Miseria e vergogna nel romanzo di Federigo Tozzi

Silvia Notarangelo
ROMA – Un’esistenza travagliata, una visione cupa della vita, un consapevole abbandono all’inevitabilità degli eventi. La produzione del senese Federigo Tozzi, autore discusso e talvolta poco apprezzato, non può prescindere dal suo vissuto personale e da quella particolare esigenza di cogliere una “qualunque parvenza della nostra fuggitiva realtà”.

Tre croci”, il suo secondo romanzo “romano”, è scritto di getto, nel 1919, sulla scia di un triste fatto di cronaca di cui Tozzi viene a conoscenza. Una vicenda amara e dolorosa, l’epilogo di tre vite segnate da una decadenza non solo morale ma anche fisica.
Protagonisti sono tre fratelli senesi gestori di una piccola libreria antiquaria, Giulio, Niccolò ed Enrico. La loro inettitudine, la scarsa dimestichezza con gli affari, nonché il comune vizio della gola, determinano il tracollo finanziario dell’attività.
In soccorso dei tre, non privo di qualche personalissimo interesse, interviene il cavaliere Orazio Nicchioli. Tutto inutile, la situazione è disperata. Le scadenze incombono e Giulio, d’accordo con i fratelli, falsifica la firma del cavaliere nell’illusione di poter almeno guadagnare del tempo.
È l’inizio della fine. Lo scandalo, la rovina, il disonore si abbattono sulla famiglia. Dopo essersi addossato tutte le colpe, Giulio non regge alla vergogna e si toglie la vita, avvertendo dentro di sé “una quantità di cose parassite e malvagie che volevano prendere il sopravvento”. Dopo la sua morte, tra Niccolò ed Enrico le cose non vanno meglio, anzi, le tensioni, mai sopite, esplodono e i due si separano. Costante permane, in entrambi, il vizio per i piaceri della tavola e, a distanza di poco, sarà fatalmente proprio la gotta a determinarne il decesso. A ricomporre l’unità familiare, spezzata dalla miseria e dall’infamia, ci penseranno le nipoti ponendo tre croci identiche sulle tombe dei fratelli.

“Qualche lontano amore”, l’appassionante romanzo di Carla De Bernardi

Alessia Sità
ROMA –Si era accorta presto di non essere sola. Due persone la abitavano lottando furiosamente”.

E’ un vero dissidio interiore quello vissuto da Clara, protagonista di “Qualche lontano amore”, l’appassionante romanzo di Carla De Bernardi edito da Ugo Mursia.
Con straordinaria leggerezza, l’autrice ci conduce in un vortice di emozioni che investono e travolgono impetuosamente tutti i protagonisti. Clara è una donna di quarant’anni con due matrimoni alle spalle e due figli ormai diventati grandi. Sin dalla sua infanzia ha sempre agito per non deludere gli altri, ma dopo aver conosciuto un uomo sposato, Juan, che le ha fatto scoprire l’amore – quello che fa gioire e soffrire crudelmente allo stesso tempo – Clara giunge finalmente alla piena consapevolezza che la sua vita non può “più essere una continua richiesta di approvazione”.
Durante una vacanza in Costa Azzurra, la donna si ritrova a fare un bilancio della propria esistenza e a ricostruire, attraverso numerosi flashback, quest’amore esploso improvvisamente durante un’estate rovente. Fra un ricordo e l’altro, Clara rivive la sua turbolenta e irrequieta vita: dalle amicizie ai primi amori adolescenziali; dalle prime esperienze sessuali a quelle da donna adulta e matura; dalla vita matrimoniale a quella furtiva vissuta da amante. Fra ricordi, canzoni, volti e scenari mozzafiato, pagina dopo pagina, Clara mette a nudo la propria anima, sondando anche i meandri più oscuri che la abitano. “Qualche lontano amore” è un vero viaggio interiore intrapreso non solo dalla protagonista, ma anche dal lettore, che soffre e ama disperatamente insieme a Clara.
Con grande capacità introspettiva, Carla De Bernardi ci regala un vero romanzo di formazione, dove a compiere un processo di crescita e consapevolezza è una donna coraggiosa, che non teme di vivere pienamente i propri sentimenti, di qualsiasi natura essi siano.

 

ChrL intervista Roberto Riccardi, autore de “La foto sulla spiaggia”

ROMA – Quando leggi un libro ti chiedi spesso – quasi sempre – come quel libro sia nato, a quali storie si sia ispirato, se sia stato frutto di immaginazione, studio o coincidenze. Molte volte, leggendo un buon libro, il lettore diventa curioso: vuole (pretende quasi) conoscere lo scrittore, capire come sia arrivato a dare vita a un romanzo. Con “La foto sulla spiaggia” le domande, per il lettore, si moltiplicano; perché dietro al libro pubblicato da Giuntina c’è un uomo che è scrittore, giornalista e colonnello dei Carabinieri. Allora la curiosità aumenta: perché Roberto Riccardi sceglie la foto di una bambina ebrea per costruire un grande romanzo storico? Io, da lettrice-giornalista curiosa, ho voluto intervistarlo.

Dopo “Sono stato un numero. Alberto Sed racconta” Roberto Riccardi torna sulla tematica della Shoah; come mai questa scelta?
I motivi sono tanti. Il primo è che, dopo aver conosciuto Sed, la Shoah è diventata una parte importante di me. Conoscere un ex deportato fa una bella differenza rispetto allo studio della Storia: ti cambia la vita. A me è successo, almeno. Da allora leggo tutto ciò che riguarda i lager, guardo i film, seguo i dibattiti, approfondisco. Dunque per me è stato naturale tornare sull’argomento e ho scelto di farlo con la narrativa. In una vicenda di fantasia possiamo mettere più facilmente noi stessi, era ciò che volevo fare.

Lei ha dichiarato che “il libro “La foto sulla spiaggia” è un cerchio che si chiude”. Ci spiega il perché?
Perché, quando volevo scrivere il mio primo libro, cioè la biografia di Sed, mi sono rivolto alla casa editrice Giuntina, specializzata sul tema, e ho conosciuto Daniel Vogelmann, il fondatore e direttore editoriale. Lui mi ha raccontato della sua sorellina mancata, Sissel, morta ad Auschwitz a otto anni. Il romanzo è dedicato a lei, parla della vita che Sissel poteva vivere ma le è stata negata.
“A cosa era servito percorrere tanta strada per andare a morire in un lager infame?” Secondo Lei, a settant’anni di distanza, ci si pone ancora questa domanda oppure ora si comincia a dimenticare?
Dimenticare Auschwitz è impossibile, per chi ha avuto la disgrazia di entrarci. Ognuno di loro ha ferite che non si possono rimarginare. Il 27 gennaio si celebra il Giorno della Memoria per ricordare quando, nel 1945, i cancelli del lager furono aperti e i pochi prigionieri rimasti, fra cui Primo Levi, tornarono liberi. Purtroppo quell’evento non ha potuto rendere la libertà alle coscienze, ai cuori, alle menti dei sopravvissuti. La stessa tragica fine di Levi, quarantadue anni dopo quel giorno, lo dimostra.
Il romanzo procede seguendo due storie parallele e da più punti di vista. Quanto conta l’intreccio narrativo in un libro?
Conta tanto, senza quello non c’è il libro, se l’intreccio non funziona il lettore va via a pagina 20. Utilizzare più punti di vista, più livelli di narrazione, è una tecnica molto diffusa nella letteratura contemporanea. Deriva dalla forte contaminazione fra le storie e le loro trasposizioni sullo schermo, tipica del nostro tempo. Mi sembra che questo funzioni, che piaccia.
Da scrittore quali sono le 3 parole che preferisce?
Il sogno di chi scrive (definirmi scrittore mi sembra eccessivo) è raggiungere la “magia delle parole”: quella che permette, con gli stessi vocaboli che tutti usiamo ogni giorno, di creare qualcosa che vada più lontano. Il valore aggiunto dell’arte. Così, tutte le parole sono importanti. Ma se devo scegliere, le mie tre sono: vita, amore, destino.

“La foto sulla spiaggia” e l’immortalità della Storia

Giulia Siena
ROMA
“Sara adesso era lì. Tutta la sua vita era lì, davanti a una porta chiusa. Sulle labbra una preghiera, nel cuore l’ansia e la speranza, due pulsioni che spesso si accompagnavano. Aspettando che qualcuno le aprisse, ogni istante divenne per lei interminabile”.


Parte da lontano Roberto Riccardi per raccontare “La foto sulla spiaggia”, il suo ultimo romanzo pubblicato da Giuntina. Parte da una foto, quella Sissel Vogelmann, scattata su una spiaggia molti anni prima. Dallo sguardo della bambina di otto anni che il 30 gennaio 1944 partì dalla stazione di Milano per arrivare ad Auschwitz, prende spunto questo nuovo e avvincente romanzo. Riccardi comincia il suo racconto su due binari paralleli e distanti: Bari e Auschwitz, due mondi e momenti diversi. Bari, anni Cinquanta: qui si incontrano e crescono insieme Alba e Nicola tra la voglia di ricominciare e la quiete del mare. Nonostante siano così diversi, i due giovani si sentono vicini, uniti da un legame che è amicizia e complicità. Alba è una ragazza di ottima famiglia e il suo affetto per Nicola, il nipote della “serva”, è strano, quasi impossibile agli occhi dei suoi amici. Ma Alba sta cambiando, tutto quello che la circonda sembra che non le appartenga, una vitauna alternativa alla sua vera vita. Simone è ad Auschwitz, aspettando di sapere quando morirà. Simone vorrebbe rivedere sua moglie e la loro piccola Sara. Il pensiero di aver perso la sua bambina rende le giornate in quell’inferno uno strazio costante.

Ma perché Alba e Simone, due voci lontane anche negli anni? Le loro storie parallele e concomitanti forse, tra le pagine, dovranno incontrarsi.

Roberto Riccardi costruisce un romanzo delicato, coinvolgente e ricco. Un romanzo storico pertinente con i fatti e denso di emozioni.

“Era una sensazione frustrante, come mettersi i vestiti di sempre e ritrovarseli addosso alla rovescia”.

Un viaggio nella memoria

Silvia Notarangelo
ROMA – Un titolo curioso, “Diecipercento e la gran signora dei tonti” (Autodafé Edizioni), per un libro intenso e coinvolgente. L’autrice, Antonella Di Martino, proprio come in un film, riavvolge il nastro della vita del protagonista, procedendo per ricordi, per frammenti di vissuto, alla ricerca di quel mistero che sembra avvolgere la sua fine.

Diecipercento, il protagonista del romanzo, è, nell’ordine, un vigliacco, un ladro, un traditore ma è, soprattutto, un uomo appena defunto che, in attesa del suo angelo, ha l’opportunità di usufruire di una speciale prospettiva: guardare tutti dall’alto cercando di cogliere che cosa è mancato o che cosa non è andato nella sua esistenza da poco conclusa.
Si parte dal suo funerale. In chiesa, oltre ai familiari più stretti, appare, inaspettatamente, Margherita. Quella ragazza “scemotta” che non aveva esitato a tagliare i ponti con la famiglia d’origine pur di vivere il suo amore per un uomo maturo, sembra tornata per un estremo saluto allo zio. In realtà, dietro al suo improvviso ritorno, si nasconde altro. La donna vuole sapere la verità, è convinta che Diecipercento sia stato ucciso da uno dei suoi tanti nemici.
Inizia, così, un vero e proprio viaggio nella memoria, un viaggio che per Margherita significa rituffarsi in un passato ancora doloroso ma comunque accettato e, in qualche modo, superato. Per Diecipercento, invece, assume tutto un altro significato.
Seguire la nipote, dalla sua visuale privilegiata, gli consente di “vedere” con occhi diversi: ciò che sembrava così ovvio, così scontato, ora non lo è più. Ciò in cui ha sempre creduto diventa una forzatura, una condizione a cui si è, con il tempo, rassegnato.
Diecipercento ha soffocato la propria indole, le proprie inclinazioni, a vantaggio di una maschera che, con gli anni, è divenuta un peso insopportabile.
Per lui la verità è davvero vicina, forse fin troppo per riuscire a riconoscerla e ad ammetterla.

“After the Sun”: quando il successo arriva per caso


Silvia Notarangelo

ROMA – A volte il destino può essere crudele. Neppure il tempo di gioire, di assaporare un traguardo, che subito incombe lo spettro di un terribile dolore. “After the Sun”, il primo romanzo di Angela Grillo, pubblicato da Lampi di stampa, è la storia di un incredibile quanto inaspettato successo che, altrettanto rapidamente, si trasforma nell’ennesima, dura prova da affrontare, nel corso di una vita già profondamente segnata.
Stella ha ventitré anni, ha abbandonato l’università ad un solo esame dalla fine e ora lavora nel pub della zia, Lizzy, il suo unico punto di riferimento dopo l’improvvisa perdita dei genitori. È una ragazza come tante, ad eccezione di un piccolo particolare: la sua voce incanta. Una voce che non passa inosservata alle orecchie attente di Robert Gigli, un talent scout, che una sera, dopo averla ascoltata cantare, non può fare a meno di avvicinarla. Stella pensa ad uno scherzo ma è tutto vero.
Il lunedì seguente è già in sala registrazione e, proprio lì, ritrova forse l’ultima persona che avrebbe immaginato di incontrare: Fabio, quel ragazzo appena conosciuto sul treno che l’aveva letteralmente stregata. Sarà lui il suo assistente, sarà lui a seguirla in tutte le fasi di lavorazione del disco, a consigliarla e a supportarla.
Nel giro di pochi mesi la sua vita è completamente stravolta. Le prove, le interviste, le feste, nulla viene lasciato al caso e la sua carriera sembra ormai lanciatissima.
Quasi senza accorgersene Stella si allontana dalle persone a cui tiene di più, dalla zia, ma anche da quegli amici che l’hanno sempre sostenuta e a cui, adesso, riesce appena a rispondere al telefono.
Il destino, però, è imprevedibile e, proprio nei momenti insospettabili, è allora che decide di colpire. Stella è costretta a rimettere tutto in discussione.
Che cosa vuole veramente? Fare la cantante è davvero il suo sogno? Forse, prima che sia troppo tardi, c’è ancora tempo per rimettere le cose a posto e cominciare una nuova vita sperando che il futuro riservi ancora qualche piacevole imprevisto.

“Viola”: il toccante romanzo di Pervinca Paccini

Alessia Sità
ROMA – “Se ne stava lì. Lo sguardo fra le lunghe ciglia scure di trucco. Lo sguardo divorato dalla nostalgia di un domani che non sarebbe mai arrivato. Quello sguardo spalancato scagliava gli ultimi brandelli di vita verso il cielo di ghiaccio, come per catturarlo nella ragnatela disordinata di immagini che avrebbe trascinato con sé nella notte.”

Si apre negli anni ’70 “Viola”, il nuovo romanzo di Pervinca Paccini pubblicato da Autodafé Edizioni. Fra lotte studentesche, amore, sesso e disubbidienza femminista si dipana la storia di Giulia e Viola, due sorelle unite da un profondo ed intenso sentimento fraterno. Purtroppo però, l’inaspettato irrompe nelle loro giovani vite, spezzando per sempre qualcosa che mai più ritornerà. Quel legame che le aveva sempre accompagnate fin dall’infanzia viene inspiegabilmente stroncato da un evento oscuro.
A distanza di trent’anni, però, Giulia continua ad interrogarsi e a tormentarsi sulla morte dell’amata sorella. L’impossibilità di riuscire ad affrontare un passato doloroso, lentamente lascerà spazio ad un nuovo sentimento. Sarà proprio l’incontro e l’amore di Gabriele, un restauratore di libri antichi, la vera chiave di svolta nell’esistenza della donna. Fra foto sbiadite, indizi vari e vecchi amici, Giulia troverà la forza e il coraggio per intraprendere un viaggio doloroso, ma indispensabile per poter finalmente ridare la serenità al ricordo dell’adorata Viola.
Fra presente e passato, Pervinca Paccini racconta una toccante storia umana. A fare da sfondo alla vicenda esistenziale di ogni personaggio è sempre Milano. La Milano di oggi: “grigia, fredda inospitale, necessaria come il denaro” e la città di ieri, scenario di rivoluzioni culturali, di eccessi e partecipazione politica.
Vincitore nel 2010 del premio per il miglior incipit tra i romanzi pubblicati su IlMioLibro, “Viola” è un romanzo generazionale, che ha il merito di aver saputo mettere a confronto due generazioni completamente diverse.

Il fiuto infallibile di Hercule Poirot


Silvia Notarangelo

ROMA – La risoluzione di un caso apparentemente impossibile, la ricerca di un colpevole, il Bene che alla fine prevale sul Male. Sono questi alcuni degli ingredienti che hanno determinato, nel tempo, il successo del genere giallo. Un successo di cui parte del merito va attribuito anche alla penna della scrittrice inglese Agatha Christie. Osservatrice attenta e scrupolosa, curò sempre i suoi lavori con grande abilità, creando atmosfere suggestive, momenti di suspense, personaggi brillanti, dotati di ingegno straordinario, eppure capaci di far sorridere per le loro tante, piccole, debolezze.
Assassinio sull’Orient Express”, scritto nel 1934, è uno dei suoi romanzi più famosi. Protagonista l’inimitabile detective belga Hercule Poirot, un uomo piccolo di statura, con i baffi, maniaco dell’ordine e dell’igiene ma anche incredibilmente acuto.
È il caso a farlo trovare proprio su quel treno diretto a Calais che, durante la notte, si trasforma nella scena di un delitto efferato. La vittima è Samuel Edward Ratchett, un ricco americano selvaggiamente ucciso da molteplici coltellate. Nonostante, nel silenzio notturno, rumori inconsueti avessero colpito l’attenzione dell’investigatore, nulla lasciava immaginare una simile tragedia. L’inaspettato ritrovamento del cadavere, mette in moto il formidabile intuito di Poirot. Le indagini sono rapide e si concentrano sui passeggeri del treno. Chi può avercela con Ratchett al punto da ucciderlo così ferocemente?
La prima, interessante scoperta riguarda la vittima, non un americano qualunque ma un omicida di professione che risponde al nome di Cassetti. Gli indizi raccolti dal detective, uniti alle testimonianze dei passeggeri, sembrano convergere in un’unica direzione. Dietro all’assassinio si nasconde la vendetta di chi, proprio per mano di Cassetti, aveva perduto, anni prima, qualcosa di molto caro. Un piano crudele e ben architettato, capace di riservare colpi di scena e abili depistaggi, ma che alla fine sarà brillantemente scoperto dall’infallibile Poirot.

“Mal di mare”: le intriganti indagini del Capitano Osvaldi

Alessia Sità
ROMA – “Quando andrò in pensione – una data incerta per via dell’eterno dibattito sull’età e il sesso – scriverò un romanzo ambientato nella città in cui sono nata e vivo. Malgrado le letture e i viaggi, rimango infatti dell’idea che il luogo d’origine sia insostituibile fonte di buona lettura. Ma, al contrario di altri autori legati al territorio, che arcaizzano di proposito con il lessico oppure trascolorano nel mito vicende paesane tutto sommato banali, io di Maraglia voglio raccontare l’oggi poco onorevole, e nel linguaggio ordinario.”

Inizia con questi propositi il romanzo di Virginia Savona Less,Mal di mare”, pubblicato da Autodafé Edizioni. A fare da sfondo alle intriganti indagini di Osvaldi, Capitano dei carabinieri, – definito come “un omaccione impegnato ad offrire al mondo l’immagine stereotipata dell’orso di buone maniere” – è proprio la cittadina immaginaria di Maraglia. In sette episodi, il prode Osvaldi e il suo insostituibile ‘braccio destro’, il maresciallo Pellicciotta, tenteranno di far luce su misteriosi delitti, quasi tutti di ambientazione nautica. Uomo di cultura e amante della buona cucina, il Capitano lascia che sia l’intuito e la deduzione a guidare il corso delle sue indagini. Ecco perché ama molto ripetere una citazione di Bloch: “Nessun egittologo ha visto Ramsete”; una sorta di ‘motto’ che metaforicamente riassume molto bene la sua tecnica investigativa. “Non si assiste al delitto né all’evento, però bisogna attendibilmente ricostruirli e cercare la verifica con gli strumenti adatti”. Il Capitano non lascia mai niente al caso, ma spesso sono proprio le sue lucide deduzioni la vera chiave di svolta. La prontezza di osservazione, la cura del dettaglio, l’attenta diagnosi di ogni teste coinvolto nei vari delitti, saranno le armi principali usate per la risoluzione dei complessi casi. In “Mal di mare” la piccola cittadina immaginaria diventa lo specchio infelice e il simbolo di un paese devastato dalla corruzione e dalla tracotanza umana. “Maraglia è rallegrata da un vistoso spaccio, da infiltrazioni camorristiche con tanto di riciclaggio e da un numero di rapine, ferimenti e omicidi in linea con la media nazionale”. Con uno stile molto lineare, Virginia Less racconta storie – alcune delle quali tratte liberamente dai fatti di cronaca – che hanno come comun denominatore figure e comportamenti che ormai sono entrati a far parte del nostro attuale‘costume’ sociale.

“Cedimenti”…realtà o fantascienza?

Silvia Notarangelo
ROMA – Quando la ventisettenne Martina eredita un po’ a sorpresa la villa in Sicilia di quel nonno appena conosciuto, non può certo immaginare a cosa andrà incontro. Ha pochi ricordi di quella grande casa affacciata sul mare e, tra quei pochi, non è compreso lo scheletro di un enorme edificio che va innalzandosi proprio di fronte la casa, un’autentica “porcata edilizia”. Inizia con questa amara scoperta “Cedimenti”, il suggestivo romanzo pubblicato da Edizioni Ambiente e scritto a quattro mani da due autrici che si firmano con lo pseudonimo Francesca Vesco.

Una scoperta inaspettata per Martina quanto tristemente nota alla comunità di Valduci, che convive con la piaga dell’abusivismo e la prepotenza di certi uomini, poco raccomandabili, con i quali “non è prudente mettersi contro”. Il costruttore in questione, responsabile dell’ennesimo ecomostro, ha un nome, Giacomo Iraci, e una reputazione non proprio cristallina. La frase con la quale si congeda da Martina, al termine di un incontro velatamente intimidatorio, sembra una vera e propria minaccia: “Accetti il mio consiglio, lasci questo posto”. Le parole, dure come pietre, scuotono la ragazza. All’improvviso, tutto le appare incredibilmente chiaro: e se il nonno non fosse morto in seguito ad un incidente ma ci fosse dietro la mano di qualcuno? Si spiegherebbe, così, la presenza nella villa di una pistola: forse l’anziano temeva per la sua incolumità. Ma come dimostrarlo? In assenza di prove, nessuno le avrebbe dato retta. Meglio, allora, agire da sola. Ma visto che nulla capita per caso, ecco che Martina si imbatte prima in Paolo, un giovane e affascinante ingegnere, poi in un attivista ambientalista, Giuliano Chimenti. Saranno loro a lasciarsi trascinare dal suo desiderio di giustizia in un gioco pericoloso, la cui posta in palio si farà sempre più alta. Una battaglia di cui diventeranno protagonisti alcuni insospettabili batteri di laboratorio, capaci di corrodere il cemento provocando inspiegabili quanto inarrestabili cedimenti.