Foodies 2013, la Guida al cibo per passione e piacere

Giulia Siena
ROMA
– “Come si chiama questa guida? Foodies… Cibo?… Tre anni fa quando ha visto la luce la prima edizione, nonostante sulla carta i foodies fossero già oltre cinque milioni, le idee, almeno nel nostro Paese, non erano chiarissime.” Ma a dimostrazione che le cose stanno cambiando ci sono le 350 pagine di Foodies 2013, la guida fuori dagli schemi presentata dal Gambero Rosso. Per questa terza edizione, curata da Laura Mantovano, sono 38 i locali contraddistinti da una stella e che incarnano, quindi, lo stile foodies; 10 quelli che tra tutti hanno riscosso le maggiori preferenze da parte di una giuria di esperti; oltre 50 itinerari box e pagine di approfondimento per un totale di circa 1200 indirizzi gourmet in tutta la Penisola. Il primato 2013 spetta alla regione Lazio che con ben 127 locali in guida stacca di molto Campania (con 86) e Toscana (con 80).

Ma Foodies 2013 è molto altro: oltre a essere una guida “strana”, è il vademecum dedicato a chi del cibo non ha fatto una sua professione, a chi per il cibo nutre passione vera, a chi è curioso e vuole chiedere sempre, agli “avventurosi” dei sapori veri che non si spaventano davanti alle distanze e al tempo perché c’è sempre qualcosa da scoprire. Non si assegnano voti ma vengono selezionati rigidamente i locali in partenza con gli esperti foodies che girano per l’Italia alla ricerca di luoghi e persone che valorizzano senza preconcetti il territorio. Dalle piccole aziende che regalano gioie al palato con i loro prodotti esclusivi ai ristoranti che danno vita a una cucina intelligente e viscerale, dal casaro sperduto tra i monti all’alta gamma dell’Ipercoop, perché il buono può essere ovunque e il vero foodies non si ferma davanti a nulla per scovarlo.

Foodies libera da classifiche, si diverte a scorazzare lungo il nostro territorio per mettere in fila un indirizzario a prova di vero appassionato. E dato che il termine foodies sta sempre più diventando un codice identificativo, la guida Foodies 2013 entra ancora di più nel dettaglio della ricerca della qualità, focalizzando l’attenzione soprattutto sull’origine del prodotto.

Per l’edizione 2013, ogni regione è introdotta da un testimonial d’eccezione (un giornalista, un attore, un regista, un imprenditore, uno sportivo) che svela i suoi luoghi del gusto. Si sono divertiti a raccontare  il loro amore per la cucina e a svelare i loro luoghi foodies: Giuliana Rosset, Bob Noto, Donatella Bianchi, Lella Costa, Alberto Faustini, Giuseppe Battiston, Renzo Rosso, Umberto Brindani, Carlo Conti, Elisa di Francisca, Filippa Lagerback, Fausto Brizzi, Juri Ferri, Marina Colonna, Marisa Laurito, Arisa, Renzo Arbore, Carmine Abate, Beppe Fiorello, Stefania Pinna.

“Non sono un fottuto giornalista eroe” – un detective un po’ sgangherato

Marianna Abbate
ROMA – Piccola premessa: seppure non si tratti di un giallo canonico, questa recensione potrebbe contenere spoiler (NdR). Tutta tinta di giallo la copertina del libro di Antonio di Costanzo, ci fa ingiustamente associare questo libro ai classici gialli da edicola. Ma “Non sono un fottuto giornalista eroe”, edito da Cento Autori, sfugge a queste classificazioni estemporanee, ritagliandosi un posto tutto suo nel panorama letterario.

Si tratta di un romanzo, certo, ma non segue i canoni del giallo classico. Il protagonista, che dovrebbe svolgere il ruolo di detective amatoriale, non ha nulla del Poirot di Agatha Christie, e non assomiglia neanche al Watson, fedele amico di Holmes. Iacopo Fernandez è alla seconda avventura da detective ( la prima è stata raccontata nel libro “Volevo solo svegliarmi tardi la mattina” che devo assolutamente rimediare). Non è dotato di spirito di osservazione, né di grande intuito. Non ha la pazienza di studiare 675 tipi di tabacco diversi e neanche le conoscenze di chimica per farlo. Scopre le cose per il semplice motivo che gli vengono dette dalle persone più strane, che per un qualche motivo inspiegabile lo trovano simpatico. Persino il vicecapo della polizia, che odia notoriamente tutti i giornalisti, lo ha preso a benvolere.

Si trova, suo malgrado, in mezzo a una storia più grande di lui, nonostante tutti i tentativi a sfuggire alla realtà che lo circonda con “litrate” di alcolici che si versa in gola a ogni ora del giorno e della notte.

Il caso criminale, che vede coinvolta la morte di un clandestino cingalese, passa in secondo piano. Il crimine si trova sullo sfondo di questo libro che non è altro che un ritratto di parole di un personaggio molto ben costruito ed interessante. Tant’é che alla fine scopriamo che (ATTENZIONE SPOILER) a compiere l’omicidio sono state persone completamente slegate alla storia e mai nominate prima nel romanzo. Quindi non c’è nessun processo deduttivo, nessuna osservazione di una mente superiore: niente di niente. (FINE SPOILER)

E allora perché leggere questo libro? Vi assicuro che ci sono motivi validissimi.

In primis è scritto molto bene, un italiano di qualità di chi non si improvvisa scrittore dal giorno alla notte; il protagonista è interessante come vi ho già accennato, e speriamo di ritrovarlo in altre avventure, anche perché trovo che questo più che un romanzo sia un racconto lungo (signor Di Costanzo ci faccia una bella raccolta con almeno tre avventure e saremo felici).

Inoltre, il mondo raccontato somiglia tantissimo a quei sogni di giornalisti, cui piacerebbe moltissimo trovarsi per caso coinvolti in complicate storie dalle quali uscirebbero eroicamente vittoriosi, con al fianco una bella donna e prime pagine sui quotidiani a loro dedicate.

Non sono un fottuto giornalista eroe” ha qualcosa di Hemingway qualcosa di Bukowski e moltissimo dei corsi di scrittura creativa. Un linguaggio semplice, chiaro e affascinante.

Unica pecca? Un po’ troppi titoli di canzoni radical chic. Perdonabile.

 

 

“Tutti dicono Maremma Maremma”, una terra che soffre e lavora.

Giulio Gasperini
AOSTA – La Maremma è terra contadina. Un luogo faticosamente e ostinatamente sottratto alle acque stagnanti e malariche, bonificato da una palude arida e sterile. La Maremma è terra che conosce il sudore del duro lavoro e sa la fatica della privazione e dell’importanza vera. Venti scrittori italiani, da Lidia Ravera a Nadia Fusini, da Daniela Marcheschi a Clara Sereni, da Giuseppe Pontiggia a Ugo Riccarelli ne raccontano gli abitanti e gli umori, le storie e le sofferenze in venti storie, raccolte nel volume “Tutti dicono Maremma Maremma”, edito dalla piccola Edizioni Effigi di Arcidosso (Grosseto), nel 2010.
I racconti sono tante angolazioni prismatiche che illuminano e colorano una terra da sempre ai margini dell’economia e della cultura italiana ma che alimenta potenzialità immense e dà vita a un’umanità contagiosa e contagiante. Non esiste la Maremma senza l’agricoltura, la coltivazione di viti e ulivi, di ombrosi boschi di castagni e immense distese di dorato grano, di sterminati campi di girasoli e bassa vegetazione che si specchia nel tosco mare. E tutte le storie hanno questi, come setting privilegiati. Giuseppe Pontiggia racconta la storia della scoperta del Morellino, bevuto quasi per caso in una dimessa osteria del grossetano; Guido Conti ci presenta la figura leggendaria di Tiburzi, il più famoso brigante che operava in queste distese alla fine dell’800; sulle leggendarie strade del tufo, con destinazione le splendide Pitigliano, Sorano e Sovana, ci guida Andrea Carraro, mentre Laura Bosio ci commuove con la storia di altre anonime persone, impiegate nell’altra attività che per anni caratterizzò l’economia della zona: l’estrazione di pirite e carbone, sui quali anche Luciano Bianciardi e Carlo Cassola scrissero un’indagine cruda e spietata all’indomani della tragedia di Ribolla che, nel 1954, costò la vita a 43 minatori. Bianca Garavelli ci presenta una delle meraviglie naturali della zona, il vecchissimo Olivo della strega, mentre Carlo D’Amicis dipinge la crudeltà dei rapporti, quando un fraintendimento può costare la vita. In tutti i racconti casolari e poderi, cavalli e butteri, olio e vino, raccontano storie di lotte e giorni da conquistarsi coraggiosamente, uno dopo l’altro, inanellati come grani di un rosario; giorni strappati alla furia del tempo e del lavoro, giorni da riempire e significare con la costanza di mestieri antichi, che si sottomettono al ciclo delle stagioni e che ne assecondano le pieghe, senza pretendere di deviarle o corromperle.
La Maremma è una terra di uomini ruvidi, di duro lavoro, di mani callose; ma anche di occhi chiari, puliti di vento; occhi che si addolciscono al profilo delle colline, che si indorano al sole della sera; occhi che conoscono l’orizzonte ma non lo bramano, contenti di contemplare il limitare del campo, lo scorrere del fosso, il frusciare delle foglie, il maturare di un frutto, l’esplodere di un colpo di fucile. La Maremma è una terra caparbia e ostinata; una terra che sa soffrire e rifiorire. Anche quando l’acqua sale, travolge e distrugge tutto.

Un libro e gli scaffali. L’editoria scolastica.

Alberto Gobetti
TIRANO –
Si accennava alle rese. I lettori sanno certamente che il mercato librario si fonda sulla possibilità di rendere al grossista o al distributore parte degli invenduti. Il senso di tale prassi è evidente: essa riduce il rischio magazzino, ne ottimizza il giro e contiene l’esposizione finanziaria delle librerie. Per i libri scolastici questo sistema non funziona. O, meglio, funziona in modo assurdo. Si consideri, ad esempio, che le case pretendano la resa degli eserciziari scolastici estivi entro il 15 giugno – a due giorni dalla fine della scuola, cioè ancor prima che la maggioranza di loro li abbiano prenotati! E si consideri che per i libri scolastici, la data tassativa di resa è fissata entro e non oltre la settimana successiva all’inizio della scuola (quando il 30/40% dei libri deve ancora venir consegnato). Infine, le rese non vengono accreditate in un tanto da spendere per l’acquisto di altri libri, magari sulla stagione successiva, bensì in un certo numero di – spesso invendibili – vocabolari, dizionari, o testi tecnici dal valore di mercato assai aleatorio (il che fra l’altro spiega come mai le grosse librerie scolastiche, tipo Libraccio, o le librarie online, offrano alla loro clientela sconti del 30 e fino del 50% sull’acquisto di questi strumenti di supporto).
Ma il non senso più rilevante si sconta altrove, nel fatto che la gran maggioranza dei distributori chiude i battenti per ferie dalla seconda e fino a tutta la quarta settimana di agosto! E’ probabile che parte di questo lungo periodo serva alle case editrici per recepire gli ordini, lavorarli ed organizzare al meglio la distribuzione della merce fra le varie sedi dei loro magazzini regionali. Eppur tuttavia tale pratica di chiusura prolungata contribuisce ad ingolfare, ed in maniera sensibile, la consegna ai consumatori finali, che viene costretta nei ristrettissimi tempi compresi fra la fine di agosto e giorni di inizio della scuola. Inoltre, essa non è in grado di evitare – anzi, semmai aggrava – i ritardi di consegna dei libri. Nella mia zona, ad esempio, Zanichelli non ha ancora completato la consegna di quasi la metà dei testi in ordinativo (siamo al 2 ottobre). Non sono in grado di dire quale ne sia la cagione; va però osservato che le case editrici scolastiche proporzionano la tiratura dei testi alle adozioni segnalate dai loro promotori, preventivandone comunque un quantitativo più basso della prevista necessità – e ciò allo scopo di evitare invenduti. Ristampe suppletive soccorrono dunque al bisogno, ma non possono impedire la formazione dei ritardi che, se non sono troppo malviste dagli studenti, fanno però molto arrabbiare le loro madri.

Le professioni amiche dell’ambiente in “Guida ai green jobs”


Silvia Notarangelo

ROMA – Il monito lanciato poco tempo fa, “50 mesi per salvare il pianeta”, fa davvero paura. Perché non si tratta di uno dei tanti allarmi, purtroppo, sistematicamente ignorati (o quasi). È un vero e proprio ultimatum, un grido disperato per scongiurare un pericolo che si fa sempre più concreto e drammaticamente vicino. La terra è arrivata al limite. Mai come ora, occorre intervenire e farlo al più presto, perché il sistema si sta rapidamente avviando al collasso. La questione ci coinvolge tutti da vicino, ognuno con il proprio bagaglio di piccole o grandi responsabilità. L’attenzione e l’interesse per il tema devono essere alti. Per fortuna, opportunità concrete e progetti importanti non mancano, come emerge anche dall’interessante ed accurato saggio “Guida ai green jobs”, scritto da Tessa Gelisio e Marco Gisotti per Edizioni Ambiente.
Un testo prezioso, un’analisi ampia e articolata che si avvale dei numerosi contributi raccolti dai due autori e che abbraccia moltissimi comparti produttivi: dalle energie rinnovabili alla mobilità sostenibile, dall’ecofinanza alla green fashion. Attraverso le risposte di imprenditori ed esperti del settore, si delinea un profilo dettagliato della green economy italiana: che cosa significa oggi puntare sul verde, quali sono i profili professionali più ricercati, quali le sfide da affrontare e gli aspetti da migliorare. La parola d’ordine è efficientamento, ovvero “riduzione dei consumi energetici e più in generale di materie prime, ottimizzazione dei processi produttivi, creazione di modelli di consumo e risparmio”.
Una riflessione, però, è d’obbligo: se alcuni settori, come quello edilizio e chimico, fanno registrare incoraggianti segnali positivi, in tanti altri siamo appena all’inizio di un percorso lungo e certamente non facile, che necessita di scelte coraggiose e di nuove professionalità. E allora, di che cosa devono occuparsi e quale formazione è più indicata per quanti intendono intraprendere un lavoro green? Tra professioni ormai diffuse e consolidate, si inseriscono alcune interessanti novità. Per gli amanti del mare, si può contribuire attivamente alla salvaguardia del Pianeta in veste di bagnini sostenibili. Ma ci sono buone prospettive anche per amministratori di condominio con il pallino della sostenibilità, per ecovigili, disaster manager, wedding planner sensibili all’ambiente e al portafoglio.
Dunque, come dimostrano i due autori, le possibilità sono numerose. L’importante, ora, è prestare attenzione affinché “l’onda verde che sta spazzando il paese non si infranga contro interessi antichi e una politica cieca”.

Carthusia: “Io ricordo. Se le molecole potessero parlare racconterebbero questa storia”

Giulia Siena
ROMA –  “La chimica è la lingua in cui si esprime il mondo delle cose. Le sue lettere sono gli elementi che circolano sulla Terra: idrogeno, ossigeno, carbonio, e così via. Se unisci questi elementi, formi le molecole, che a loro volta formano le rocce e l’aria, i fiori e i loro profumi, e tutto quello che esiste, vivo e inanimato, e che ora sarebbe troppo lungo da elencare qui”. Tutto comincia con una scintilla proveniente da ogni parte del Cosmo; la luce forma una piccola spirale che si lascerà ricordare nei millenni. E’ “Io ricordo”, il libro con i testi di Sabina Colloredo e le illustrazioni di Annalisa Beghelli pubblicato da Carthusia.

Apriamo il magnifico albo illustrato ed entriamo nella scienza. Infatti, la chimica è nella vita di tutti giorni: è nell’aria che respiriamo, è nell’acqua che beviamo, è nei castelli di sabbia che costruiamo e nel gelato alla vaniglia che mangiamo.
La chimica è nel nostro mondo, è in noi. Per questo è facile per la bambina dai riccioluti capelli biondi spiegare al protagonista che la chimica si può amare, allo stesso modo in cui si amano le persone. I due bambini si incontrano su una spiaggia; lui è felice di aver compiuto 9 anni – l’età che lo conferma un giovanotto – e lei è alle prese con una gara di castelli di sabbia. Lei ha una spiccata parlantina e un amore incondizionato per la chimica. Sì, proprio quella materia che a scuola annoia gli alunni e sembra non abbia alcuna utilità al di fuori dei banchi scolastici. Ma la chimica è in tutto e, dal loro incontro, fino alle peripezia negli anni per ritrovarsi, i due protagonisti ne sono affascinati.

15-18 novembre 2012: a Pescara il Festival delle Letterature dell’Adriatico

PESCARA – Tutto pronto per la decima edizione del Festival delle Letterature dell’Adriatico. Da giovedì 15 a domenica 18 novembre, Pescara sarà la capitale di un Festival che conta oltre 70 appuntamenti per bambini e adulti.
Grandi ospiti, cinque sezioni, due performance teatrali e un concerto, sono il biglietto da visita della decima edizione del Festival delle Letterature dell’Adriatico. Quattro giorni in cui il cuore di Pescara, il centro storico della città affacciata sull’Adriatico, proporrà incontri – tutti gratuiti – con scrittori, fumettisti, giornalisti e autori per bambini, in un vortice emotivo che si verrà a creare tra Auditorium Petruzzi, Circolo Aternino e la Casa natale di Gabriele d’Annunzio.

«Una novità interessante – spiegano l’ideatore del Festival Giovanni Di Iacovo e il direttore artistico Vincenzo D’Aquino – sarà quella costituita dagli incontri frontali della sezione “La Cultura e le città”, nata per stimolare riflessioni e spunti su un rapporto nuovo tra la cultura e le istituzioni, iluoghi, le scuole, le imprese e gli abitanti di una città. Saranno tre contributi di pensiero: il docente universitario Pierluigi Sacco interverrà venerdì 16, il giornalista de “La Stampa” Massimiliano Panarari sabato 17 e il docente de “La Sapienza” Carlo Donolo domenica 18 novembre».


Il Festival si aprirà il 15 novembre alle 17.00 presso il Città Sant’Angelo Village con la cerimonia di premiazione del contest letterario “Love me do”. Il contest ha visto la partecipazione di 428 racconti, di cui 246 per la nuova sezione Progetto scuole.
Venerdì 16 novembre all’Auditorium Petruzzi spazio a Daria Bignardi, autrice e conduttrice televisiva, che presenterà al pubblico il suo nuovo romanzo. Nella stessa location, ma nella giornata di domenica 18, grande attesa per l’incontro (ore 19) di Erri De Luca con i lettori.
Domenica, poi, spazio alla musica con il Premio Torri Camuzzi 2012 alla giovane Simona Molinari, una delle voci più belle del jazz e del pop d’autore italiano, che per l’occasione si esibirà in una tappa del “Sola me ne vo’ in tour” al cinema teatro Massimo alle 21.00 in collaborazione con l’agenzia “Events 365 pro&motion” (prevendite nel circuito Booking Show).
Due saranno anche le performance teatrali previste quest’anno: “Il lavoro rende liberi”, portato inscena venerdì 16 novembre alle 21,15 dal giornalista Daniele Biacchessi, vice caporedattore di Radio24-Il sole 24 Ore e interprete di teatro civile; e “Memorie di Adriano”, sabato 17 novembre,sempre alle 21,15, ad opera della compagnia abruzzese Teatro Immediato.
Tra le novità di quest’anno c’è la sezione “Un grande paese”, coordinata dal giornalista Luca Sofri, fondatore e direttore della testata on line “Il Post”, in cui si parlerà di com’è diventata l’Italia e di come potrebbe diventare. Concita De Gregorio sarà un’ospite di spicco nella giornata di sabato.

Carlo Bonini (La Repubblica), Marco Imarisio (Corriere della sera), Mattia Feltri (La Stampa),Marco Simoni (London School of Economics), Sofia Ventura (Università di Bologna), Makkox (Il Post), saranno solo alcuni dei nomi presenti alla X edizione del Festival delle Letterature dell’Adriatico.
La nuova sezione “Giovani e Lavoro”, realizzata insieme alla CGIL Pescara, ospiterà occasionidi riflessione sull’attualità tramite delle novità editoriali, come il libro “Morti bianche”, scritto dalla giornalista abruzzese Samanta Di Persio (prefazione di Beppe Grillo), o come “La rivolta dei migranti” di Vittorio Longhi, o il romanzo in versi di Francesco Targhetta “Perché veniamo belli nelle fotografie”, o il “diario tragicomico del giornalista precario” Antonio Loconte “Senza paracadute”.
Cresce per questa edizione la sezione kids “Tante storie per giocare”, che, grazie alla collaborazione dell’associazione Movimentazioni, dal 15 al 18 novembre propone laboratori e incontri formativi per bambini ed educatori dell’infanzia principalmente nella sala Favetta del Museo delle Genti d’Abruzzo, mattina e pomeriggio: tra gli appuntamenti il workshop di domenica 18 alle 16.00 con il paper-engineer Massimo Missiroli, che insegnerà a costruire libri pop-up, e quello di sabato 17 alle 18.00 all’auditorium Petruzzi con Bruno Tognolini, creatore delle trasmissioni Rai “Melevisione” e “L’albero azzurro”.
Per la sezione Abruzzo L.O.C. (Letteratura di Origine Controllata) sono previsti oltre 20 incontricon autori abruzzesi grazie all’interazione con alcune case editrici del territorio, mentre tragli eventi collaterali tornano le cene letterarie, ogni sera in convenzione con alcuni locali delcentro storico; gli aperitivi letterari dal 16 al 18 novembre alle 19.00 nel Circolo Aternino,quest’anno in collaborazione con la Cantina Citra Vini e preceduti da incontri tra letteratura edenogastronomia in collaborazione con C come magazine, come quello con la sommelier AduaVilla venerdì 16 novembre alle 18; e la mostra di fumetti “Da grande”, a cura della “ScuolaInternazionale di Comics” di Pescara, che animerà il Circolo Aternino mettendo a confrontoi disegni dell’adolescenza di alcuni dei maggiori fumettisti italiani con quelli della maturitàprofessionale.

Alcuni appuntamenti fuori sezione sono quelli con gli autori Paola Maugeri, Daniela Farnese e Filippo La Porta; durante i giorni del Festival sarà infine attiva una raccolta libri per la piccola biblioteca solidale donata da Marifarma al reparto di chirurgia pediatrica dell’ospedale civile di Pescara.

Il Festival delle Letterature dell’Adriatico è organizzato dall’associazione culturale Mente Localee gode del sostegno del Comune di Pescara e della Presidenza del Consiglio della RegioneAbruzzo. Main sponsor è il Città Sant’Angelo Village; partner sono Progeco, Marifarma e Citra;partner tecnici La Feltrinelli e la Scuola Internazionale di Comics. Media partner del Festival sonoIl Post, Il Centro, Intercity Magazine, Radio Studio 5 e C come magazine. La sezione infanzia è realizzata dall’associazione Movimentazioni e dal Book Caffé Primo Moroni, con la collaborazionedelle associazioni Eclamé e Nati per leggere, Cuspds Università d’Annunzio.

Scarica QUI il Programma della manifestazione.

Dalla realtà al palcoscenico. Adriano Marenco racconta “Il pasto degli Schiavi”

Alessia Sità

ROMA – Dopo il romanzo breve “La palude e la balera”, Adriano Marenco racconta ai lettori di ChronicaLibri la sua ultima fatica letteraria: la piéce teatrale intitolata “Il pasto degli schiavi”. Il lavoro appartiene alla collana teatrale, “Scenamuta” edita da Edizioni Progetto Cultura, della quale l’autore si occupa come direttore artistico.
Come nasce “Il pasto degli Schiavi”?
In gran parte per caso. Una di quelle situazioni che non sai mai dove finisce la casualità o dove comincia il destino. Dovevo fare un altro spettacolo. Già si era avanti con le prove. Un paio di settimane prima della prima l’attrice ha dovuto rinunciare. Ovviamente è stata bruciata viva. Insomma mi trovavo solo con l’attore. Allora ho cominciato a rielaborare il pezzo per farne un monologo. Provare a salvare capra e cavoli. E mi sono trovato in mano un testo che raccontava tutto quello che sentivo di dover dire sul tema del potere in quel momento. Ma quel momento è valido in ogni tempo. È stata un’esplosione. Ha letteralmente fatto bum. È sgorgato. Tutto il sedimentato interiore di anni è traboccato fuori. Non vedeva l’ora. Come punti riferimento, oltre a quello evidente, ci sono Trujillo, Caligola e Sarah Kane, Thomas Bernhard, Ho cercato di dire tutto quello che avevo sullo stomaco. E’ un monologo forte condensato, tra la preghiera e l’imprecazione.
La condizione di degrado esistenziale descritta in questa piéce si riallaccia in qualche modo alla condizione disumana ampiamente affrontata nel tuo romanzo breve “La Palude e la Balera”?
Il potere è il pasto degli schiavi, esattamente come il cecchino il pasto dei resti umani della palude. In un qualche modo il potere e il cecchino sono due facce della stessa medaglia. essi sono il padrone di quegli altri. Ma in fondo quegli altri lo vogliono. Non saprebbero farne senza. Questo degrado che tu dici è il tessuto del nostro tempo. Quindi è inevitabile che si rifletta nei miei scritti. Il pasto è una vivisezione del potere e soprattutto, e questa è la parte che più mi inquieta, di come il potere sia in qualche modo, oscuro ma imprescindibile, contagioso. Di come il carnefice si attacchi dentro di noi. Per attrazione. Il potere che ci marcisce dentro richiama e vuole quello esterno. Siamo noi che lo cibiamo. Siamo noi che ci cibiamo.
Qual è il vero significato del continuo gioco di buio e luce?
Il gioco buio-luce è solo un entrare e uscire dalle sbarre e da noi stessi. E’ un altro modo per indicare lo scambio tra due cause ed effetti che non possono fare a meno l’un dell’altro. Insomma il carnefice non esisterebbe senza la vittima e viceversa.
Come mai hai scelto il genere del monologo e non hai optato per un faccia a faccia fra il potere e gli schiavi?
Servivano due attori per un faccia a faccia! La verità è che avrei potuto usare uno specchio. Anzi potrebbe essere un’idea per un prossimo allestimento. Il potere è lo schiavo e viceversa.
Perché proprio il potere? Pensi che sia quello il vero male della nostra società?
Il potere non è il problema principale. Il potere è. E’ ineludibile. È le fondamenta della nostra civiltà.
L’uomo in gabbia è la metafora di chi si rinchiude nel proprio apparente benessere protetto dalla ‘sporcizia’ sociale o è il vero ‘schiavo’ del potere che non ha il coraggio di ribellarsi alla logica di un sistema corrotto e spietato?
La gabbia deve permettere di uscire. Le sbarre non possono essere troppo strette. Perché il potere non è ingabbiabile. Lui è talmente forte che può tranquillamente affermare che è lui che si protegge, ma ovviamente come lui può uscire gli altri possono entrare. Egli però è talmente convincente che lui può uscire ma gli altri non arrivano all’evidenza di poter entrare. Lui è già dentro di noi. Così come la sporcizia  fuori è lui stesso. Pervade ogni cosa. Stiamo parlando in un certo modo, evidentemente, di dio. Di una proiezione distorta e ingannevole. Come le scimmie. Credo siano l’imitazione trionfante della vita. Sfacciate. Pulciose. Orgogliose di esserlo. C’è in effetti un mucchio di ciccia al fuoco.
Progetti per il futuro?
Tra pochi giorni andrà in scena un mio testo nuovo, “Jansi, la Janis sbagliata”. Un monologo quasi cantato su Janis Joplin. E dato che non sia mai che faccio qualcosa appetibile al pubblico, è senza neanche una canzone. In compenso è davvero una partitura per voce e basso. È praticamente un concerto. Un concept album di interiora di Jansi. Quando seguo le prove lo faccio ad occhi chiusi. Muovendomi come ballassi dentro. Meglio solo dentro che sono una frana. Mi preme per chiudere, dire che “Il pasto degli schiavi” è il primo numero di una collana teatrale della quale mi occupo come direttore artistico. “Scenamuta” edita da Edizioni Progetto Cultura. Sono già stati pubblicati talenti veri del teatro. Affermati e altri nascenti come Fabio Massimo Franceschelli con “Veronica”, Dario Aggioli con “Autore chi guarda” e Silvia Pietrovanni con “Bada-mi”.
Tre parole per definire “Il pasto degli Schiavi”?
Le scimmie scorrazzano.

 

“Ascoltare, capire, emozionarsi, sentirsi infiniti e parte del tutto: questo è Charlie”

Michael Dialley
AOSTA –
“Caro amico, ho deciso di scriverti perché ho sentito dire che sei uno che ascolta e che capisce […] OK questa è la mia vita. E desidero che tu sappia che sono felice e triste al tempo stesso, e che sto cercando di capire come ciò sia possibile”. Così inizia il romanzo di formazione “Ragazzo da parete” edito da Frassinelli nel 2006, che Stephen Chbosky propone sottoforma di raccolta epistolare e che tra pochi mesi uscirà nelle sale cinematografiche italiane, con il titolo di “Noi siamo infinito”.
Tante lettere destinate ad un “caro amico”, scritte da Charlie, un ragazzo appena entrato al liceo, un ragazzo che inizia a conoscere la vita dei grandi, confrontandosi con l’amore, i problemi adolescenziali, i sentimenti e le emozioni, nei tempi dei primi anni ’90. Colpisce fin dalla prima pagina la storia di questo ragazzo, perché forse tutti, almeno una volta, ci siamo sentiti “ragazzi da parete”, anche se lui lo è stato per gran parte del primo anno di liceo. È il confidente perfetto: ricorda tutto ciò che vede e gli viene raccontato, soffre con gli altri, non per gli altri; gioisce con gli altri, non per gli altri. Scopre il suicidio di un amico che lo sconvolge, ma cerca di capirne i motivi; scopre la violenza di un ragazzo verso la sorella, ma mantiene questo segreto per molto tempo e non tradisce le persone cui vuole bene, siano segreti belli o brutti; scopre il sesso, eterosessuale, grazie a un ragazzo della scuola, poi grazie a sua sorella; conosce la realtà omosessuale, che accetta, anzi si dimostra molto comprensivo ed emotivo.
Il romanzo procede piano piano, lettera dopo lettera, confessione dopo confessione e ci fa conoscere questo ragazzo, che non riesce ad essere “presente” nella vita. Il professore d’inglese e la ragazza di cui Charlie è innamorato sono le uniche due persone che riescono a capire questo adolescente: Bill, il professore, lo sprona a diventare protagonista della propria vita e della vita sociale e gli affida compiti extra che consistono nella lettura di libri. “Sulla strada” di Kerouac, “Di qua dal paradiso” di Fitzgerald, “Il buio oltre la siepe” di Lee, “Amleto” di Shakespeare, “Il giovane Holden” di Salinger, “La fonte meravigliosa” di Ayn dovrebbero aiutarlo a rendersi conto di quanto sia intelligente e speciale; peccato, però, che Charlie non se ne renda conto. Accetta passivamente questi lavori, assimila altrettanto passivamente gli insegnamenti di questi libri senza ragionarci e rifletterci, come vorrebbe il professore. Sam, invece, la ragazza che Charlie ama, che gli dice di non pensare a lei come ragazza da poter amare, e che alla fine dell’anno scolastico rivela a Charlie il significato di quella frase: non era un rifiuto, bensì voleva essere un aiuto a vivere la propria vita, ad agire per assecondare quell’istinto, a fare ciò che crede sia giusto senza pensare a cosa vogliono le persone intorno a lui. Solamente nelle ultime due lettere, però, il lettore comprende quale grande macigno sia dentro Charlie: le molestie sessuali di una zia defunta. Ecco che cosa blocca Charlie nei rapporti con le ragazze, ecco il suo amore verso la zia morta che non era un amore di nipote verso la zia, ma un amore disturbato, distorto e, forse, imposto. Da qui Charlie ricomincerà la sua nuova vita: il romanzo, infatti, si chiude con il suo primo giorno del secondo anno di liceo. Questa volta, però, Charlie non ha più paura di affrontarlo, anzi: a testa alta si appresta a questa nuova avventura, circondato dalle persone che ama e che lo fanno sentire amato.
Oggi ci sono i social network che rendono i ragazzi più aperti; riescono, nascondendosi dietro a un profilo virtuale, a dire ciò che sentono, ciò che vedono, attraverso link, chat, tweet. Fino a qualche anno fa era diverso, tutto era più personale, solitario, ma sicuramente era vissuto in maniera più forte e sconvolgente e si capiva, si cresceva consapevoli di cosa fosse la vita vera.

Via col vento. Domani è un altro giorno!

Marianna Abbate
ROMA – Tara, il caldo, la polvere e la guerra. Un amore enorme, infinito. Un’illusione.

Chi non ha sognato di essere Scarlet O’Hara- Rossella? E soprattutto, chi non ha visto il film con Vivien Leight e il Clooney degli anni ’50: Clark Gable? (Sono d’accordo con voi: era meglio Gable, non vi agitate).

Film indimenticabile, campione d’incassi e di Oscar,  che io ho visto per la prima volta solo qualche mese fa. E ora vi spiego perché.

Ero sempre la teenager brufolosa e nasona che tutti sfottevano, e amavo i libri. Li amavo tanto da disperarmi ogni volta che ne finivo uno. Per questo ho cercato assiduamente libri lunghi, libri oltre le 500 pagine, per rimanere più a lungo possibile in contatto con quei protagonisti che avevo appena conosciuto, e che spesso sparivano dalla mia vita dopo sole 150 pagine di lettura vorace. Che tradotto in tempo spesso era quantificabile in una singola nottata insonne.

Io invece avrei voluto rincontrarli la notte successiva, discutere di quelle cavolate dette a pagina 75, di quel pugno tirato a pagina 120 e di quei tradimenti a pagina 132. Così mia madre, dopo avermi proposto di leggere l’elenco telefonico della città di Roma, che sicuramente sarebbe durato qualche giorno, tirò fuori da una valigia in soffitta cinque libri, che si rivelarono tomi di un’opera unica: Via col vento di Margaret Mitchell.

Sono state le due settimane più belle della mia vita. Ne sono uscita ancor più brufolosa, con un aspetto cadaverico e due occhiaie nere, ma ne è valsa la pena. Ma questo libro mi ha segnato. Mia madre e le amiche spingevano affinché vedessi il film, e io rifiutavo categoricamente.

Non avrei potuto assolutamente rivivere quei momenti di guerra, l’uccisione dello yankee, la morte della mamma, la perdita di casa, la perdita dell’amore. Quell’amicizia falsa con la santa e buona Melania. Quel riconoscere piano piano di aver avuto sempre torto in tutto, che Ashley non era l’Amore e che Rhett se ne era andato. Quella falsa speranza del giorno dopo all’ultima riga. La disillusione.

Ci sono voluti quindici anni perché quelle sensazioni si placassero e io potessi desiderare di riviverle guardando il film. Se non l’avete visto, fatelo subito.

Libro e film sono bellissimi, banalmente bellissimi. Stupendi, meravigliosi, fantastici: suggeritemi altri sinonimi nei commenti perché ho finito i superlativi, ma non ho finito l’entusiasmo. Andate, smettete di guardare sottecchi quel macaco che avete accanto e innamoratevi di un uomo vero: Rhett Butler.

E’ finto, dite? Beh, nessuno è perfetto.