“Il compleanno dell’Infanta”, Oscar Wilde e la sua favola

wilde compleanno infantaGiulia Siena
PARMA
– Il posto delle favole è un posto silenzioso e segreto. Un posto di cui la realtà è curiosa e lontana. Il posto delle favole è altrove: fuori dal tempo, lontano dalle logiche e dalle risposte. In questo tempo, lontano e misterioso, Oscar Wilde ambientò uno dei suoi componimenti più belli e poco conosciuti, Il compleanno dell’Infanta (Einaudi Ragazzi, 2003).

 

Il giorno del dodicesimo compleanno dell’infanta di Spagna è tutto un gran agitarsi: la festa, a corte, è una delle più belle di sempre nonostante l’infanta compia gli anni ogni anno, come un qualsiasi bambino povero. Ma si sa, la giovane erede può avere più di chiunque altro, può avere tutto: un vestito splendido, amiche da invitare a palazzo, giocolieri, leccornie e l’affetto di suo padre. Per quel giorno può avere anche la presenza di un povero Nano trovato nelle foreste e portato a corte per allietare la festa. Lui, il Nano buffo, entrato nell’arena barcollando, agitando il suo testone arruffato, scatenò l’ilarità dell’infanta e dei suoi ospiti. Rise anche lui, del tutto inconsapevole del suo aspetto grottesco. Rise e fece ridere danzando per la piccola regina e per la sua corte. Sì divertì, il piccolo Nano, e gioì: la sua gioia fu accentuata da un fiore datogli in dono dalla stessa festeggiata. A quel punto il suo cuore esultò e si riempì d’amore. Capì che la sua danza, il suo dimenarsi, era quasi un gioioso movimento di conquista e quel fiore era la dimostrazione dell’amore dell’infanta per lui. Alla corte di Spagna, però, dove il Nano era solamente un giullare, non c’era spazio per la sensibilità e l’affetto;  avere un cuore, per il Nano, fu un grande difetto.

Dagli 8 anni e per sempre.

 

“In futuro – ordinò – quelli che saranno condotti a palazzo per il mio divertimento non dovranno avere un cuore!”

 

Fiera delle Parole tra musica e letteratura, a Padova dal 7 al 12 ottobre

lafieradelleparolePADOVA – Dal 7 al 12 ottobre 2014 la Fiera delle Parole porta a Padova i protagonisti della canzone italiana ma anche reading e musica classica. Non solo letteratura, filosofia, storia e scienza, ma anche tanta musica. La Fiera delle Parole, dal 7 al 12 ottobre 2014, porterà a Padova i più amati cantautori italiani ma anche tanta musica classica, tra concerti, accompagnamenti musicali e reading.
Imperdibile è la prima delle sei grandi serate della Fiera delle Parole, martedì 7 ottobre 2014, alle 21:00, in Palazzo della Ragione, quando un grande giornalista, Gian Antonio Stella, intervisterà Uto Ughi, violinista di fama mondiale. Sempre in Palazzo della Ragione, sabato 11, alle 21:00, Roberto Vecchioni torna alla vigilia dell’uscita del suo nuovo romanzo “Il mercante di luce”, per condividere nuove storie e vecchi ricordi, tra canzoni, aneddoti e racconti. Ancora un protagonista della musica italiana, domenica 12, alle 17:30 presso l’Auditorium del Centro San Gaetano: Eugenio Finardi si racconterà attraverso le parole e le note di alcune delle sue più belle canzoni. “Dialoghi ribelli”, titolo dell’incontro, riporta alla mente inevitabilmente la canzone che tutti ricordiamo.

Ci saranno tante altre occasioni di incontro tra musica e parole: Michele Serra, accompagnato al violoncello da Paolo Andriotti, propone un reading dal suo fortunato libro “Gli sdraiati”. Corrado Augias, con nuovo e inedito spettacolo, ci condurrà in un favoloso viaggio alla scoperta di Ciaikovskij, con le sue composizioni eseguite da Giuseppe Modugno (evento a pagamento presso l’Auditorium Pollini). Ci saranno poi i concerti di musica classica eseguiti dall’Ensemble Patavino, dal Duo Vivarino, due gruppi tutti al femminile, dall’Ensemble dei Solisti Veneti e da Paolo Andriotti.

Sabato 11, alle 16:00 al Centro San Gaetano, Gualtiero Bertelli, cantastorie veneziano, propone con la sua inseparabile fisarmonica una memoria privata e pubblica che attraversa settant’anni di storia italiana tra musica e politica. I Tremo, duo musicale, proporranno una serie di concerti acustici sui cantautori più celebri della musica italiana e americana, mentre Beppe Giampà con un percorso musico-letterario racconterà la Resistenza usando le parole di Cesare Pavese e Italo Calvino.

Il sassofono di Maurizio Camardi farà risentire le musiche degli anni ‘30 nell’incontro di Elisabetta Montaldo, sabato 11, alle 17:30 presso il Cinema Teatro MPX, e accompagnerà Francesco Piccolo, vincitore dello Strega, che chiuderà la Fiera delle Parole domenica 12, alle 21:00, sempre in Palazzo della Ragione.

Guarda QUI il programma completo della manifestazione 

Una partita a scacchi tra due solitudini.

schachnovelleGiulio Gasperini
AOSTA – Sono in molti a considerare come il capolavoro di Stefan Zweig questa “Novella degli scacchi”. Un romanzo breve (o racconto lungo) edito nel 1941, mentre era esule in Brasile, pochi mesi prima di suicidarsi. E forse tra le righe di questo piccolo gioiello si possono persino individuare le ragione di questo supremo gesto.
Anche chi non sia direttamente appassionato di scacchi non può che rimanere affascinato da questa “novella”, nella quale si incontrano due storie che paiono agli antipodi ma che raccontano entrambe di estremi dolori e di devastazione intime. La storia, ovvero, del campione mondiale di scacchi Czentovič, arrogante, venale, con un’infanzia tormentata e solitaria e quella del dottor B., elegante e colto, costretto a sviluppare un talento per resistere alla tortura di una stanza sempre vuota e sempre sola. Il lungo racconto del dottor B. ci vuole consegnare la memoria di una dolorosissima pagina della storia austriaca. Per un uomo amante della pace come fu Zweig fu una ferita feroce la perdita di indipendenza della sua nazione, la sottomissione senza resistenza sancita dall’anschluss dell’Austria a un’ideologia di intolleranza e di ferocia insensata.
Così, nella novella, il Dottor B. fu costretto a sviluppare la sua abilità nel gioco come antidoto alla pazzia, alla follia che lo assediava in quella camera d’albergo dove veniva tenuto prigioniero, sempre interrogato, mai con chiarezza. Ma il gioco era, per il Dottor B., tutto una teorizzazione, il tentativo immateriale di figurarsi una scacchiera. Fino a quando la sua mente non si scinde in due giocatori diversi, nel difficile tentativo di competere con sé stesso, cercando di evitare i disegni mentali, le tattiche, le pianificazioni delle partite: un tentativo, insomma, di cercarsi un compagno nell’assenza che potesse giocare con l’altro sé. Escamotage narrativo delizioso, per poter arrivare a parlare della scissione dell’io, della difficile convivenza e sinergia tra parti diverse che diversamente compongono l’individualità di ciascuno.
Poi, sulla nave, l’incontro con l’altra devastante solitudine, quella di Czentovič: un diverso, diversissimo modo di considerare l’individualità, granitica, ridotta all’essenziale, mai scissa né nevrotica. Evidentemente, per entrambi (ma soprattutto per il Dottor B.) la partita a scacchi diventa metafora di un riscatto contro la vita, di un’ultima idealmente rivincita contro chi ci costringe a decisione che non ci appartengono, a vivere eventi che non ci spetterebbero. Una pazzia, quella del Dottor B., sempre tenuta a freno, quasi sotto controllo, fino all’esplosione totale, alla deriva umana e sociale.
Stefan Zweig ci consegna un ultimo testamento, prima di uccidersi assieme alla giovanissima moglie, in un doppio suicidio d’amore: “Abbiamo deciso, uniti nell’amore, di non lasciarci mai”. Un pessimismo di base, per Zweig, che aveva animato il suo carattere irrequieto ed errabondo, ma anche la sua particolare attenzione alla scrittura.

“Poesie d’amore per un anno”, Daniele Gennaro e la poesia che non si vergogna

POESIEDamoreperunanno_daniele gennaroGiulia Siena
PARMA – La poesia d’amore vive da sempre una certa inflazione. Poeti, drammaturghi e scrittori, nei secoli, hanno dedicato a questa tematica ogni parola, facendo risultare, con i tempi e i periodi,  questa poesia un po’ troppo smielata, pedante e ripetitiva. C’era poi la Poesia d’amore, quella forte, vigorosa e invincibile – uno degli ultimi esempi è quella di Giovanni Raboni – che come altre manifestazioni di classicità, vivrà nei secoli. Oggi, la poesia d’amore – spogliandola di rime e parole già sentite – forse è morta. Forse. Lo penso quando scettica apro Poesie d’amore per un anno, il libro di Daniele Gennaro pubblicato nella collana Quercus Suber delle Edizioni del Foglio Clandestino. Ma così non è. La poesia contenuta in questo libro non è semplicemente poesia d’amore. Sarebbe riduttivo, infatti, catalogare la poesia di Daniele Gennaro come poesia d’amore. Gennaro parte da una poesia carnale fatta di sensazioni tattili ed emotività coinvolgente (“Semplicemente per dire che resti / in me tutto il giorno / anche quando non sei dentro / allora c’è sempre un oltre che ricalca / il contorno del tuo viso […] oppure “Vorrei abitare le tue mani, i tuoi angolo, / come se fosse sempre possibile entrare / nell’alveo spinoso della tua bellezza. […]) per approdare a una lirica quotidiana che nella sua quotidianità non dimentica il pathos e una forte componente emozionale-descrittiva (“Nel risveglio, corti segmenti del giorno, / nel mattino la nobile fragranza del pane, / il profumo della lana, lo specchio, / la riflessione muta della neve”). Si approda, così, a una poesia nuova, diversa: la poesia qui non ha remore, non si vergogna dei dubbi, del rossore, della mancanza, dell’appartenenza. Qui la poesia è verità, forza e vita, speranza, sogno e realtà (“Tornare a casa è l’estensione d’ali che / ogni libertà trattiene“).
La poesia qui, in Poesia d’amore per un anno vive la sua naturale essenza. Si incontra, poi, con i magnifici volti ritratti da Andrea Stra per completare un viaggio poetico che con sei scritti interpreta sei immagini.

 

La poesia di Daniele Gennaro non è solo poesia d’amore. E noi aspettiamo, curiosi, anche la poesia che verrà; Poesie d’amore per un anno non può già finire qui.

Arriva “Uomini” di Elisa Russo, uno spaccato di vita e musica dagli anni ’80 ai giorni nostri

UOMINI_odoyaGiulia Isaia
ROMA – C’era una Milano da bere e una underground. Lo scenario dal quale prende vita Uomini. I Ritmo Tribale, Edda e la scena musicale milanese è senza dubbio il secondo. La Milano degli anni ’80 – ’90 e la storia di una band fondamentale per il rock italiano sono il fulcro del racconto dell’autrice Elisa Russo, edito dalla Odoya all’interno della collana Odoya Cult Music. Lo scritto, da oggi in tutte le librerie, ha già in calendario una prima presentazione milanese, a Santeria, il prossimo 10 ottobre. Uomini di Elisa Russo è un racconto orale messo nero su bianco, un mix di interviste che vedono in primo piano gli interventi dei componenti Tribali: Andrea Scaglia (voce e chitarra); Andrea Briegel Filipazzi (basso); Fabrizio Rioda (chitarra); Alessandro Marcheschi (batteria); Luca Talia Accardi (tastiere); Stefano Edda Rampoldi (voce); Alessandro Zerilli (primo bassista dei Ritmo).
Un libro apparentemente riservato a una fascia di stretti conoscitori, amatori del genere e dei tempi narrati; in realtà Uomini si lascia leggere anche da fruitori distanti da quegli anni e dalla musica rock e punk, anima pulsante dei centri sociali di Milano a cavallo degli anni Novanta.

“I Ritmo Tribale mi travolsero, mi entrarono dentro in maniera differente – scrive l’autrice nell’introduzione – è difficile da spiegare, ma è una sensazione fisica, proprio come l’innamoramento”. Questa adorazione di Elisa Russo si percepisce dalle interviste che danno forma al racconto insieme ai testi delle canzoni dei Ritmo, anch’essi riportati proprio a voler dare una continuità, un chiarimento, uno stimolo da cui partire per appassionarsi alla loro storia. Le vicende personali dei giovani liceali che erano soliti incontrarsi a Piazza Grandi per dar vita alle loro canzoni (Uomini è una di queste), l’amicizia che li ha legati e li tiene insieme tutt’oggi, rivestono un ruolo di grande importanza all’interno della narrazione. Gli uomini che Elisa ci fa conoscere sono i giovani Tribali, ma anche tutti coloro che hanno gravitato attorno alla scena milanese di quel periodo proseguendo, sulla scia dei Ritmo, la strada del successo. E allora ecco comparire, tra gli altri, gli Afterhours, i Karma, i Casino Royale tutti testimoni della condivisione di un percorso, concretizzatosi nelle sale prove improvvisate a Villa Amantea o al Caf di via Cadore; fino all’esperienza del Jungle Sound, nella prima metà dei Novanta, studio di registrazione che ha visto passare artisti del calibro degli Oasis, Marco Morgan Castaldi, Jovanotti, Enrico Ruggeri, Vasco Rossi. Gli interventi di giornalisti e addetti ai lavori, discografici e tecnici del suono, manager, amici, fans e fidanzate rendono a tutta la storia dei Ritmo l’onore che merita. A toccare le corde dell’emotività contribuisce in maniera dominante la figura di Stefano Edda Rampoldi, straordinaria personalità che nel libro si racconta e si lascia raccontare. Travolgente voce dei Ritmo; artista dalle mille sfaccettature; debole, forse troppo, tanto da finire nel vortice dell’eroina. La caduta di Stefano rappresentò per l’intera band l’inizio della fine, non riconducibile soltanto all’assenza di un leader sul palco, di un frontman senza paragoni, quanto a ciò che per quegli uomini significò il distacco da un amico e l’impossibilità di aiutarlo. Stefano, a distanza di anni ce l’ha fatta e ora ha intrapreso la strada del solista (è in uscita il 28 ottobre il suo terzo lavoro discografico); gli altri, con una composizione rivisitata, hanno dato vita al gruppo NoGuru.

 

Il passato rimane nel cuore, ha segnato le vite dei Tribali e attraverso questa imponente raccolta di testimonianze, promette di toccare anche quelle di chiunque si avvicini alla loro storia.