“Tutto deve accadere dentro di me”, viaggio nell’inquietudine di Nicolas De Staël

Giulia Siena
PARMA “Ma un anno, due, dieci anni non sono niente, perché essere artista non è contare, ma vivere come l’albero senza fare fretta alla sua linfa, attendere l’estate, perché l’estate arriva, perché occorre pazienza e pazienza, e se così non fosse, non condividerete mai il mio pensiero e avreste ragione. Avreste due volte ragione perché, pur dicendomi ogni giorno che devo crescere, pazientare, sviluppare la mia vita interiore con naturalezza, i miei disegni sono frettolosi, impazienti, spesso disperati. Forse ho due volte torto […]”. La figura di Nicolas De Staël non è semplice da descrivere e comprendere: artista nato tra l’aristocrazia di San Pietroburgo, si trasferisce in Polonia dove rimane orfano di genitori; verrà adottato da una famiglia russa e si trasferirà in Belgio. Ma Bruxelles non rimarrà per tanto tempo la sua casa perché comincerà presto a viaggiare ed esplorare luoghi: Olanda, Italia, Francia, Algeria e Marocco. Proprio da quest’ultima terra, il Marocco, tra il 1936 e il 1937 scriverà alcune lettere i cui frammenti sono contenuti nel volume Tutto deve accadere dentro di me, curato da Lucetta Frisa per le edizioni Via del VentoContinua

Raoul Melotto: “Caravaggio. L’artista in Italia” (Odoya), il pittore che scansava le ombre con la propria luce interiore

caravaggio_odoya_chronicalibriDaniela Distefano
CATANIARaoul Melotto nel saggio critico Caravaggio. L’artista in Italia (Odoya) si propone di offrire al lettore una guida suggestiva per aiutare a ritrovare sé stessi nel mondo figurativo; un percorso nello spazio e nel tempo in cui furono prodotte, e dove si custodiscono ancora oggi, le opere di Caravaggio.
Ma chi fu Michelangelo Merisi nel mondo prima di entrare nella storia? Nacque a Milano il 29 settembre del 1571 da una famiglia di umili origini. Nel capoluogo lombardo, imperava una Scuola o accademia di pittura “alla maniera” di Michelangelo, Raffaello e di Leonardo: sulla scia di tali giganti. Continua

Paul Gauguin: il selvaggio della pittura

Gauguin_odoya_recensione chronicalibriGiorgia Sbuelz
ROMA – “Questo è uno studio di Gauguin come uomo. Poiché l’uomo non può essere separato dalla sua opera, ci siamo soffermati, quando lo abbiamo ritenuto necessario, sullo sviluppo dell’artista.” Partendo da questo assunto enunciato in prefazione, i coniugi Lawrence ed Elisabeth Hanson compiono, nella biografia Paul Gauguin, Edizioni Odoya, un viaggio nella vita di uno tra i più avventurosi artisti mai esistiti, e nel periodo più movimentato che l’umanità abbia sperimentato. Continua

L’intimità di Frida Kahlo disegnata nel suo diario.

Il diario intimo di Frida KahloGiulio Gasperini
AOSTA – Nessuna scrittura è più intima di un diario. E un diario può essere anche di colori, linee, disegni: pensieri grafici e cromatici. Come quello che Frida Kahlo ha tenuto per gli ultimi dieci, irruenti anni della sua vita. In queste pagine, oggi riproposte da Electa con il titolo “Il diario di Frida Kahlo. Autoritratto intimo” (Electa, 2014) in occasione della mostra in scena a Roma alle Scuderie del Quirinale, Frida ha scomposto e squadernato la sua più complessa interiorità, senza remore né vergogne. Confrontarsi, penetrare nel diario dell’artista messicana non è un’operazione di mero voyeurismo ma un’immersione profonda nella complessità di un’artista che ha trasformato la propria stessa vita in un’opera d’arte, declinando nelle potenzialità immense di pittura e scrittura ogni singolo momento della sua esistenza.
Le tavole a colori e la traduzione del diario ci accolgono in un mondo affascinante e unico, come non ne esistono forse altri esempi. I suoi stessi quasi, i dipinti così tanto amati, affondano le radici violentemente nella sua esperienza personale, nel suo percorso di dolore (fisico, in primis), nella sua esperienza di donna e di artista, di moglie e di madre in potenza, di figlia e di ribelle a un ordine prestabilito. Ma Frida non è solamente un orizzonte di dolore e di sofferenza. Frida è anche profondo humor, ironia, arguzia, spirito dissacrante persino nei confronti di sé stessa. Come nei suoi quadri, l’attenzione è posta tutta sul sé, sulla sua essenza di donna, di messicana, di creatura che sta al centro e contempla tutto quello che attorno accade, riflettendo su di sé di volta in volta il disagio, il dolore, la compostezza, il sogno, la veglia, la sofferenza, la gioia di una potenza creatrice inesauribile. Uno sguardo violante e violento, una teorizzazione in itinere dell’essere creatura umana e nel saper tradurre la realtà personale in un’esplosione artistica senza quasi ritegno, dominata solo da sé stessa e significante solo in sé stessa.
Frida Kahlo è stata perforante non soltanto sulla tela ma anche sulla pagina scritta. I suoi appunti, le sue pagine di diario, le sue lettere sono viranti messaggi, che mai si censurano e mai si limitano nella perfezione della sua indagine interiore. Brevi frammenti, appunti, considerazioni, messaggi consegnati al tempo: il diario di Frida è un percorso unico, un organico procedere attraverso la sua vita stessa, dai primi anni dell’infanzia e dal rapporto col padre e coi genitori, agli altri membri della sua famiglia, alla sua storia d’amore, tormentata ma intensa, con Diego Rivera, agli incontri – tanti, esclusivi – che hanno costellato la sua carriera, da Tina Modotti a Trockij, da André Breton alla sua moglie, ai tanti dottori che l’hanno curata e osservata. Perdersi nelle pagine del diario è un’esperienza diversa dal confrontarsi coi suoi quadri. Il diario è magma incandescente, è sostanza che lotta e combatte per codificarsi in una forma che non è mai scontata né agevole, al primo confronto. Perché la forza di Frida è totale, completa, annichilente ma creativa: “Yo soy la desintegración…”.

“Trascrivere la vita”. Pensieri sull’arte di Èdouard Manet

trascrivere la vita_Manet_viadelventoGiulia Siena
ROMA
“I musei mi hanno sempre causato sconforto. Entrarvi mi deprime, devo prendere atto che i quadri sono ridotti a misera cosa. Tutto si muove, visitatori, custodi. I ritratti non vivono. E tuttavia sono lì, i ritratti […]”. Cosa penserebbe, allora, oggi Èdouard Manet nel vedere il suo celeberrimo Le déjeuner sur l’herbe (1863) oppure la sua magnifica Olympia (1863) “inermi” presso il Musée d’Orsay di Parigi dove sono custoditi? Forse l’artista parigino non aveva considerato che la sua arte – come molta dell’ottima arte – nonostante sia materialmente ferma, si muova, guardi e sproni chi in quel momento la sta ammirando. Èdouard Manet forse non pensò a questo aspetto, forse voleva solo esprimere un giudizio, forse lo fece per domare la sua impulsività, per rendere giustizia a quel “reale” che spesso confina con il sogno. Manet arrivò, così, durante la sua vita a fare attraverso la scrittura quello che gli altri avevano fatto al suo cospetto: si mise a nudo e disse tutto quello che pensava sull’arte. Lo fece spontaneamente, come se non ci fosse interruzione tra il suo sguardo e la parola, senza regole e freni, piuttosto con una ricerca spasmodica di quel reale che in lui diventa un revêrie sospeso tra memoria e sogno. Questi pensieri vengono oggi raccolti in Trascrivere la vita, il volumetto di Via del Vento Edizioni (collana I Quaderni di Via del Vento, 66) curato e tradotto da Marco Alessandrini (sua anche la parte critica “La rivoluzione della grazia”).

Diretto e alle volte duro, in questi pensieri sull’arte Manet si rivolge alle modelle, agli attori in scena, ai suoi colleghi e ai collezionisti, parla di filosofia e della sua arte: “Il colore è una questione di gusto e di sensibilità. Soprattutto, dovete avere qualcosa da dire; altrimenti, meglio cambiar mestiere. Non siete pittori a meno di non amare la pittura sopra ogni altra cosa”. Non tralascia, poi, quel contatto con la natura che nelle sue opere si faceva contatto vivido e allo stesso tempo sfocato, reale, ma leggermente mistificato: “Se è massima certezza, come dice Bacone, che l’arte è l’uomo sommato alla natura, homo additus naturae, allora nell’arte non può mai mancare la natura. Impossibile sostituirla, nemmeno con il ricordo esatto”.

 

Con Trascrivere la vita. Pensieri sull’arte, Via del Vento (grazie anche all’ottimo lavoro di Marco Alessandrini) regala ai lettori e agli artisti di oggi uno spaccato vivido e coinvolgente di un maestro fuori dal tempo, Èdouard Manet.

Hans Adam von dzu Liechtenstein e i suoi privati tesori.

Michael Dialley
AOSTA – “I Tesori del Principe” si propone come un viaggio nella più grande collezione privata di opere d’arte presente al mondo, l’ultima appartenente ad una casata asburgica.
Le 80 opere sono una minima parte rispetto alle 1500 che compongono questo patrimonio artistico della casata dei Principi del Liechtenstein: la famiglia ha sempre avuto la passione per l’arte classica, tant’è che la collezione nasce nei primi anni del 1600 e prosegue ancora oggi, sempre seguendo lo stesso filone artistico, in quanto l’arte moderna è immagine di un secolo buio, come afferma Hans Adam von dzu Liechtenstein.
Edito da Forte di Bard e curato da Johann Kraftner e Gabriele Accornero, il catalogo, dell’omonima mostra, si propone come un importante strumento per chi ama e studia l’arte, corredato di immagini grandi, nonché di testi introduttivi, didascalie che raccontano i soggetti e danno le informazioni necessarie per un’infarinatura generale sull’autore. 7 sezioni che fanno scoprire i più grandi maestri olandesi, fiamminghi ed italiani che hanno profondamente segnato la storia dell’arte dal XV al XVIII secolo: da Lukas Cranach Il Vecchio ad artisti del calibro di Hayez.
Un viaggio tra opere a carattere religioso, come il “Compianto di Cristo” di Rubens, scene mitologiche, come il “Ratto di Europa” di Van Balen piuttosto che “Apollo e Diana uccidono Pitone” di Francheschini, ma anche ritratti, di artisti come Van Dyck e Hals, fino ad arrivare a pezzi molto particolari come il “Cabinet” di Baumgartner, un mobile con piccoli cassetti interamente decorato con pietre preziose e marmo toscano.
Un insieme di opere ricche di cromatismo, movimento, emotività tipiche dell’arte e dei dipinti di un secolo controverso, ma fortunatamente molto rivalutato negli ultimi anni: il Barocco.
Un viaggio suggestivo nelle sale che erano le cannoniere dell’opera Carlo Alberto del Forte di Bard, in Valle d’Aosta, e che adesso può essere intrapreso anche attraverso il catalogo di questa mostra.