come si trattasse di una gara. Erano anni che non mi sentivo così nervosa e che non mi divertivo tanto con mio marito. Da quella volta in cui pensavo che la sua segretaria avesse una cotta per lui.
«Ora mettetevi comodi» dice Ania. La sua voce è calda, profonda e tranquilla. Nessun accento, ma c’è qualcosa di non proprio scozzese. O forse il suo nome mi ha condizionato.
«Santo cielo, è delizioso. Comoda questa poltrona! E il colore delle pareti è magnifico!» Continuo a essere troppo entusiasta. Non riesco a evitarlo. Voglio piacere ad Ania. Voglio che
stia dalla mia parte.
«Grazie. Mi piace che le persone qui si sentano a casa. Dunque, abbiamo un’ora, ci mettiamo al lavoro?»
«Certo» replica mio marito con un tono insolitamente energico.
«Bene. Sono dell’opinione che sia necessario andare dritti al cuore della faccenda, perciò se vi va di dirmi quale pensate sia il problema, possiamo iniziare a definirlo. Quale vi sembra la
questione principale? Inizi lei, Harry. Cosa la rende maggiormente
infelice del suo matrimonio?»
«La nostra vita sessuale» risponde Harry.

Essendo la felicità pittoresca una cosa effimera, gli abitanti di
Evanton non vi ambiscono. In ogni caso, sono troppo occupati per
notarne l’assenza. Dategli un’occhiata – eccoli, vivere le loro vite tra
tutti gli altri abitanti del mondo. E a Inverness, che si trova a due
estuari di distanza da Evanton, c’è Ania, la consulente matrimoniale,
seduta nel suo ufficio color albicocca all’ultimo piano dell’edificio.
Sembra proprio un sacerdote che attende nel confessionale buio.