Meridiano Zero: “Il romanzo di Matilda”, la vita e le imprese di una donna tenace

il romanzo di Matilda_Meridiano Zero _ chronicalibriGiorgia Sbuelz
ROMA – Il romanzo di Matilda di Elisa Guidelli pubblicato da Meridiano Zero, rispolvera la figura storica della Grancontessa di Canossa, nota ai posteri per la parte da mediatrice che ebbe nel periodo delle lotte per le investiture e, soprattutto, per l’episodio che riguarda l’umiliazione del sovrano Enrico IV di Franconia, nell’ormai celeberrima rappresentazione che lo ritrae penitente al cospetto di papa Gregorio VII. Ma Matilda di Canossa fu molto di più e Elisa Guidelli, dopo una ricerca storiografica durata ben dieci anni, ci restituisce il ritratto di una donna sorprendentemente moderna, dalle eccezionali abilità politiche, conscia della sua femminilità e fiera della sua genealogia. Continua

Scoprirsi Figlia, gioie dolori e sensi di colpa nelle relazioni madre-figlia

scoprirsi figlia_odoyaMarilena Giulianetti
ROMA – C’è La Devota, La Dipendente, La Riluttante. E poi Quella Impegnata e La Deludente. L’elenco completo è lungo e colorito. Sono tutte figlie, unite dal desiderio di condividere un percorso verso una “figlialità” risolta, o almeno migliore. Sono le storie contenute in Scoprirsi Figlia, il libro scritto dalle irlandesi Natasha Fennell e Róisín Ingle, edito in Italia da Odoya Edizioni. Cose succede ad una donna adulta quando viene diagnosticato all’anziana madre – che adora – una malattia che non lascia molto spazio al futuro? Continua

Lo stato (disastroso) della poesia contemporanea.

Le mucche non leggono MontaleGiulio Gasperini
AOSTA – Il saggio di Giulio Maffii, Le mucche non leggono Montale, edito da Marco Saya Edizioni (2015), inizia provocatoriamente dall’altrettanto provocatoria affermazione di Montale: “La poesia è l’arte tecnicamente alla portata di tutti”. Era il 1975 e Montale lesse il suo discorso, dal titolo “È ancora possibile la poesia?”, di fronte all’Accademia di Svezia ritirando il Premio Nobel. Da questa evidenza (una penna e un foglio sono alla portata di tutti) inizia l’invettiva di Maffii contro la pletora di presunti poeti e poetucoli che intasano il mercato editoriale, scegliendo le case editrici self-publishing, organizzando presentazioni a uso e consumo di parenti e amici e trovando un valido alleato anche nelle infinite possibilità di evidenza che i social network consentono.
Ma la poesia, per Maffii, non è soltanto tecnica, come molti potrebbero erroneamente pensare: “La forma è un elemento basilare ma non è tutto”. Perché il poeta ha fondamentale bisogno anche di un IO poetico che sappia giocare con le parole, le sappia consegnare nuovi significanti che non sono i soliti, che sappia lanciare uno sguardo inedito su argomenti magari inflazionati da precedenti scrittori e poeti. Non si tratta soltanto di un’abilità tecnica nel mettere in fila suoni e rime; si tratta anche di dare un contenuto che sia originale e non eternamente banale.
In un paese, come l’Italia, dove tanti (quasi tutti) scrivono ma pochi (quasi nessuno) legge, secondo Maffii si annida l’altro grande problema della poesia contemporanea: il poeta dovrebbe prima di tutto leggere gli altri, perché non si può scrivere nuova poesia se non si conosce che cosa, di poesia, è già stato scritto, principalmente da scrittori ben più ispirati. Altrimenti rimane un poeta inutile. Totalmente inutile: “Il rifiuto a leggere non può portare che a un disastro sociale che vedrà i poteri forti usare l’ignoranza come centro di comando”.
A far da contrappeso a questa vis polemica (e persino apocalittica), Giulio Maffii inserisce capitoli di breve critica su alcuni grandi poeti e poetesse del passato, magari ad oggi dimenticati. Ad esempio, parla di Majakovskij, citando i dodici punti (in “A piena voce”) “una sorta di mini compendio ad uso di chi ‘voglia diventare poeta… pur avendo cognizione che la poesia è una delle attività produttive più difficoltose”. Oppure ricordando le scelte di Margherita Guidacci, che si è sempre rifiutata di sottostare a determinate regole “di mercato” e culturali ed è stata condannata a un lungo e intenso abbandono poetico. Oppure, ancora, lo scrittore Cernuda, appartenente alla stessa “Generación del 27” di Federico García Lorca, che è rimasto poeticamente soffocato dal successo dei suoi compagni, pur meritando un ruolo di primo piano nella ricerca poetica spagnola.
Il discorso di Maffii procede in maniera semplice e diretta, senza mezzi termini né risparmiandosi critiche a un sistema dal quale pare difficilissimo uscire. Come soluzione, la proposta di modelli poetici raffinati e completi. Come a dire che soltanto riconsegnandosi alla vera poesia ci si può salvare da quella pessima (e abbondante).

Novità: arriva Bioeconomia, il libro-saggio sulla chimica verde

Croce_Ciafani_Bioeconomia_edizioni ambiente_chronicalibriMILANO “O l’economia diventa una bioeconomia o non avrà alcun futuro. Il nostro sistema di produzione e consumo dipende in modo eccessivo dalle materie prime di origine fossile e dalle loro trasformazioni chimiche.” (Pauli Gunter nella prefazione al libro).

 

Arriva per le Edizioni Ambiente di Milano Bioeconomia. La chimica verde e la rinascita di un’eccellenza italiana, il libro-saggio di Beppe Croce, Stefano Ciafani e Luca Lazzeri con la prefazione di Pauli Gunter. Il cambiamento in corso oggi è radicale: passando dalla petrolchimica a processi produttivi che utilizzano materie prime vegetali la chimica sta ridisegnando la propria identità. Biopolimeri, biocarburanti, biocombustibili, biolubrificanti: il prefisso “bio” dimostra che l’economia può (e deve) rapportarsi alla società e al territorio in cui colloca le proprie attività e da cui trae le risorse di cui ha bisogno, creando occupazione, profitti e innovazione.
Le risorse della bioeconomia offrono tre vantaggi cruciali: sono potenzialmente non esauribili, in genere inquinano molto meno dei loro omologhi fossili e, infine, sono producibili sul territorio e possono quindi garantire maggiore autonomia economica. Mettendo le risorse rinnovabili e i rifiuti alla base dei prodotti di domani si apre una straordinaria sfida economica ed ecologica.
Esiste dunque un’alternativa tra corsa alla distruzione di risorse e decrescita. È quella indicata da Nicholas Georgescu-Roegen, l’inventore del termine bioeconomia, osservando che l’energia libera a cui l’uomo può accedere proviene da due fonti distinte: “la prima è uno stock, lo stock di energia libera dei giacimenti minerari nelle viscere della Terra. La seconda fonte è un flusso, quello delle radiazioni solari intercettato dalla Terra”.

“The true adventures of Rolling Stones”

Dalila Sansone
GRAZ – Non è una biografia in senso proprio: dietro i vent’anni di Mick Jagger sulla copertina patinata dell’edizione riproposta per i cinquant’ anni della rock band non c’è la storia dei Rolling Stones. Troppo facile. Gli Stones non ci si sono mai del tutto prestati alla categoria del “facile”. Sfuggenti, taglienti, capaci di creare l’aspettativa e risponderle ancora meglio. Stanley Booth invece era un giornalista, scriveva di musica negli anni ’60. Un’idea: scrivere la loro biografia; ed è per questo che li segue nella tournée statunitense del ’69. Gli ci vorranno quindici anni per concludere una delle più graffianti auto confessioni di un’epoca. Le ragioni di una genesi così lunga stanno lì, in fondo al libro, incastonate nella postfazione come una pietra rara: un’analisi retrospettiva talmente lucida da valere tutte le parole, le immagini e le sensazioni che il loro intreccio precedente aveva evocato. A distanza, una distanza che impreziosisce la prospettiva.
Ci vuole tempo a capire le sovrapposizioni della narrazione, il collegamento con l’epigrafe all’inizio di ogni capitolo, le parole della madre del già annegato-in-piscina Brian Jones, i voli da un college all’altro, gli Hell’s Angels, il dente di coguaro che dondola all’orecchio di Keith Richards, nomi, tanti nomi, marijuana, alcool, il ritratto sbiadito di Jagger provato dalla stanchezza e convinto di essere ormai vicino al declino: – Sono otto anni che facciamo questa vita, quanto volete possa ancora durare?!
Si alternano una storia, polverizzata in mille storie, e la cronaca degli ultimi mesi di un periodo destinato a frantumarsi e implodere su se stesso allo scadere dell’appuntamento con il nuovo decennio. Gli Stones una delle metafore possibili. “The true adventures” (1984)si apre e si chiude con Altamon, 6 dicembre 1969. La promessa di una nuova Woodstock, al termine di una tournée folgorante che celebrava il riscatto di quelli che tre anni prima erano stati dati per finiti davanti agli scranni dei tribunali dell’Inghilterra perbenista. Fu l’emblema della fine degli anni ’60. Un declino che trapuntava con fili sottili le contraddizioni, le contestazioni, quel senso illusorio di libertà di espressione che, nonostante la polizia, i poteri forti, il Vietnam, si aveva la presunzione di possedere. Eppure Booth la provava quella nausea; non erano sufficienti le droghe, il ritmo, era lì, tutte le volte che Mick lanciava petali di rosa in chiusura sulle note di “I’m free”. Liberi? Liberi dentro le mura di una palestra? Liberi di suonare per gli studenti in libera uscita? Liberi circondati dagli Hell’s Angels ? Liberi di credersi liberi?
Quell’anno muore Kerouac. Una telefonata. La notizia. L’illusione si spezza e, solo a questo punto, ti accorgi che stai leggendo la STORIA. La fine è macchiata di sangue. Niente sarebbe stato più lo stesso, nemmeno gli Stones. Non guidavano, né erano il simbolo di nessuna protesta: erano giovani della periferia anonima di Londra, come tutti gli altri, come tutti i protagonisti dimenticati e senza nome che hanno fatto degli anni ’60 quello che sono stati fuori dalle analisi ufficiali e dalle cronache; la generazione di passaggio verso una società destinata a rimodellarsi continuamente in realtà che avrebbero, di li a poco, continuato a mutare credo e definizione (o presunti tali) vertiginosamente.
L’orrore collettivo di Altamon fu l’incubo che precede quei risvegli bruschi dalle percezioni dilatate in maniera straniante, fuori dal sogno, distanti dalla realtà. Una terra di nessuno dei sensi e di mancanza di riferimenti per certe coscienze. Booth ebbe bisogno di ridefinire se stesso, gli Stones avrebbero costruito pezzo su pezzo la loro identità, la loro di realtà consacrandola all’immortalità. Eppure nella musica di quegli anni la senti vibrare ancora quell’urgenza vitale di esistere, la rivendicazione di libertà, l’assoluta affermazione si sé stessi attraverso la negazione di adeguamento a qualunque schema precostituito. È lì che affondano le radici della leggenda. La rottura ha in sé le premesse della riorganizzazione dopo l’urto. Si sceglie se riutilizzare i pezzi e di quali fare le colonne portanti della ricostruzione. Non è riuscito a tutti bene. Ai protagonisti di questo racconto nella storia, voce narrante e personaggi principali, invece si. No, non avrebbero mai potuto trovare soddisfazione. Erano di quelli destinati a non provarla mai.

Lo shopping, la nuova frontiera della meditazione

Marianna Abbate
ROMA “Meditazioni sullo shopping” è questo il titolo allettante del libricino rosa edito da Mimesis, che vedete nella foto. Ma se sperate in una storia di amore e shopping alla Kinsella, avete sbagliato copertina. Questa è roba seria: si tratta di Filosofia. La maiuscola nella parola filosofia è voluta, perché non vi sto parlando di filosofia come stile di vita, ma di quella scienza che ha visto sviluppare la teoria della maieutica e ucciso Socrate con un bicchierino di cicuta. Orbene, vi direte, nulla di strano. Qualche donna fashion si è dedicata allo studio degli antichi filosofi e trovando l’argomento un po’ superato ha pensato bene di dedicarsi ad un argomento più allegro producendosi in un’analisi sociologica dell’acquisto compulsivo. Niente di più sbagliato.

L’autore è un UOMO!, un filosofo di nome Seiffart Achim, che approccia l’argomento da profano. Achim si è trovato incuriosito dall’argomento osservando la sua assistente, una ragazza che ritiene essere molto intelligente. La suddetta, della quale per onore alla privacy non sappiamo nulla, indossa abitualmente un abbigliamento elegante che il filosofo ha valutato circa 3000 euro, di cui un migliaio solo per la borsa, esclusi gioielli. La domanda nata spontaneamente nella testa di questo filosofo, che ci piace immaginare un po’ sgangherato e sgualcito, è stata: perché questa ragazza spende tutto questo denaro in abbigliamento, se non ha bisogno di affermarsi socialmente in quanto ha già un ruolo importante dovuto al suo lavoro?

Oh innocenza della filosofia! E’ evidente che Achim non abbia mai provato il bisogno di fare una buona prima impressione, o che non ha mai pensato che i capelli unti sono il peggior biglietto da visita.

Se volete scoprire quale sia la teoria finale, vi invito alla divertente lettura del suo libello. Ma non posso esimermi dal condividere con voi la mia personale teoria sulla scienza dello shopping.

Ecco, chiunque mi conosca un pochino, sa che amo fare acquisti. E sa anche quale è la mia personale opinione sull’intelligenza. Se sei un genio, non è necessario che sottolinei la tua “nerdaggine” con un abbigliamento trasandato e occhiali spessi un dito. Anzi, la mancata cura del tuo aspetto è sintomo di una mancata intelligenza sociale. Un aspetto curato ed elegante aumenta esponenzialmente il valore delle tue parole.

Per questo sconsiglio vivamente di mangiucchiarsi le unghie e indossare sacchi di iuta: nerd correte a a fare shopping, con il beneplacito della filosofia.