“Brezze moderne”: la raccolta poetica di Pietro De Bonis

Alessia Sità
ROMA –Esiste la poesia/allora esiste Dio!/Come quando non conosci i dolori/Ma vedi lo stesso gente piangere.”

Sono questi i versi che compongono “Continuerò a non morire se Dio vorrà” una delle poesie contenute in “Brezze moderne”, la raccolta poetica di Pietro De Bonis pubblicata da Lupo Editore.
Il volume è suddiviso in tre parti: Poesie, Intermezzi e Aforismi. La prima parte è costituita da liriche dall’estensione e dalle tematiche variabili; mentre nelle ultime due parti, l’Io poetico è continuamente impegnato a indagare non solo su se stesso, ma anche sull’uomo e sulla società attuale. Leggendo “Brezze moderne” non ho potuto fare a meno di ricordare la bellissima “Commiato” di Giuseppe Ungaretti, nella quale il poeta spiegava all’amico Ettore Serra cosa fosse per lui la poesia.  “Gentile/Ettore Serra/poesia/è il mondo l’umanità/la propria vita/fioriti dalla parola/la limpida meraviglia/di un delirante fermento/Quando trovo/in questo mio silenzio/una parola/scavata è nella mia vita/come un abisso.” Come per il grande Giuseppe Ungaretti, la poesia del giovanissimo Pietro De Bonis sembra essere il risultato di una sofferta e profonda operazione di ‘scavo’ nell’’abisso’ della propria anima e del proprio solipsismo esistenziale. Liriche come “Più cresco”, “Invaso”, “Libertà” e molte altre ancora, testimoniano la necessità di far conoscere al mondo le proprie personali emozioni, oltre che la propria percezione della vita quotidiana. L’autore sonda costantemente l’animo umano, scendendo nei meandri più oscuri dell’uomo, per meditare sul vero senso della vita. “Pensavo al cielo, lo vediamo celeste ma in realtà dall’universo è nero. E lo stesso il mare, in riva è azzurrino chiaro e lontano si scurisce. Tutte le cose da vicino sono più chiare e belle, più le avviciniamo e più si fanno vedere. Forse occorre più vicinanza tra gli uomini del mondo”. Proprio in questo bellissimo monito, contenuto nella parte dedicata agli Intermezzi, sembra essere riposto il messaggio della raccolta “Brezze moderne”. Mai fermarsi alle semplici apparenze, soltanto continuando a scandagliare le mille sfaccettature dell’animo umano potremo raggiungere la verità delle cose. Del resto, “I colori veri della vita non sono quelli che si vedono, ma sono quelli che si acquistano amando.” Con grande sensibilità, Pietro De Bonis ci regala una raccolta poetica che ci esorta a meditare attentamente sui nostri attuali tempi e sulle nostre piccole e grandi emozioni che, spesso, mettiamo a tacere per paura di svelarci troppo fragili.

Partiamo, “101 cose da fare a Barcellona almeno una volta nella vita”

ROMA – E’ ancora tempo di intraprendere un viaggio… e Barcellona negli ultimi anni ha saputo imporsi come meta turistica di primo piano a livello mondiale. Allora accettiamo i suggerimenti di Luigi Cojazzi in “101 cose da fare a Barcellona almeno una volta nella vita” (Newton Compton) e intraprendiamo il nostro cammino.
Facile, comunque, indovinare il perché di tanto successo: quale altra metropoli europea infatti può offrire cultura e sole, musei e spiagge, monumenti e instancabile vita notturna? Punto di riferimento internazionale per l’architettura e l’urbanistica, paradiso dei giovani, rifugio di moltissimi artisti, è una città che ha saputo trasformarsi, soprattutto negli ultimi trent’anni, in uno dei luoghi più dinamici del mondo. Ai primi posti nell’immaginario giovanile per le opportunità che offre, il divertimento, la cucina, lo shopping, la bellezza medievale della Città Vecchia, Barcellona è anche la capitale d’una nazione senza Stato: la Catalogna. E a partire da qui si può comprendere l’orgoglio dei barcellonesi per la storia della loro città. 101 cose da fare per scoprire lo spirito di questa splendida metropoli, le sue radici storiche, la sua catalanità, il suo senso di diversità; senza dimenticare naturalmente gli aspetti più turistici: dai locali che animano la movida notturna ai ristorantini di pesce della Barceloneta, dalle spiagge ai parchi, dagli angoli meno noti ai capolavori di Gaudí. 101 aspetti di una città viva, creativa e multietnica. Una città che non ha mai avuto paura di cambiare.

Barcellona come non l’avete mai vista!

Ecco alcune delle 101 esperienze:
Mangiare
torte nelle profondità di una mikveh del XIV secolo
Intravedere due dita di Dio presso l’antica chiesa romanica di Sant Pau del Camp
Cercare un paio di “espadrillas” e ritrovarsi in un quadro di Picasso
Inseguire il fantasma di Carmen Amaya in un antico quartiere di pescatori
Tentare di penetrare la città vecchia attraverso la porta dei templari
Fermarsi all’ombra di uno dei bracieri più “pericolosi” del mondo
Passare un sabato mattina al Mercat dels Encants
Scendere nel “pozzo del mondo” per vedere il lungomare di Guayaquil
Sfidare il drago di Gaudí a difesa del Giardino delle Esperidi

Un sogno ad occhi aperti: “Il paese del caos”

Silvia Notarangelo
ROMA – Alcuni lo sognano, altri lo temono. C’è chi lo considera un habitat ideale, chi inorridisce soltanto al pensiero. Il caos non mette tutti d’accordo, anzi. Ordine, norme, disciplina fanno parte della nostra vita, ma è innegabile quanto le imposizioni di qualunque genere, siano mal digerite. Cosa potrebbe succedere, allora, se ad essere imposti per legge fossero il caos, il disordine, l’illusoria assenza di regole? Sarebbe un mondo fantastico o, almeno, così deve averlo immaginato Flavia, la piccola protagonista de “Il paese del caos”, il nuovo libro di Marcella Russano pubblicato da Fanucci.

Niente cameretta da sistemare, niente giochi e barbie da mettere a posto, pena la tanto temuta e detestata punizione. Un “sottile ricatto” messo in atto da molti genitori a cui i bambini (non tutti) si piegano più o meno coscientemente. Niente e nessuno può, però, arginare la loro fervida immaginazione. Anche l’autrice si lascia guidare dalla fantasia in un viaggio magico ed entusiasmante, lungo il quale non mancheranno risposte a quei piccoli e grandi dubbi che già si insinuano nelle menti dei bambini.
È un sogno ad occhi aperti, un’avventura piena di insidie e di sorprese, quella in cui si ritrovano catapultate Flavia e Martina, la sua migliore amica.
La “Repubblica libera del caos” le accoglie rivelando tutta la sua stravagante normalità. È un mondo apparentemente alla rovescia, un mondo in cui tutti sono alla ricerca di qualcosa perché non si trova mai nulla e nessuno, per legge, ha il potere di mettere ordine. Per chiunque disobbedisce le porte del carcere sono pronte a spalancarsi.
Il “sottile ricatto”, insomma, si ripete, sotto diverse spoglie, ma con analoghe, odiose conseguenze. Venire a contatto con questa realtà, dominata da regole-non regole e caratterizzata dall’infelicità dei suoi abitanti, si trasformerà in una sfida avvincente per le due bambine, chiamate a superare le loro paure, a battersi per una giusta causa, scoprendo, non da ultimo, un’amara verità: talvolta, le regole, se giuste e condivise, possono servire a qualcosa.

Intervista: un bilancio per la Intermezzi editore

ROMA – Creare una casa editrice. Un progetto un po’ utopico forse, quando nel 2008, Chiara, Manuele e  Attilio pensarono di unire le proprie professionalità e creare Intermezzi Editore. Nel cuore pulsante della Toscana Intermezzi è una commistione di arti, capacità e idee: libri interculturali e articoli multimediali per avere la possibilità di creare prodotti fruibili da media diversi. Ma come è cambiata in questi anni l’Intermezzi? Lo chiediamo a Chiara Fattori, direttore editoriale della casa editrice toscana.

 

Quali sono le novità autunno/inverno 2012 di Intermezzi editore?
A dicembre, in occasione di Più libri più liberi, uscirà “Nessuna Esperienza Richiesta” di Gianluca Comuniello, un romanzo composto da racconti, o come l’autore stesso lo definisce un “concept album”, con protagonista Descentio Cesellati, eurocrate figlio di latinisti. Altra novità a cui stiamo lavorando e che lanceremo nel nuovo anno è la collana “Sottogliottantamila”, testi brevi in ebook.


I tre libri sui cui puntate in questo momento?
Non ci sono libri su cui puntiamo più di altri: la scelta di fare poche uscite l’anno ci consente di portare avanti tutto il catalogo senza lasciare nessuno indietro.


A 5 anni dalla sua nascita, qual è il bilancio di Intemezzi editore?
Fare un bilancio in termini di positivo o negativo di un progetto come il nostro, nato in questi tempi disastrati, non è possibile. Posso dire che Intermezzi è cresciuta insieme a noi, alla nostra passione e alle nostre competenze, e che sta trasformandosi e migliorandosi continuamente. Abbiamo fatto bei libri di cui siamo orgogliosi e con noi hanno esordito autori che si stanno ora facendo conoscere e apprezzare anche altrove (Ilaria Giannini uscirà a dicembre con un  romanzo per Gaffi e Stefano Sgambati il prossimo anno con minimum fax).  Al momento puntiamo molto sul digitale e cerchiamo di stare al passo con i cambiamenti, che non sono e non saranno trascurabili nei prossimi anni.


Tra scelte di manoscritti, realizzazione, promozione dei libri e festival letterari, com’è la vita delle piccole case editrici in Italia?
Le piccole case editrici italiane sono spesso, come nel nostro caso, portate avanti da persone che non fanno questo come unico lavoro, purtroppo. Quindi la vita non è facile, è frenetica e disordinata. Per noi le fiere e i festival sono i momenti più rilassanti e divertenti, in cui confrontarsi con colleghi, autori e lettori, in una immersione totale tra libri e emozioni. Per il resto si legge tanto, si lavora sui testi anche di notte, si rincorrono i librai, ci si ingegna per trovare sistemi orginali e alternativi di promozione e si tiene in ordine la contabilità.


Fare libri è…
Contribuire all’eterna autorappresentazione dell’uomo.

“Adotta una parola” affinché l’italiano sopravviva!

Giulio Gasperini
AOSTA – L’italiano è la dodicesima lingua più parlata al mondo: ragioni culturali, e non certo di diffusione geografica, le permettono di guadagnarsi questa posizione. Ma l’italiano è anche la lingua, tra quelle neolatine, che può contare più lemmi e vocaboli. L’italiano è una lingua poetica, estremamente versatile e piuttosto creativa (avrebbe anche poco bisogno di prestiti esterni, data la sua ricchezza verbale!): e non lo scriviamo per razzismo culturale o preferenza materna, ma perché i dati dicono questo, e noi siamo felici di riportarli e sottoscriverli.
La Società Dante Alighieri, fondata alla fine dell’800 da, tra gli altri, Giosue Carducci, ha sollecitato l’aiuto di quattro tra i più importanti dizionari dell’italiano contemporaneo (il Devoto Oli, il Sabatini Coletti, lo Zingarelli e il Garzanti) per cercare di salvare le parole italiane dall’oblio della dimenticanza e, cosa ancor più grave, della mancanza di utilizzo. Perché si sa che una parola sopravvive soltanto se si usa: altrimenti diventa un polveroso relitto per fare la felicità di qualche remotissimo filologo. Ma la lingua è bella perché usata, perché parlata, perché utilizzata per confrontarsi con la realtà circostante, col mondo, per misurarlo, quantificarlo e significarlo. Chiamare le cose col loro vero nome, con quello storico, magari con l’unico corretto a differenza di altri, è come riscoprire, come riportarle alla luce la prima volta: un rinnovato battesimo che ciascuno di noi ha il potere di compiere. Basta conoscere le parole, basta saperle utilizzare; basta volerlo, insomma.
Ad oggi, le parole adottate sono state quasi 30.000. Basta connettersi a questo sito: http://adottaunaparola.ladante.it/ Alla fine, vi sarà dato anche un attestato, con la vostra parola, e con l’impegno di usarla il più possibile, a ogni occasione (mai a sproposito) per far sì che qualchedun altro si accorga di lei e della sua esistenza. Siamo tutti lì… Io, per via del mio lavoro, ho adottato “rifugiato”, la direttrice “concepibile” (e non ho indagato il motivo)…
Voi, quale? Scrivetecelo!

Bere il territorio, concorso letterario nazionale di Go Wine

ALBA (Cn) – Torna Bere il territorio, il concorso letterario nazionale di Go Wine giunto alla XII edizione. Un’iniziativa culturale che si rinnova di anno in anno e che è rimasta sostanzialmente fedele all’idea che l’ha originata. L’invito a scrivere non prevede limiti di età e conduce a una sorta di ideale confronto tra generazioni, unite dal piacere di scrivere e di raccontare il rapporto con il vino e con il mondo che lo circonda, con un particolare riferimento al tessuto sociale e all’ambiente nel quale il vino viene prodotto.
L’attualità di Bere il territorio è strettamente legata alla principale finalità che l’associazione persegue: contribuire in modo concreto a far crescere la cultura del consumo dei vini di qualità, mirando ad un consumatore sempre più consapevole sia nelle scelte, sia nell’attribuire il giusto valore e significato ad una bottiglia di vino.  Il titolo del Concorso – “Bere il Territorio” – è a suo modo una provocazione: “Bere il Territorio” per attribuire un valore aggiunto a ciascun vino di qualità, e apprezzare, attraverso il calice, la cultura e l’ambiente in cui quel vino si afferma. “Bere il Territorio” per rafforzare un concetto che è alla base dell’associazione Go Wine e della sua attività. Storia, tradizioni, paesaggio e vicende culturali: sono diversi i fattori che distinguono il vino da una qualsiasi bevanda. “Bere il territorio” esprime un modo di guardare al consumo con un rinnovato gusto e con una maggiore consapevolezza che va trasmessa alle giovani generazioni.
Oltre alla sezione generale, sono previste due sezioni speciali: la prima dedicata agli istituti agrari italiani: il Bando prevede un tema specifico da svolgere, anche al fine di stimolare una partecipazione più attenta degli studenti. Nell’altra sezione studenti degli Istituti di Istruzione Secondari della Provincia di Cuneo sono chiamati a redigere un elaborato sul tema: “Il territorio: un valore o uno slogan?”
I testi dovranno pervenire entro il 15 febbraio 2013 presso la sede nazionale di Go Wine in Alba; la cerimonia di premiazione è prevista sabato 16 marzo 2013.Sostengono questa iniziativa la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo e un Comitato di aziende vinicole italiane che contribuisce ad animare gli incontri che Go Wine promuove per divulgare il concorso.
I premi: 800 euro ciascuno per i due vincitori della sezione generale; 500 euro per il premio speciale riservato agli Istituti Agrari; 300 euro a ciascuno dei due vincitori della sezione riservata agli Istituti Secondari delle Provincia di Cuneo.
La Giuria: Giorgio Barberi Squarotti (Università di Torino), Gianluigi Beccaria (Università di Torino), Valter Boggione (Università di Torino), Bruno Quaranta (La Stampa-Tuttolibri), Massimo Corrado (Associazione Go Wine), Salvo Foti (Enologo).
Sostengono questa iniziativa la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo e un Comitato di aziende vinicole italiane che contribuisce ad animare gli incontri che Go Wine promuove per divulgare il concorso.

Scarica QUI il bando.

“Ho ancora nel naso l’odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato. Ho ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che crocchiava sotto le scarpe, gli sternuti e i colpi di tosse delle vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive del Don”. IL SERGENTE E LA NEVE di Mario Rigoni Stern – Einaudi 1962

“Sul ciglio del dirupo”, storie di vita

Giulia Siena
ROMA
“Io non sono nient’altro che un involucro, una scatola che contiene uno strumento che viene suonato, ma non da me. Sono passiva a quello che capita, ho smesso di cercare di influenzare le cose quando non ho trovato altra strada da percorrere che accettare.” A dirlo è Monica, protagonista de “Sul ciglio del dirupo”, il racconto che chiude la raccolta e da cui prende il nome il libro di Emiliano Reali pubblicato da Ded’A Edizioni. Monica è soltanto una dei tanti protagonisti che affollano i diciotto racconti di Reali. Sono storie di vita, storie di donne e uomini, storie di disagio, emarginazione, determinazione. Storie di amore, omosessualità, malattia, partenze e arrivi.
La storia di Fabio che in “Senza pelle” (2004) si ritrova sulla strada a condividere la coperta di un nomade e il fuoco di una prostituta. Fabio però non ha pelle e non ha forma per i passanti o per i clienti che si fermano, ai loro occhi lui non appare. Ma di notte, su quella strada, una macchina perde il controllo e la sua vita torna a prendere consistenza, pelle. La storia di Lina (“Gli uomini di Lina”, 2008) che ammalia e regala piacere attraverso una chat; per gioco, per provocazione, per ribellione e per libertà. Clara (“RH Negativo”, 2005) ha voglia di evadere dal suo mondo piccolo borghese. Lei ha tutto, ma ha bisogno di altro e questo lo trova nei tasti di un pc, tra le righe delle conversazioni via chat con i suoi misteriosi amici. Il mistero l’attrae, ma ne viene travolta fino a scoprire il sottile legame di sangue che lega in modo indissolubile.

Dopo il successo di “Se Bambi fosse un trans” (Azimut, 2009), con “Sul ciglio del dirupo. X anni di storie da raccontare” Emiliano Reali racconta le emozioni con un piglio provocatorio in cui dolcezza e realismo si mescolano.

 

“Fuga dal paradiso”: come Katrina ha riunito una famiglia

Michael Dialley
AOSTA – Diana Abu-Jaber presenta una nuovo romanzo, edito da Nutrimenti, dal titolo “Fuga dal paradiso”, che ci porta a Miami nel periodo dell’arrivo di Katrina, l’uragano che nel 2005 ha causato la morte di 1833 persone. Storia di una famiglia apparentemente normale: Avis, donna che ha trasformato la cucina di casa in una pasticceria, il marito Brian, avvocato, e i due figli, Felice e Stanley. Tuttavia, una famiglia che risente molto della fuga di Felice, bellissima adolescente, che tutti paragonano a Elizabeth Taylor, ma che a un certo punto sente di non essere amata e capita e decide di scappare, a tredici anni, e di vivere in spiaggia, facendo da modella per tatuaggi.
Avis risente più di tutti di questa assenza: ricorda spesso la sua, di madre, così intenta a leggere e studiare tanti scrittori e intellettuali – tra cui Dante, Hegel e Voltaire – da lasciare costantemente la figlia senza nulla da mangiare; tanto che, per questo, Avis inizia ad accostarsi alla cucina, e in particolare alla pasticceria, come reazione opposta a questo trattamento materno nella sua infanzia.
Un dramma si consuma quindi all’interno di questa madre che, unito al dolore anche del marito e del figlio, porta la famiglia ad un graduale sgretolamento, a un lento ma inesorabile allontanamento; seppur nella drammaticità e nella catastrofica forza, l’uragano Katrina riesce, alla fine, a riavvicinare queste persone, ormai quasi sconosciute le une alle altre, facendo riemergere l’amore familiare perduto cinque anni prima.
L’autrice utilizza questo contesto perché lei era proprio a Miami quando l’uragano è arrivato ed si è sorpresa di quanto questi eventi tragici siano in grado di riavvicinare persone e porre rimedio a situazioni apparentemente irreparabili: e questo lo sappiamo anche noi, lo sanno anche tutti gli italiani che hanno vissuto gli ultimi catastrofici terremoti, le alluvioni dello scorso anno che hanno distrutto luoghi stupendi, oltre che le case di tantissime persone.
E colpisce questa grande contraddizione espressa anche nel romanzo: le famiglie e le persone sono più interessate al successo, alla carriera, ai soldi, a tutto ciò che porta al giovamento fisico ed all’affermazione nella scala sociale, perdendo però di vista i veri valori, quelli che permettevano fino a qualche decennio fa di mantenere la famiglia unita e piena di amore ed affetto, ma che poi durante avvenimenti tragici, catastrofici, permeati di dolore, paura e morte si riscoprono, quasi a voler chiedere perdono di anni di sofferenze, quasi a chiedere un’ultima assoluzione nell’eventualità più buia.
Nell’individuo, questo aspetto è una costante: non si comprende davvero fino in fondo ciò che si ha fino a quando non si è sul punto di perdere tutto.

LSD e l’ultimo appunto di Huxley

Dalila Sansone
GRAZ – La lettura di Albert Hofmann è una breccia nell’idea delle prospettive, dei punti di vista. La catalogazione retro-copertina recita: “Scaffale: PSICHIATRIA – DROGHE E DIPENDENZE”. Ma “LSD, il mio bambino difficile”, pubblicato la prima volta nel 1979, può stare a suo agio tra i libri di storia della letteratura.
Albert Hofmann nel 1938 lavora nei laboratori Sandoz alle molecole estraibili dall’ergot, parassita della segale cornuta; sta cercando di isolarne i principi attivi con proprietà ecboliche e analettiche. Analizza, sintetizza, classifica. Cinque anni dopo riprende uno dei composti isolati, la dietilamide dell’acido lisergico, numero di catalogazione 25, LSD – 25. È un venerdì pomeriggio; torna a casa in bicicletta ed è ¬durante quel viaggio che nasce il suo bambino difficile. Ecco le prospettive: nel 1943 l’LSD è solo un composto indolico derivato dall’acido lisergico, una formula di struttura delle tante di cui si cerca di comprendere il potenziale terapeutico e che rivela proprietà psicoattive. Trent’anni dopo (1967) l’LSD diventa nemico della società per bene e il governo degli Stati Uniti lo mette addirittura al bando. Il racconto di Hofmann inizia dalla sintesi in laboratorio e spazia fino alle sue, personali, considerazioni finali, più o meno condivisibili con derive nel misticismo, e del ruolo delle droghe sacre nella storia dell’umanità, passando per l’incontro con gente più o meno comune, per la conoscenza di Timothy Leary, per il carteggio con Jünger e la morte di Huxley. Il suo racconto è un esempio della molteplicità di prospettive con cui si può decidere di osservare la realtà. Esiste la scienza, la materia che è oggettiva e non è di per sé suscettibile di giudizio; può esserlo cosa ne deriva, quello che chi la manipola decide di farne ma anche cosa scaturisce dall’uso della materia finisce con l’assumere una molteplicità di interpretazioni prospettiche. Emblematico che il filo del ragionamento si basi sulla storia di una sostanza che agisce direttamente sulla percezione, sull’alterazione del rapporto ricevente – trasmettitore, uomo – natura o, più complessivamente, con la realtà.
L’effetto psicoattivo dell’LSD non è una novità (eccetto per l’efficacia di dosaggi bassissimi), derivabile da tanti altri composti presenti in natura, forse già inconsapevolmente conosciuto nell’antichità classica nelle celebrazioni dei Misteri Eleusini. Quindi dove stanno le ragioni del suo “successo”? Qui Hofmann si interroga cercando radici profonde, domandandosi se l’evasione nella sinestesia della percezione (si, tutto sommato perché non considerare quello che banalmente viene chiamato trip da acido sinestesia della percezione?) non abbia un senso più ampio individuabile nell’esigenza del superamento del conflitto che vive l’uomo dominatore della natura verso la natura stessa e rispetto alla quale la condizione di dominio (avvertita effimera e infondo solo illusoria) lo rende partecipe ma estraneo. Nell’antichità e nelle culture definite primitive l’uso di erbe e sostanze psicoattive era appannaggio di pochi eletti, aveva valore sacro ed era considerato il tramite tra la divinità e chi tra gli uomini la divinità delegava. La divinità era quasi sempre rappresentazione delle forze naturali o ragione delle emozioni umane. Negli anni ’60 LSD, mescalina, psilocibina e psilocina diventano insieme ad altre categorie di sostanze simbolo di contestazione. Ma contestazione fino a che punto? Non si trattava piuttosto di un mancato riconoscimento in un sistema, dell’urgenza di frattura da qualcosa di cui si è parte ma di cui non ci si sente parte? Ma anche l’idea di una consapevolezza reale è un falso mito che si dissolve nella singolarità delle esperienze, spesso nell’assenza di coscienza che abdica al desiderio di appartenenza o semplicemente alla curiosità.
E poi cos’è quella soluzione di continuità tra la materia, lo spazio fisico in cui essa agisce e la percezione, l’azione mentale? I dubbi di un padre sugli effetti dell’azione di un figlio con tante ombre sulla psiche. È possibile che la materia agisca sulla mente? Se è possibile deve esistere un meccanismo indagabile e quella linea d’ombra ha la potenza indiscussa della fascinazione ma anche dell’orrore. Così scopriamo i primi passi dell’Lsd in psicoterapia (le teorie terapeutiche della psicolisi e della psichedelia), uno Jünger affascinato dall’alterazione delle forme e dei colori, dal simbolismo e la visione estetica dell’alterazione psichica sotto effetto di LSD e un Huxley attento alle implicazioni individuali e collettive ma anche uomo che, consumato dalla malattia, sceglie queste come ultime parole da scrivere: “LSD – provalo intramuscolare 100mg”.