Mario Ferraguti e “La voce delle case abbandonate” (Ediciclo): un viaggio nel tempo passato assoluto

la-voce-delle-case-abbandonateDaniela Distefano
CATANIA“Non so se c’è stato un inizio. Mi ricordo che guidavo e basta, non sapevo neanche dove andavo a finire. Ecco, forse è cominciato che, gira e rigira per quelle strade di pianura tutte uguali con a lato i fossi, mi sono trovato davanti una casa abbandonata. Così è iniziata questa smania per le case abbandonate”.

È questo l’incipit dell’opuscolo, targato Ediciclo, La voce delle case abbandonate, un singolare e “piccolo alfabeto del silenzio”, come recita il sottotitolo. A raccontare questa incredibile esperienza umana è Mario Ferraguti, scrittore, esploratore, residente a Faviano, nel parmense.
Qual è il confine tra ladro e curioso? Cosa spinge l’uomo ad avventurarsi tra musei improvvisati, relitti mobiliari, cianfrusaglie scolorite? Cosa caratterizza una casa abbandonata? In primis, forse, la nozione di infinito: “Il tempo delle case abbandonate è un tempo che non riusciamo a vedere né a misurare; un tempo che cammina con un passo lento, monotono e contrario. Io non sapevo che le case abbandonate avessero dentro un tempo tutto diverso da quello che c’è fuori. Hanno il tempo passato assoluto”.
Poi c’è la follia dello scopritore a caccia di nuove vetustità; la fregola del desiderio, lo struggimento… insomma,  quello che in tedesco diciamo sehnsucht, un sentimento di bramosia rivolto verso le case che non contengono più vite, ma tracce di vita. Allora un triviale pettine acquista valore di sacra reliquia da trafugare, da osservare, da interpretare.

Le case cantoniere della Cisa, mute e murate; Lavacchielli, un paese d’Appennino abbandonato sotto al monte Barigazzo con dappertutto bosco bosco bosco; Pianelleto, villaggio dove ci abita una donna sola che fa le calze; le valli di Piacenza; le case abbandonate di montagna che, “quando arriva il freddo, aspettano il silenzio della neve”.
Dormire in uno di questi gusci terreni può essere un’esperienza traumatica, ma una volta abbracciata la solitudine che li connota diventa facile lasciarsi trasportare dal loro suono di contenitori svuotati. Un finestra rotta, un piatto sporco, una coperta polverosa, un muro crepato, tutto parla di uomini che partendo hanno cercato di obliare quello che è rimasto chiuso per sempre tra pareti concubine del vento.

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