La Benedizione di una vita ordinaria

BenedizioneGiulio Gasperini
AOSTA – Benedizione, primo volume della Trilogia della pianura di Kent Haruf, che uscirà il 19 marzo 2015 per NN Editore, nuovissima casa editrice nel panorama italiano, è un romanzo di intenso realismo contemporaneo. Un racconto, essenziale e scarno, che fa affacciare il lettore sulla psiche dei protagonisti con un’apparente semplicità ma con uno sguardo penetrante e chirurgico. Benedizione racconta di un uomo, Dad Lewis, e della sua ultima estate, in un’accelerazione inevitabile all’ultimo respiro. In questi ultimi suoi tre mesi Dad Lewis, prevedibilmente, si trova a fare i conti col suo passato, con le questioni irrisolte, con le mancanze e i tentativi di recupero di rapporti, in particolare quello del figlio, fuggito da casa quindicenne per vivere al meglio la propria vita da omosessuale. Più di una volta, Dad Lewis si trova al centro di una sorta di tribunale familiare, coi fantasmi del suo passato che si ritrovano attorno al capezzale, fornendo i capi di imputazione e non arrivando mai né a un’assoluzione né a una condanna.
La sua vita ordinaria è stata la sua benedizione personale, una sorta di suo privato American dream che lo ha risollevato dalla misera condizione familiare di origine, dalla quale ha sempre voluto fuggire. L’aspirazione era aprire un negozio, dove poter dare alle persone quello di cui avevano bisogno. Il commercio era la sua unica religione. Oltre alla famiglia: una famiglia come tante, non perfetta, non assoluta; una famiglia all’interno della quale si commettono errori e recuperarli diventa il compito più arduo e tremendo.
A muoversi tutt’intorno a lui varie figure che rappresentano un exemplum dell’americanità: la donna anziana che vive assieme alla figlia zitella, la nonna con la nipotina rimasta orfana, la figlia senza una relazione stabile e con il doloroso ricordo delle perdita della figlia amatissima, la moglie fedele che sopporta e supporta il marito, il pastore protestante che si scontra con il dominante pensiero di guerra e difesa militare e viene licenziato dalla Chiesa.
La narrazione procede decisa da un verbo a un altro, da un’azione a un’altra. Poco spazio per i pensieri, per le mappature intime e mentali; è l’azione che definisce le persone, che le caratterizza e dà loro valore, in una sorta di nuovo realismo contemporaneo, dove l’autore/narratore si ritira dietro le quinte della narrazione e non si palesa concretamente, se non per inanellare come in una specie di salmo i gesti e i comportamenti di un esercito variegato ma molto ben differenziato di attanti.

Cataratta, o la smemoratezza degli occhi.

CatarattaLuca Vaudagnotto
AOSTA – “Cataratta”, dal greco kataractes, cascata o inferriata, ostruzione che scende dall’alto: così principia lo scritto di John Berger e così ha inizio l’avventura di cui ci narra, ovvero la riscoperta della vista e del vedere.
Berger, scrittore e saggista, ma soprattutto critico d’arte tra i più noti ed influenti, decide di condividere con noi lettori l’esperienza di un’operazione di asportazione della cataratta all’occhio sinistro (2009) e poi destro (2010) in una sorta di “vademecum della visione”, una raccolta di appunti e osservazioni, edita da Gallucci Editore nel 2015 col titolo di Cataratta.
L’autore conduce quasi una ricerca scientifica, corredata da esperimenti di visione e osservazioni empiriche, sulla sua vista e la sua capacità di visione prima e dopo l’asportazione di questo medium che modifica la percezione del mondo: Berger indaga lo spazio, la distanza, la luce che rende possibile la visione, l’oscurità come preludio alla visione, il colore ma anche la natura come categorie primitive del vedere; e alla luce di questa sua nuova capacità di vedere le cose, le rifonda, le riconcepisce attraverso la nitidezza di un nuovo cristallino, trasformandole così in chiavi di lettura del mondo, in un modo per dare senso a ciò che quotidianamente sta e si muove attorno a noi.
Arricchiscono questi appunti di scienziato i disegni di Selçuk Demirel, che illustrano in modo a volte ironico, a volte onirico o inaspettato o ancora malinconico il lavoro di Berger, amplificandone la ricerca e fornendo al lettore infiniti ulteriori spunti di riflessione.
Leggere e guardare questo diario permette al lettore di condividere l’esperienza di “rimozione di una particolare forma di smemoratezza”, quella relativa al vedere, e di guadagnare una vera e propria rinascita visiva: quella che non solo consente ai propri occhi di contemplare il proprio orizzonte, ma che invita ciascuno di noi a “immaginare una moltitudine di orizzonti alternativi”.

Milano: Fa’ la cosa giusta! il consumo critico accoglie libri e autori

falacosagiustaMILANOFa’ la cosa giusta! torna a Milano (Fieramilanocity, padiglioni 2 e 4 Viale Lodovico Scarampo, GATE 8 ex “Porta Scarampo”) dal 13 al 15 marzo. Giunta quest’anno alla sua dodicesima edizione, la fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, organizzata da Terre di Mezzo, ospiterà anche quest’anno presentazioni e incontri con autori di punta del panorama italiano ed europeo, tra cui Paolo Cognetti, Giorgio Fontana, Gianni Biondillo e Bernard Ollivier.

 

Fa’ la cosa giusta!, fin dalla sua prima edizione, ha come obiettivo quello di diffondere sul territorio nazionale le “buone pratiche” di consumo e produzione e di valorizzare le specificità e le eccellenze, in rete e in sinergia con il tessuto istituzionale, associativo e imprenditoriale locale.

In questi anni è infatti cresciuto notevolmente l’interesse per il mondo che si riconosce nella definizione di “Economia Solidale”: un sistema di relazioni economiche e sociali che pone l’uomo e l’ambiente al centro, cercando di coniugare sviluppo con equità, occupazione con solidarietà e risparmio con qualità. Sempre più realtà produttive, infatti, intraprendono un percorso di sostenibilità ambientale e responsabilità sociale e, al contempo, cresce il numero di cittadini consapevoli dell’importanza e della forza che risiede nella loro capacità di partecipazione diretta e nelle loro scelte di acquisto.

 

Guarda QUI il Programma Culturale della manifestazione

“Petite”, una confessione su solitudine e anoressia

2985-Sovra.inddGiulio Gasperini
AOSTA – La storia di Nouk è la storia di una malattia. Ma è anche la storia dell’autrice di “Petite”, edito da Edizioni Piemme Freeway, Geneviève Brisac, che nel testo si cela sotto il nome di Nouk. E, in questo senso, tutto il racconto diventa una confessione disperatamente e spietatamente autobiografica; un tentativo di spiegare sé stessa (e la sua anoressia) agli altri ma anche a sé, perché capirsi è compito paradossalmente difficile e ingrato, estremamente arduo.
Tutto il racconto è leggero, come il volume della protagonista. Si apre subito con una frase perentoria, come fosse un mantra o un salmo, come epitaffio ed epigrafe: “Non avrò mai più fame, mi dissi”. Da lì, da quel volere condotto fino all’estremo (e allo stremo personale), la vita di Nouk cambia. Completamente. Così come cambia la società intorno a lei, la sua famiglia, i suoi rapporti con gli altri, gli orizzonti e le sue diverse prospettive. Sono anni di formazione, sia personale che collettiva, sociale, in una Francia in fermento e in completa rivolta. E anche il corpo di Nouk è in rivolta, contro un desiderio che non vorrebbe assecondare, in uno sforzo di volontà che diventa schiavitù. “Avevo tredici anni e avevo smesso di crescere. Non crescerò più, mi ero detta”. La scrittura, in “Petite” è sempre in sottrazione, scarnificando la frase fino ai componenti basilari, riducendo spesso il trascorrere del tempo a semplici verbi, una scarica di azioni che, da sole, danno una lettura anche psicologica della ragazza. Le remore e il pudore tendono il racconto stesso, lo rendono levigato e cristallino, anche se popolato di ombre che nascondono e celano, che sviano e dissimulano.
Il percorso di Nouk, che ogni tanto dalla terza persona scivola nella prima, chissà quanto intenzionalmente o no, è un percorso di estrema solitudine, di contatti non desiderati né saputi coltivare. Arriva la svolta, ad un certo punto; una svolta che però non è risoluzione né fine termine finale: è semplicemente un leggero cambio di prospettiva. È l’incontro con un libro, “Una giornata di Ivan Denísovič”, e con un passo quasi banale, che descrive una scena persino scontata. Da quel momento qualcosa cambia, in Nouk, nella scrittrice, e comincia un percorso più complesso perché più articolato, teso a salvare almeno le apparenze di una realtà che non era così come si mostrava.
In questo piccolo ma densissimo romanzo di Geneviève Bisac c’è molto: anoressia, silenzio (della famiglia) ma anche impotenza, incredulità, rassegnazione, amore e disamore, cibo e assenza. C’è una malattia, diffusa, che forse non è neanche corretto definirla semplicemente così. La storia di Nouk dimostra come di semplice, in questo campo, non ci sia nulla. In particolare le definizioni che tanto piacciono, perché pare che tutto recintino e concludano.

Paola Rondini e Il salto della rana, racconto visionario

Il salto della rana_FernandelGiulia Siena
PARMA“Come tutti i sognatori, come i bambini lasciati troppo soli, come gli adolescenti tappezzeria alle feste, io amavo la fantascienza, il silenzio ferroso dello spazio, gli sbuffi di decompressione delle astronavi, l’ordine asettico dei moduli lunari, i pianeti desertici abitati da un’umanità bizzarra, più bizzarra di me e della mia famiglia“. Comincia così, con questa descrizione che è quasi un monito, Il salto della rana, il romanzo di Paola Rondini pubblicato da Fernandel.

 

 

Emma è giovane, fantasiosa, libera e lavora giocando con le parole, come fosse una normale abitudine. Questa abitudine, forse, è un dono genetico da parte di sua madre Rita, la viaggiatrice bella ed evanescente che ora si è fermata in una casa di cura e lì parla mettendo le parole in rima. Rita è cambiata ed Emma con lei; è lontano, infatti, il tempo in cui Emma bambina seguiva quella mamma bellissima e distratta, un’anima vagante e silenziosa, irrequieta e fascinosa. Ora sono divise, distanti e lontane; entrambe hanno la propria vita. Quella di Emma, ora, in una mattina presto nel centro di Milano la pone di fronte al civico 16, alle soglie di un portone socchiuso dopo che il rombo di una macchina ha scosso, all’improvviso, una tranquilla giornata di una strada elegante. Immaginazione e intuito si rincorrono, ma Emma non ha tempo per farsi domande, deve pensare a un nuovo viaggio. Dall’agenzia di pubblicità dove lavora, infatti, le hanno comunicato che dovrà partire: destinazione Arizona per cercare un nome, come sempre, legato a una nuova pubblicità. Arriva – o viene catapultata, fate voi –  in un mondo immaginifico fatto di paesaggi preistorici e costruzioni di ultima generazione. Il Cubo, il palazzo meta del viaggio di Emma, non è altro che un luogo di mistero: qui, tra queste pareti di vetro dove tutto è possibile ma nulla è reale, è racchiusa l’occasione della sua vita. Ma mentre Emma vive in questa perfezione quasi cinematografica, le condizioni di Rita peggiorano, il tempo si ferma, inverte e confonde. Il viaggio si arresta, prende una nuova strada.

 

Con Il salto della rana Paola Rondini, alla sua terza esperienza da romanziera, dimostra che la scrittura, in uno stesso libro, può essere evasione, indagine, racconto e confessione. Il salto della rana, infatti, è romanzo visionario, un thriller, un racconto familiare e un diario: un buon mix, certo, ma volevo leggere di più. Forse 142 pagine sono troppo poche per contenere tutto?

 

Un diario e le tante esperienze di vita.

Distruggi questo diarioGiulio Gasperini
AOSTA – Il libro è anche cultura materiale, oggetto che invade e colora spazio, che abbellisce, arreda e affolla le librerie. Questo aspetto è dirompente nel lavoro di Keri Smith, edito in Italia da Corraini Edizioni con il titolo “Distruggi questo diario (dove vuoi)” con il sottotitolo: “Creare è distruggere”.
Il libro è, in effetti, una specie di diario con pagine “interattive”, nelle quali, cioè, non si trovano stampate parole, storie, pensieri dell’autore ma si trovano delle “istruzioni” per poter “utilizzare” il diario nella sua più estrema fisicità. Una serie, cioè, di imperativi per arricchire l’esperienza sensoriale e di vita. “Segna qui i numeri che vedi in giro”, “Strofina un po’ di terra qui”, Spiaccica qualcosa di colorato su questa pagina”, “Mentre aspetti (del cibo, un aereo, un tuo amico), scrivi un elenco di ciò che ved”.
Le pagine, le vere pagine bianche, si devono sporcare, bagnare, bucare, strappare, scrivere e cancellare, per lasciare una traccia, l’esperienza di un’avventura, di un incontro, di una visione. C’è spazio per tutto: per la vegetazione, i fiori, il fango, la neve e la pioggia. Il diario di Keri Smith diventa ricettacolo e recipienti per ogni manifestazione di concreta natura, di traccia sensoriale, di esperienza concreta che si possa fare vivendo la propria vita, come fosse in parte un romanzo, una storia.
“Distruggi questo diario” diventa un diario di bordo, il racconto di una quotidianità che altrimenti cadrebbe dimenticata se non dissimulata. Non è il sacrificio e la brutalizzazione di un libro ma la costruzione anche di una propria identità che parte dal concetto più materiale di letteratura. È un espediente per dare di nuovo valore alla propria esperienza personale, senza dover elemosinare più nulla da quella creata appositamente da altri, e da altri narrata.
“Trova un modo per portare questo libro dappertutto”: è un oggetto che ci dovrebbe seguire, accompagnare in ogni nostro orizzonte, su ogni strada, in ogni cammino che ci troviamo a calpestare ogni giorno, nelle nostre quotidiane migrazioni. Questo diario è una nuova frontiera del libero e della narrativa: una storia che non si ferma nelle pagine, ma che si narra con le prove tangibili della nostra esistenza.

Libri Come 2015: dal 12 al 15 marzo la Festa del Libro e della Lettura all’Auditorium Parco della Musica di Roma

libricome2015ROMA – Dal 12 al 15 marzo 2015 torna a Roma Libri Come, la manifestazione promossa e organizzata dalla Fondazione Musica per Roma e curata da Marino Sinibaldi con la collaborazione di Michele De Mieri e Rosa Polacco.

 
Oltre 100 eventi comporranno il variegato programma della sesta edizione della manifestazione che si svolgerà all’Auditorium Parco della Musica da giovedì 12 a domenica 15 marzo, ma sarà anticipata da un network di altre iniziative lungo l’intera settimana. A inaugurarla il 12 marzo saranno Umberto Eco e Marino Sinibaldi con un intervento del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini. Durante questa sesta edizione il mondo della scuola sarà raccontato sia attraverso le testimonianze dei suoi protagonisti sia attraverso il contributo di scrittori, artisti e altre personalità del mondo della cultura, dell’editoria, dell’informazione e dello spettacolo, spesso impegnati in vere e proprie lezioni. Tra i “maestri” che saliranno in cattedra Stefano Bartezzaghi (enigmistica), Melania Mazucco (arte), Marco Santagata (Dante), Walter Siti (poesia). Appuntamento ormai imperdibile per gli appassionati di libri e lettura, Libri come ospiterà big della letteratura internazionale (James Ellroy, Zadie Smith, Emmanuel Carrère, Daniel Pennac, Luis Sepúlveda, Pierre Lemaitre, Barry Gifford) e maestri della narrativa italiana (Alessandro Baricco, Andrea Camilleri). Il pubblico potrà incontrare i migliori talenti della nuova generazione di fumettisti e vignettisti (Gipi, Zerocalcare) e un lungo elenco di autori che – provenienti da storie, settori ed esperienze diverse – contribuiscono a rendere vibrante e vivace il mondo dell’editoria e della cultura nazionale (Francesco Guccini, Tullio De Mauro). Come ogni anno, un’attenzione particolare sarà rivolta ai lettori più giovani, con un intenso programma di incontri, laboratori e lezioni (con Riccardo Iacona, Valerio Massimo Manfredi, Giuseppe Patota, John Peter Sloan e Pierluigi Vaccaneo) che coinvolgerà gli studenti delle scuole medie e superiori del territorio da lunedì 9 a venerdì 12 marzo. Altri eventi saranno organizzati in un’anteprima mercoledì 11 marzo in alcune biblioteche romane: nella Biblioteca Valle Aurelia ci sarà Nadia Terranova, nella Biblioteca Cornelia Marco Cubeddu, nella Biblioteca Nelson Mandela Enrico Ianniello.
Confermato è anche il programma del Garage, la tradizionale “officina” in cui Libri come raccoglie workshop, mostre, laboratori, che accoglierà numerosi ospiti tra cui scrittori (Paolo Di Paolo, Dacia Maraini, Antonio Pascale), giornalisti (Lirio Abbate, Daria Bignardi, Marco Damilano, Letizia Muratori, Andrea Vianello), disegnatori (Stefano Disegni, Makkox), attori (Tony Laudadio), filosofi (Felice Cimatti).

 

Vedi QUI il programma completo di Libri Come 2015

Un’estetica per i reietti: viaggio nel cinema di Béla Tarr

Armonie contro il giorno. Il cinema di Béla TarrLuca Vaudagnotto
AOSTA – È possibile raccontare il cinema? Di più: si può spiegare con le parole una cinematografia complessa e così profondamente legata all’esperienza visiva come quella di Béla Tarr? Questa è la sfida che decide di affrontare Marco Grosoli nella sua monografia “Armonie contro il giorno. Il cinema di Béla Tarr”, pubblicata per i tipi di Bébert Edizioni nel 2014.
Il lavoro di Grosoli, studioso di cinema e professore associato in Film Studies presso l’Università del Kent (Gran Bretagna), si presenta come un viaggio, completo e dettagliato, attraverso la filmografia del regista ungherese: oltre ai dovuti cenni biografici, all’analisi dettagliata di ogni opera cinematografica, il libro è arricchito da citazioni e aneddoti del cineasta, brani di interviste che conducono il lettore sempre più nel profondo del pensiero e della poetica di Tarr. Fondamentale e di particolare interesse, in questo senso, è l’appendice che correda e arricchisce il lavoro di Grosoli: si tratta di una raccolta di interviste condotte da Michael Guarnieri, noto critico cinematografico, al regista e ad altri prestigiosi artisti che hanno collaborato alla realizzazione dei suoi film, come il compositore Mihály Víg, le cui creazioni musicali fanno da leitmotiv irrinunciabile e inconfondibile, quasi un ostinato ipnotico e ripetitivo, nelle pellicole di Tarr.
La sfida è vinta, possiamo dirlo: chiudiamo il libro e ci immergiamo nelle pellicole densissime di Béla Tarr, fatte di neri impenetrabili, di bianchi rari e rarefatti, di grigi dominanti e pervadenti. Tutto è pesante: le ombre, i tessuti, i capelli dei personaggi, i vapori del cibo che cuoce sulle stufe; perfino i vetri delle finestre, attraverso cui il regista non manca mai di volgere il suo sguardo sul mondo di chi vive ai margini, hanno un peso, una presenza: sono un filtro consistente e non trascurabile, un modo di vedere. In questa estetica, ogni oggetto apparentemente insignificante, ogni piccola azione diventa metafora e simbolo della condizione dell’uomo: è una delle tante e ricche chiavi di lettura che ci fornisce Grosoli: «l’assoluta inseparabilità del suo straordinario formalismo stilistico […] dall’umanesimo elementare ma incontestabile, che insiste sulla dignità e sull’incancellabile valore umano dei reietti e degli outsider».