Vi bastano “101 motivi”?

Newton Compton ChronicaLibriROMA – La collana Centouno della Newton Compton Editori continua a riservare sorprese. E’ di qualche settimana la pubblicazione di “101 motivi per cui le donne sono più intelligenti degli uomini ma non sono al potere” di Federica Morrone.
«Le donne costituiscono la metà migliore dell’umanità», questo diceva il Mahatma Gandhi e, a ben vedere, come si può dargli torto?
Le donne possiedono un mix di impegno, competenza, capacità, resistenza, indipendenza, che le rende “superiori” agli uomini. Comprendono, grazie al loro intuito, ciò a cui gli uomini arrivano solo con il ragionamento. Sono capaci di prendere decisioni complesse in tempi brevi, di uscire dagli schemi per trovare soluzioni fantasiose ma sempre efficaci. E allora, perché stentano a ottenere ruoli di potere? Perché continuano a occupare posizioni marginali nella società? La loro mancata affermazione è dovuta a una lunga serie di discriminazioni e pregiudizi, ma non solo. A volte sono le donne stesse a rinunciare, a voler rimanere nell’ombra, quasi fossero oppresse da un atavico complesso d’inferiorità. Ripercorrendo i molteplici aspetti, spesso anche contraddittori, dell’universo femminile, Federica Morrone evidenzia i motivi che impediscono alle donne di raggiungere traguardi lavorativi molto ambiti, ma ci racconta, al tempo stesso, le esperienze di tutte quelle che, nonostante tutto, ce l’hanno fatta: donne come Anna Politkovskaja, Aung San Suu Kyi, Angela Merkel, Serena Dandini, Daria Bignardi, e molte altre.
• L’intuito femminile? Dono genetico• Femmine un giorno e poi madri per sempre• La rivoluzione delle donne normali• L’emisfero destro della donna• Il dono esclusivo della femminilità• La natura crudele della donna• L’involuzione conformista• Una superiorità pericolosa• Il potere di Arianna• Donne, allenatevi!• Dietro c’è sempre una grande donna• Il seme della non violenza• Quell’irresistibile ambiguità• L’archetipo del guerriero

“Il violino del signor Stradivari”

ROMA – Arriva alla seconda edizione “Il violino del signor Stradivari”, il libro di Paola Pacetti pubblicato dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
Prendete due fratelli, due tipi svegli di otto e dieci anni e buttateli in un’avventura niente male sulle tracce di un violino scomparso. Non si tratta di un violino qualunque, ma di un famoso Stradivari, misteriosamente sparito da un’asta.

Per risolvere l’enigma ci vuole l’aiuto di qualcuno che ne sappia di più, per esempio una zia un po’ mattacchiona e il suo amico violinista.
Un tranquillo week-end di sorprese si trasforma nella divertente avventura di un grande musicista.

Aìsara, la casa editrice che crede nella letteratura

Silvia Notarangelo
ROMA – Nata nel 2006 su iniziativa dell’imprenditore Ignazio Ghiani, la casa editrice Aìsara può contare oggi su una giovane redazione tutta al femminile impegnata nel valorizzare scrittori già noti ma anche nel promuovere autori esordienti.

Qual è la proposta editoriale di Aìsara?
La nostra attenzione è rivolta per lo più alla narrativa. Cerchiamo di proporre autori italiani e stranieri di qualità, alla ricerca del libro che fa la differenza. Nessuna preclusione geografica o di genere ma la ricerca costante del libro che offre il privilegio di una prospettiva diversa sulla realtà che ci circonda, che è capace di resistere al tempo della lettura, che si rilegge volentieri.

Che cosa la contraddistingue nel panorama editoriale italiano?
È molto difficile dire in che cosa ci distinguiamo, però possiamo dichiarare senza paura di essere smentiti la nostra attenzione verso la letteratura romena, che fino ad oggi ci ha regalato delle piacevoli sorprese. Un esempio fra tutti? Il romanzo intitolato “Sono una vecchia comunista”, di Dan Lungu, una divertente rilettura del regime di Ceauşescu (ma probabilmente di tutte le dittature) che ci ha colpito per la sua ironia e sincerità.

Perché la scelta, apparentemente più rischiosa, di puntare su scrittori emergenti?
Crediamo molto negli scrittori emergenti, perché crediamo nella letteratura e la letteratura cresce e si trasforma anche grazie alla novità portata dai nuovi scrittori.

Quali sono, se ci sono, le difficoltà che incontra, oggi, una piccola casa editrice? Il digitale, ad esempio, può essere una risorsa in più o un pericolo da cui difendersi?
La tecnologia è per noi un alleato, non un nemico. Già da un anno, tutti i titoli per i quali abbiamo i diritti elettronici sono pubblicati non solo nel classico formato cartaceo, ma anche in ebook. Il nostro amore per la carta è vivo più che mai e crediamo che il libro tradizionale non tramonterà mai ma fra i nostri obbiettivi c’è sicuramente cercare di capire meglio come utilizzare gli strumenti che il mondo digitale ci offre.

Progetti o iniziative particolari per il 2012?
A maggio la pubblicazione de “Il debutto” di Pablo d’Ors, scrittore spagnolo che amiamo molto, tanto da acquisire i diritti per pubblicare in Italia tutte le sue opere e ovviamente la partecipazione al Salone del Libro di Torino che avrà come paesi ospiti la Romania e la Spagna. Crediamo sarà un’ottima occasione per presentare a chi ancora non ha ancora avuto modo di conoscerli e apprezzarli i romanzi romeni presenti nel nostro catalogo. E nel mese di novembre la pubblicazione di una raccolta di racconti di 12 noiristi italiani liberamente ispirati ai 12 romanzi scritti da André Héléna (autore del secondo dopoguerra oggi considerato fra i più autentici rappresentanti del romanzo noir francese) e pubblicati dalla nostra casa editrice. Di questi 12 racconti, 5 saranno scritti da autori noti, 7 sono messi a concorso: cogliamo l’occasione per segnalare la possibilità per gli aspiranti scrittori di partecipare con un loro racconto.

London Book Fair, l’editoria italiana in trasferta a Londra

LONDRA – Sono oltre cinquanta le case editrici italiane presenti alla London Book Fair, il grande appuntamento per lo scambio dei diritti in programma fino al 18 aprile a Earls Court One, nel cuore di Londra. Il nostro Paese partecipa con uno stand collettivo (stand G605) di 130 mq, realizzato dall’Associazione Italiana Editori (AIE) in collaborazione con l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane (ex ICE), in cui esporranno 23 aziende italiane: 24 Ore Cultura, Black Cat Cideb, Bologna Children’s Book Fair, Corraini Edizioni, Donzelli Editore, Edi.Ermes, Ediciclo, Edizioni Gribaudo, Egea, Gruppo Albatros Il Filo, Ibiskos-Ulivieri, Idearte, Logos, Editoriale Jaca Book, Magnus Edizioni, Momento Medico Group, Franco Cosimo Panini Editore, Piccin Nuova Libraria, Printer Trento, Psicologica Editrice, Sassi Editore, Società Editrice Dante Alighieri, Utet Unione Tipografica-Editrice Torinese.

La London Book Fair per questa edizione registra oltre 1550 espositori provenienti da 57 Paesi su una superficie espositiva complessiva di 17.500 mq. Paese ospite d’onore sarà la Cina.

Focus su Arrow – L’Italia propone per oggi, martedì, 17 aprile, il seminario “Go digital now! Quick and easy digitization with the Arrow rights information system”, in programma nella Cromwell room di Earls Court One alle 11,30. L’appuntamento fornirà una panoramica sulle sfide che le biblioteche devono affrontare nei progetti di digitalizzazione su larga scala, sulle problematiche giuridiche e sulle soluzioni applicate a livello europeo, illustrando in particolare i benefici dell’utilizzo del sistema ARROW – ideato e realizzato nell’ambito dell’omonimo progetto europeo coordinato da AIE – come sistema di ricerca dello stato di diritto di un’opera e dell’identificazione degli autori, editori e altri titolari di diritti. In questa occasione sarà anche fornito un esempio dell’utilizzo di ARROW in un caso concreto attraverso la testimonianza di una istituzione, il Wellcome Trust inglese.

Interverranno, moderati da Jim Parker (Director of Public Lending Right UK), Piero Attanasio di AIE, Sarah Faulder – Publishers Licensing Society, Christy Henshaw – Wellcome Trust e il professor Charles Oppenheim.

 

Fonte AIE

“Romancing Miss Brontë”: il genio delle sorelle Brontë rivive fra le pagine del romanzo di Juliet Gael

Alessia Sità

ROMA – Fin dai tempi del Liceo, ho sempre nutrito un profondo interesse per la letteratura del periodo vittoriano e in particolar modo per le tre sorelle Brontë: Charlotte, Emily e Anne. A soddisfare ulteriormente la mia curiosità  ha contribuito anche “Romancing Miss Brontë”, l’accurata biografia romanzata dell’americana Juliet Gael, pubblicata da Tea. In perfetta armonia fra realtà e finzione, questo straordinario romanzo ripercorre scrupolosamente le tormentate e drammatiche vicende della famiglia Brontë. Figlie di un sacerdote anglicano di origine irlandese, le tre sorelle trascorsero un’esistenza solitaria nella selvaggia natura delle brughiere dello Yorkshire. Dopo la prematura morte della madre e delle due sorelle maggiori, furono allevate dall’inflessibile zia Mrs. Branwell. L’isolamento però non impedì loro di ricevere un’eccellente istruzione, che favorì la creazione di un mondo fantastico e allo stesso tempo crudele. Nonostante le rigide regole e le tipiche consuetudine dell’Inghilterra dell’Ottocento, Charlotte, Emily e Anne sfidarono i pregiudizi di un’epoca e della gente, facendo conoscere al mondo intero il loro straordinario talento letterario, decisamente fuori dal comune.
Infranto il sogno di aprire una scuola presso la parrocchia e nostalgica di rivivere l’adrenalina culturale del periodo trascorso a Bruxelles, Charlotte persuase Anne ed Emily a pubblicare le loro poesie usando gli stessi pseudonimi dell’infanzia. Fu così che nel 1847, i tre fratelli Ellis, Acton e Currer Bell pubblicarono presso due note case editrici di Londra i loro romanzi – Jane Eyre, Cime Tempestose e Agnes Grey – destinati a suscitare l’interesse della critica e a diventare un vero e proprio successo mondiale. L’anonimato tenacemente difeso, soprattutto da Emily, contribuì per molto tempo ad alimentare il sospetto che vi fosse un unico autore per tutte e tre le opere. La grande popolarità suscitata nel mondo editoriale però non cambiò la solitaria esistenza del trio di scrittrici. Lo spettro della morte continuò a far loro visita prematuramente. Prima fu la volta di Branwell, l’unico maschio della famiglia vittima dell’oppio e dell’alcol, la cui degradazione fisica e morale divenne un vero tormento per l’intera famiglia; poi toccò anche alla ribelle Emily e alla dolce Anne, entrambe scomparse alla soglia dei trent’anni. Tenacemente e confidando solo nella forza della fede, la piccola Charlotte proseguì  il suo lavoro di scrittrice nel ricordo delle adorate sorelle. Con straordinaria capacità narrativa e con grande sensibilità, Juliet Gael ricostruisce, attraverso le vicende e le sofferenze di Charlotte Brontë, la storia, le passioni e gli amori di tre donne decisamente in contrasto con l’ideale femminile del periodo vittoriano, in quanto simbolo di coraggio e determinazione. “Romancing Miss Brontë” ha il merito di ricreare l’atmosfera di un’epoca e di commuovere il lettore in modo del tutto inaspettato.

VerbErrando:Trentatré

Veruska Armonioso
MILANO
– A Milano piove. Dicono che andrà avanti ancora per dieci giorni. L’ho trovata così quando sono arrivata venerdì scorso… alle otto e cinquanta del mattino la Stazione Centrale era una sfinge bagnata, silenziosa e addormentata… come me, che avevo lasciato Roma con il treno delle sei, dopo un sonno piccolo, figlio di una serata senza fondo con vecchie birre e un amico nuovo.

Da quando il lavoro mi porta a Milano il treno è diventato uno dei miei nonluoghi preferiti… cerco di prenotare sempre la stessa seduta, anche se in carrozze diverse, così da mantenere un senso di familiarità che renda il mio nonluogo ospitale… all’occorrenza un letto, spesso un ufficio, a volte (quelle più fortunate) un salotto; comunque un osservatorio. Proprio sul treno penso di aver capito che non sarò mai una grande scrittrice… l’ho capito leggendo un’intervista a Céline…quando chiedi a uno scrittore cosa ami di più tra la conoscenza e l’immaginazione non ti risponde mai la conoscenza, invece io ho sempre preferito indagare piuttosto che inventare, chiedere piuttosto che supporre…eh sì, c’era un tempo in cui, per me, chiedere era tutto… eppure smisi. Forse perché cominciai ad avere paura di non ricevere risposte, o forse perché cominciai a temere le riposte. Smisi di fare domande e così la mia carrozza di conoscenza, indagine, tracce, perse di resistenza fino a diventare un polveroso e pericolante carretto pieno di strumenti in disuso… magari è proprio da lì che proviene la mia passione per gli utensili antichi, abbandonati…è una passione che ho scoperto condividere con Paolo. L’ho scoperto sabato scorso alla cappelleria Mutinelli, durante una delle nostra passeggiate del sabato mattina. Da qualche tempo passeggiare di sabato mattina con Paolo per Milano è diventato un allenamento intellettuale. Insieme a lui c’è un gruppo di persone che si riuniscono e condividono conoscenza… letteratura che sedimenta nell’asfalto, negli anfratti delle rotaie del tram, sui muri dei palazzi, nelle pieghe della memoria di Milano. Si chiamano “Passeggiate d’autore” e ogni settimana incontri uno scrittore diverso, un libro diverso, un quartiere diverso e con loro un mondo nascosto, silente. E allora succede come sabato appena passato in cui Paolo (Melissi) ti guida per Porta Venezia e, senza dover chiedere, lui ti racconta cose.. .cose che vorresti proprio sapere… con lui le “donne di carta”, donne che non recitano ma ‘dicono a memoria’ estratti dai libri a cui le passeggiate sono ispirate. Costeggiando i confini immaginari di quello che un tempo era il Lazzaretto finisci, così, per incontrare la chiesa Di San Nicola. E’ la vigilia di Pasqua per la Chiesa Ortodossa e questo prevede un rito chiamato “miracolo della luce”. La tradizione vuole che, nel buio prima della mezzanotte, il vescovo accenda trentatré candele da portare in processione per le vie della città e che, per i primi trentatré minuti, il fuoco di quelle candele non bruci ciò con cui entra in contatto. Trentatré minuti di grazia, di trentatré candele di luce senza calore, di fiamma senza pericolo. Trentatré minuti in cui si potrebbe ancora correre il rischio di chiedere…per trentatré minuti almeno. Ho sempre saputo di aver perso dei passaggi chiave nella costruzione della mia coscienza emozionale. Mi domandavo cosa ne sarebbe stato di me se avessi saputo fin da subito come si fa … come si fa a riconoscere un’emozione, attribuendole il giusto nome, individuandone i tratti distintivi, senza errori, senza confonderla con altro…e poi come si fa a prenderla in mano quell’emozione e a tenerla senza farla cadere o, peggio, mandarla via. Infine, come si fa ad affrontarla…viverla insomma…o, se non altro, camminarci accanto restando vivi.

Ero cresciuta poggiando i piedi su un basamento solido che diceva così:

“Alcuni vanno alla ricerca di luoghi in cui ritirarsi, in campagna, al mare o sui monti, e anche tu hai l’abitudine di desiderare ardentemente tutto questo. Però è quanto mai sciocco, dato che puoi, in qualunque momento tu voglia, ritirarti in te stesso. Perché in nessun luogo più tranquillo e calmo della propria anima ci si può ritirare; soprattutto se si hanno dentro di sé i princìpi tali che, al solo contemplarli, si acquista una perfetta serenità. E per serenità non intendo altro che ordine interiore.” Marco Aurelio me lo aveva insegnato quando avevo tredici anni e io avevo cercato di tenerlo sempre a mente. Solo che non avevo considerato che sapere dove cercare qualcosa non volesse dire trovarla. E allora da un po’ avevo cominciato ad associare fraintendimento a comunicazione e a pensare cosa succede quando si comunica con diversi codici e ci si fraintende…a lungo…di continuo.
Succede che ci si perde. Succedono i distacchi, le separazioni…succedono gli addii.
Succedono valigie fuori dalla porta, lacrime, parole piene di spigoli…succedono reazioni, cariche di brutte intenzioni, succedono illusioni, delusioni.
Succede che non ci si capisce. E si comincia ad avere paura.

Nei rapporti tra umani rintraccio tutta la solitudine dei contenitori vuoti, siamo sempre più simili a scatole, bellissime, curate nelle rifiniture, ma senza contenuto….così le relazioni diventano condivisioni di spazi vuoti riempiti a forza da inutili gingilli che distraggano dalle mancanze. Cosa ci manca per essere uomini e non solo esseri umani? Per capirci? Forse usiamo codici diversi? No, temo si tratti di altro. Penso che non abbiamo codici, e quando andiamo a decodificare una reazione ad esempio, la interpretiamo male perché è frutto di un’azione svolta senza criterio, senza codice. Continuo ossessivamente a domandarmi da un po’ che cosa ne sarebbe stato di noi se, alle scuole materne o alle elementari, avessimo ricevuto lezioni di sentimenti.
Così ieri sera, con quelle trentatré candele in mano, ho deciso di ricominciare a chiedere. A Giovanni ad esempio, che tra poco diventerà sacerdote, di fare la Pasqua con loro; di condividere con me le loro uova e i loro tozzi di pane secco. E poi ho deciso di chiedere altro, a un’altra persona. E sono andata a bussare alle porte di Dario Borso. Che è, sì, uomo dall’intelletto sopraffino e dalla sconfinata cultura, traduttore di bravura inestimabile e docente universitario di prim’ordine, ma prima di tutto un conoscitore delle filosofie dei più grandi pensatori, un uomo capace di rintracciare e sintetizzare l’essenza delle cose. Allora gli ho chiesto… di scegliere un sentimento, uno qualunque, e di insegnarmi a capirlo come se fossi sua sorella…

Non avrei dubbi: la curiosità. Che deriva da cura. Curiosità è prendersi cura chiedendo: cur? in realtà viene da cuor, perciò non è un sentimento freddo, e come l’amor parte da un vuoto/mancanza/bisogno. Sete di sapere/fame di… insomma, la curiosità comincia con una confessione: d’ignoranza.

Mh…poi però deve essere successo qualcosa, perché provare curiosità è diventato un sentimento di cui avere pudore… Sempre meno si ha in stima il curioso, sempre più si associa la curiosità all’invadenza. Allora, cos’è cambiato… quando è successo?

Da sempre la curiosità è associata al pudore e al divieto: Ulisse finì all’inferno, no?Adamo fu curioso, ogni curiosità prevede un velo da sfondare, o almeno da scostare. La chiesa cattolica, quindi stato e famiglia, sono concrezioni patologiche di blocco della curiosità. Come diceva Paolo di Tarso “la legge crea il peccato”, perciò la curiosità è vista come invadenza di un territorio altrui. In realtà la curiosità di per sé è una forma altissima di rispetto… rispetto da respicio = guardo due volte, ossia guardo con cura: curiosità. Piuttosto, ultimamente si è diffusa una curiosità strana, senza cura: si curiosa senza neanche guardare, si fruga cioè, si cerca/crea l’osceno, il fuori scena oltre, o meglio sotto il divieto. Se curiosare è nevrotico, frugare è psicotico.

Quindi inibire la curiosità è un effetto della diseducazione al sentimento… e come mi educo alla curiosità?

Alla curiosità ti educhi soddisfacendola. Se è vero che la legge crea il peccato, essa crea parimenti il piacere, è come l’assicella del salto in alto. L’ignoto è oltre i valori, se ne fosse assogettato, sarebbe noto. Ciò crea paura, solitudine, ma contemporaneamente spinge all’unione, all’alleanza. La ricerca colllettiva/curiosa dell’ignoto è la fonte della società perfetta, che è anche la più imperfetta, perché priva di tutto, vuota.

E cosa mi dici della delusione allora? Uno dei pericoli in cui si rischia di cadere per soddisfare la curiosità è proprio quello…la delusione per la conoscenza dell’ignoto…

La delusione è il rovescio dell’illusione, e il ludus si gioca tra soggetti, non tra soggetto e oggetto: l’ignoto né illude né delude. La curiosità tra soggetti è reciproca, raddoppiata rispetto a quella per l’ignoto. E’ il campo del patto e della promessa, in una parola del futuro.

Il campo del patto e della promessa…

Prendiamola da un altro lato: osservare, ob-servare, serbare davanti. Curiosità, rispetto, osserv… anza. per serbare davanti, devi essere sicuro dietro (il timoniere di Ulisse). Il patto è di rispettare/osservare una promessa. Pro-messa è l’apertura al mondo… una famiglia, una società, un mondo va a ramengo se alla base manca ciò.

Delusione, ludus, cor, Ulisse, ignoto, solitudine… mica un passo da niente. Del resto, però, se si chiede aiuto a qualcuno, poi bisogna affidarsi a lui. E allora sia!
Così avrà inizio il mio viaggio… e l’inizio partirà da qui.
Un viaggio alla scoperta del mondo, con un occhio verso Ulisse e l’altro verso il suo timoniere.
Trentatré candele ancora da accendere sul comodino e una promessa a me stessa: non avere più ’70aura dell’ignoto.
Una curiosità da alimentare, soddifacendola, senza paura e poi… giocare, giocare, e ancora giocare…
…forse, così, finalmente, imparerò anch’io a immaginare.

“La libertà interiore” – Marco Aurelio (ed.Mondadori)
Passeggiate d’autore – Associazione Pluriversi (pluriversi@gmail.com)
Chiesa Russa Ortodossa di San Nicola – Via San Gregorio, Milano (15 Aprile 2012 Pasqua Ortodossa)

 

 

Quando la legge assolveva le coscienze per “Un delitto d’onore”.

Giulio Gasperini
ROMA – Non sono passati molti anni da quando la legge serviva per assolvere le coscienze nei casi di delitti d’onore. Un uomo si scopriva “tradito” e la legge gli permetteva di rivalersi sulla donna “peccatrice”. Che poi l’uomo fosse un “padre-padrone” nessuno se ne curava: nessuna legge tutelava la donna dai capricci di un machismo violento e cieco. Giovanni Arpino, in questo suo romanzo, intitolato con scarna evidenza proprio “Un delitto d’onore” (Mondadori, 1960) per non farci mai perdere d’occhio l’inderogabile oggetto di analisi, offre una testimonianza letteraria di quello che significava macchiarsi di un tale crimine.
Gaetano Castiglia, giovane medico ostile al progresso e che preferisce condurre una vita sonnacchiosa nella sua Avellino piuttosto che proseguire il suo brillante futuro negli States, si scopre tradito dalla donna alla quale aveva destinato attenzioni e premure, finalizzate a una sua rieducazione e a un suo innalzamento sociale e (nelle intenzioni dell’uomo) finanche morale: come se vestirsi bene e saper parlare fossero garanzie d’integrità d’anima. Poco importa che la donna sia stata oggetto di violenze altrui. Poco importa se si sia fidata di un altro maschio che le ha promesso l’amore e le ha lasciato solamente il disincanto della violenza. (Le vagine ancora non parlavano: lo faranno molto dopo, con Eve Ensler). Quel che interessa il maschio legittimo è il sangue dell’imene; a macchiare un lenzuolo bianco da esporre come prova di virilità (per lui) e di sottomissione (per lei). Castiglia consuma il primo atto carnale con l’ansia di guardarsi, subito dopo, e di scoprirsi addosso le tracce della verginità della femmina. Ma non le trova e rimane sbigottito, spaventato, incredulo di fronte alla presa in giro, al tradimento evidente. Il suo esame di coscienza è breve e indolore: sa già quel che è giusto fare e lo compie con una freddezza da chirurgo, sgozzando la donna nel letto: come fosse un altare di sacrificio, gesto estremo verso qualche improbabile divinità.
Poi Castiglia scompare; e compare la legge, l’avvocato che accetta di difenderlo e sa che, dimostrati i fatti e reso evidente il “tradimento” della donna (offertasi come vergine ma già defraudata d’innocenza e serenità), nessuno lo condannerà e, anzi, gli offrirà modo di emendarsi e auto-assolversi. L’unico pericolo è la coscienza dell’uomo stesso, dell’assassino (“Ma io ho ucciso. Io, io solo. Voi venite a farmi la parte. Avete ragione, dovete scusarmi. Ma io solo ho fatto quel che ho fatto”); ma la legge sa come agire, sa come confondere colpa e giustizia, sa come crearsi giustificazioni fittizie, perché peggiore della condanna è solamente il rimorso (“Niente commedie. Rimorsi no, va bene? L’amore oltre la morte, e così via, benissimo, ma non tra noi, va bene? Capisci? In aula io non voglio pazzie, lamenti, pianti…”).
La narrazione di Arpino è di un estremo lirismo, severo nella lingua e nelle immagini, così come severo vuol essere l’insegnamento. Non c’è nessun giudizio, nascosto tra le sillabe. Ci sono soltanto immagini e parole crude, dure, pesanti come pietre. E come pietre vengono scagliate, a dimostrare che tutti noi abbiamo peccati. E che alcuni peccati, indipendentemente da tutto e da chiunque, non posson esser autorizzati col beneplacito della legge.

“Tajine”, i sapori e le forme del Marocco entrano in cucina

ROMA – E’ nuovissimo, gustoso e curioso; stiamo parlando di “Tajine”, l’ultimo nato in casa Guido Tommasi Editore. La tajine, una pentola di terracotta tipica del Marocco, rappresenta alla perfezione il carattere conviviale della cucina nordafricana. È costituita da un ampio tegame rotondo, da portare direttamente in tavola perché tutti possano servirsi, sormontato dal caratteristico coperchio a forma di cono. La cottura, semplicissima, deve essere lenta e a fiamma bassa; il coperchio trattiene all’interno il vapore e gli aromi, per restituire come risultato finale una mescolanza di sapori perfettamente bilanciati. Con questa pentola, di cui non potrete più fare a meno, potrete preparare carne, pesce, verdura e frutta, sperimentando ricette esotiche o più tradizionali, come la tajine di coniglio e prugne, le polpette di agnello con semi di sesamo e perfino i fichi con crema di mandorle. Sollevate il coperchio della vostra tajine e lasciatevi sorprendere.

Quando “Trema la terra”

Marianna Abbate

ROMA – Dormi nel tuo letto, litighi con il tuo fidanzato, ti alzi e vai al lavoro che odi. Soffri per amore, sorridi alle nuvole, mangi/preghi/ami. All’improvviso La terra trema. Nessuno ti ha avvertito, anche se hai visto quel pazzo alla tv vaneggiare maremoti. La tua vita viene improvvisamente interrotta senza ma e senza spiegazioni. Non hai neanche il diritto di chiederti: perché proprio a me? Insieme a te sono state colpite centinaia, migliaia di persone- e ti è pure andata bene se sei ancora qui a raccontarlo.

Sono diciotto i racconti di questa raccolta pubblicata da Neo, e quattro i terremoti che hanno travolto il nostro paese e che gravano ancora oggi sulle accise della benzina. Ma non pensate di leggere un libro di cronache storiche di fatti lontani. Il terremoto è solo un pretesto : ognuno di questi racconti è una storia. Ci parla di persone, anche se chiamarle vere suona terribilmente scontato.

Il terremoto dura un attimo- un’eternità. Rimangono ferite, crepe nei muri, paura. Lutti.

Certe volte sconvolge l’esistenza, e un avocato affermato si trasforma in un barbone. Altre volte rimane nascosto, sotto la pelle, ed esce fuori sfocato e inodore nei racconti di un vecchio.

E il terremoto non ha reso tutti più buoni, non ha trasformato i malvagi in esseri riflessivi. C’è anche chi approfitta meschinamente delle porte aperte per accaparrarsi quanto più possibile, con quel tipo di delitto che porta giustamente il nome di sciacallaggio.

Accanto alla classica coppia di anziani che muoiono vicini, ci sono i mariti fedifraghi colti impreparati dal destino.

Anche gli autori sono diversi tra loro, alcuni come Massimo Cacciapuoti, hanno alle spalle esperienze editoriali importanti, altri sono alla loro prima pubblicazione. L’esperimento è riuscito, anche grazie all’attento lavoro di editing di Isabella Tramontano.

 

“La terza crisi”, come sconfiggere la crisi e difendere il futuro di imprese e famiglie

Silvia Notarangelo
ROMA – La parola crisi, in relazione al contesto economico, ha letteralmente invaso tutti i mezzi di comunicazione diventando sintesi di molteplici e inevitabili riflessioni. “La terza crisi” affrontata dal manager Danilo Bonato per Edizioni Ambiente, sembra, invece passare sotto silenzio pur essendo più devastante. Spesso minimizzata, la crisi ecologica presenta, infatti, una drammaticità che rischia di compromettere seriamente il futuro del pianeta.

Se i principali modelli di sviluppo economico, liberismo e statalismo, hanno evidenziato nel tempo le loro criticità, percorrere la strada di una decrescita o affidarsi al solo progresso scientifico potrebbe rivelarsi utopistico e pericoloso. Ecco perché la via d’uscita proposta da Bonato si chiama “progetto di rinascita del paese”. Un progetto che deve porsi, da subito, un obiettivo ambizioso: la ricerca di un equilibrio ecologico da perseguire imponendo dei limiti alle risorse prelevate e rendendo tale prelievo il più possibile rispettoso e compatibile con i cambiamenti che determinerà. Non solo. La rinascita di un Paese passa anche attraverso alcuni strumenti di regolazione esterna che un governo può mettere in atto. Rientrano in questa categoria finanziamenti e sgravi fiscali, contributi per quanti cercano di limitare l’impatto ambientale della propria produzione, ricerca e iniziative per ampliare le conoscenze e formare “capitale umano qualificato per costruire una crescita buona, quella qualitativa”. In quest’ottica, non può essere secondario l’apporto delle aziende e, in particolare, dei dirigenti d’azienda, di coloro che possono e devono farsi promotori di un reale cambiamento. In un piano di rilancio industriale non dovrà mancare un adeguato sviluppo del settore energetico ma anche una particolare attenzione nell’accesso e nell’utilizzo delle risorse naturali. Le possibilità e le metodologie ci sono, la biomimetica, l’analisi del ciclo di vita, un’accorata gestione dei rifiuti sono tutte strategie che già stanno fornendo ottimi risultati. Che cosa occorre ancora? Il coraggio di compiere “scelte virtuose”, magari impopolari ma sicuramente vincenti, come suggerisce Bonato.