Daniela Distefano
CATANIA – “La prima cosa che impari in mare, quando sei sulla tavola, è che se vuoi cavalcare l’onda non puoi guardare dietro di te. Devi abbandonarti a lei, rimanendo fermo sulle gambe. Jack London scriveva che il surf è uno sport da re e io sulle onde mi sento invincibile. I miei problemi nascono tutti sulla terraferma”.
Pietro, trentadue anni, cuore sbriciolabile, coscienza a mollo, tenacia nello scarico, ha da poco perso il padre, sua colonna portante. Decide di fuggire da tutti e da se stesso e prende al volo l’idea di trasferirsi per qualche tempo nelle Azzorre dove potrà praticare la passione della sua vita, il surf. Una volta abbracciate con lo sguardo le spiagge di Sao Miguel, è certo che troverà una soluzione consona al suo cuore sanguinante; forse tornerà in Italia, forse no, ma non ci vuol pensare, vuole solo immergersi tra quelle onde incantatrici dove il cervello è uguale allo zero e l’anima si ricostituisce. In fondo, Pietro sa che la distanza fisica dai suoi cari non lo butterà giù dall’onda della felicità. Sua madre, il suo amico Emanuele che lo chiama affettuosamente “Granchio”, la sua ex, sono presenze palpabili anche se lontane geograficamente. E’ più difficile metabolizzare il lutto, il fatto che non sentirà mai più il padre dirgli che “La morte è di vitale importanza”.
Perché? – si chiede – perché è davvero così importante scomparire? Nelle Azzorre, trova un amico, e un amico è la garanzia che una minima certezza il futuro ce l’ha.
Vasco è solo un uomo intermedio, un palloncino che vorrebbe già volare alto, ma con un filo che lo mantiene a terra, suo malgrado. Avviene l’imponderabile a spazzare dall’isola la purezza di una gioia incontaminata. Per uno strano sgambetto del destino, un trafficante di droga fa naufragio, sulle spiagge vengono rinvenuti innumerevoli panetti di cocaina, subito ribattezzata “l’offerta di Dio”. E’ l’inizio di un incubo per la popolazione del luogo e l’ora decisiva per Pietro che dovrà affrontare un’altra sfida della vita che strizza lo straccio dell’humanitas a volte con una forza inusitata.
Ti devo un ritorno (Salani) è un romanzo che si ispira ad un fatto di cronaca realmente accaduto nel 2001, quando – dopo il naufragio sulle Azzorre di un carico di cocaina – un’intera generazione di giovani è caduta nella tossicodipendenza con tre morti di overdose solo nelle prime settimane. Autore di questo libro dai contorni non geometrici è Niccolò Agliardi , milanese, classe 1974, scrittore e cantautore che ha pubblicato quattro dischi, collaboratore alla cattedra di Letteratura italiana nell’Università degli studi di Milano, nonché docente di scrittura creativa, noto al pubblico per aver composto la colonna sonora della fortunata serie tv “Braccialetti Rossi”.
Forse, sono troppo critica nel valutare una prova che pare guadagnarsi il “distinto” più che “l’ottimo”. Distinto perché – d’istinto – non convince del tutto il lettore. Non è per via del plot che pare nascere da spunto attuale e speciale, ma perché non sviluppa appieno le potenzialità di una storia così spigolosa. Lo stile è troppo aggravato dallo slang dell’adolescente perduto, anche se il protagonista convince nella sua incertezza. La scrittura difetta di una forma convenzionale nella sua atipicità. Ma forse non era questo l’obiettivo dell’autore che ringraziamo per aver narrato un fatto torbido accaduto non nella sua mente, ma nella brutta realtà.