L’editoria italiana ospite d’onore in India

associazione italiana editoriMILANO – L’Italia sarà Paese ospite d’onore alla 36ma edizione della Fiera internazionale del Libro di Calcutta, la più importante manifestazione del settore editoriale nel Paese, in programma da mercoledì 25 gennaio  (inaugurazione domani, 24 gennaio) al 5 febbraio.
La presenza italiana, curata dalle istituzioni italiane locali – il Consolato Italiano a Calcutta e l’Ambasciata d’Italia a New Delhi -, prevede la realizzazione di uno spazio espositivo e un programma di incontri culturali: l’ampio padiglione di 500 mq, che rappresenterà un’elegante area urbana italiana, racchiuderà uno spazio con libri di autori italiani in italiano (500 volumi inviati delle case editrici italiane che hanno collaborato all’iniziativa), una libreria con libri di autori italiani in traduzione inglese e un’area incontri, che vedranno la presenza di autori come Dacia Maraini, Alessandro Baricco, Beppe Severgnini e Valerio Massimo Manfredi, ma anche come Angela Staude Terzani e Sandra Petrignani.
L’Associazione Italiana Editori (AIE) organizzerà, a completamento dell’iniziativa, una missione di alcune case editrici, grazie anche al contributo del Ministero Affari Esteri e alla collaborazione dell’ex-ICE Ufficio di New Delhi. Gli editori presenti – Casalini Libri, Edizioni Sonda, EGEA, GeMS Gruppo Editoriale Mauri Spagnol, Guerra Edizioni, Metropoli d’Asia – rappresentano un mix in grado di presentare una panoramica della nostra editoria sia per settori di produzione (dalla narrativa alla saggistica, dalla letteratura per bambini alla produzione universitaria, ai testi per l’insegnamento dell’italiano), sia per dimensioni (dai piccoli editori specializzati ai grandi gruppi).
“L’obiettivo – ha spiegato il direttore di AIE Alfieri Lorenzon, che guiderà la delegazione editoriale – è capire quali sono i segmenti editoriali in cui l’editoria italiana potrebbe avere maggiori possibilità di successo, far conoscere agli editori indiani le peculiarità del nostro mercato e incontrare rappresentanti della filiera indiana per avviare rapporti di collaborazione. La Fiera di Calcutta sarà infatti l’occasione per presentare per la prima volta in modo istituzionale la nostra editoria attraverso momenti comuni con gli editori indiani e con la Publishers & Booksellers Guild”. Le case editrici italiane svolgeranno inoltre una serie di appuntamenti B2B con interlocutori indiani per la compravendita dei diritti.
E’ cresciuta a partire dalla seconda metà degli anni ’90 la presenza di autori indiani – soprattutto di narrativa – nei cataloghi delle case editrici italiane: complessivamente il lettore può scegliere tra un’offerta, proposta da 36 case editrici, di 169 titoli di 70 autori indiani.
L’editoria indiana rappresenta lo 0,2% delle traduzioni di un’editoriacome quella italiana in cui il 20% dei titoli pubblicati provengono da altre editorie. Cresce, anche se i numeri restano piccoli, la vendita dei diritti di libri italiani verso il mercato indiano. Raddoppiano nella seconda metà dell’ultimo decennio e lasciano soprattutto intravedere un trend di crescita costante in assenza di politiche coordinate di intervento.

“Cronache da un mondo (im)possibile”, la costruzione di una coscienza di vita

recensione chronicalibri cronache da un mondo (im)possibile_frank solitarioGiulia Siena
ROMA “Sta di fatto che molti capolavori della Letteratura, ma anche dei libri insignificanti o addirittura disgustosi, cominciano così – Tac! – senza nemmeno un preavviso.” Lui è Frank Solitario ma non chiedetegli il suo vero nome. Lui è l’autore di “Cronache da un mondo (im)possibile“, il volume che tra qualche giorno sarà in libreria pubblicato dalle Edizioni Il Foglio Letterario.

Dopo la raccolta di racconti “Storie ai minimi termini”, Frank Solitario torna sulla scena letteraria italiana con “Cronache da un mondo (im)possibile”, racconti che si intrecciano a formare un romanzo. Per questo lavoro Frank ha voluto accanto Veruska Armonioso, editor e scrittrice che ha curato – da cultrice della parola – la revisione del libro.
I protagonisti sono tanti e dalle caratteristiche più disparate; essi si dispongono in una immaginaria palazzina fatta di venti stanze divise per piani. L’ultimo piano è quello della solitudine: c’è uno scrittore che non riesce a esprimersi con verbi al presente o al futuro, il barbone, l’anziano principe, dei manichini, il ladro, lo scrittore poi qualcuno, un altro e nessuno. Tutti però – in momenti diversi della vita – si accorgono della propria esistenza come svegliandosi da un momentaneo assopimento. Si scoprono stanchi, distratti, innamorati o delusi, si ritrovano vecchi senza aver vissuto alcuna giovinezza. Il mondo (im)possibile disegnato da Frank Solitario ha le fondamenta nella realtà e le mura costituite dai mattoni delle scelte di ognuno, semplici o esagerate fino all’eccesso. La scrittura visiva e attenta dell’autore completa e cementifica la costruzione di un mondo (im)possibile.

“Non riesce a compiacersene del tutto. Ma la battaglia è vinta. Ancora. Il sole aveva attraversato, per un tempo ingiustificato o solo per pochi secondi, tutte quelle venti stanze.”

“Storia naturale di una passione”, ovvero quando a mancare è l’amore

Giulio Gasperini
ROMA –
L’amore e la passione non sempre procedono con ugual passo, né misura. A volte c’è passione, ma non c’è amore; altre volte fiorisce l’amore ma la passione gela. Chi può sapere quale delle soluzioni sia la migliore? Forse vorremmo tutti dire: quando ci sono, contemporaneamente, passione e amore. Ma quanto dura, effettivamente, la passione? Quanto dura, invece, l’amore? Possono sostenersi a vicenda e creare una sinergia duratura, oppure l’uno fagocita inevitabile l’altro? Alfredo Todisco, con un linguaggio volutamente aulico, raffinato, come in una sorta di antiquariato linguistico, ci squaderna una “Storia natura di una passione” (Rizzoli, 1976).
Todisco parrebbe dirci che amore e passione son due accidenti ben distinti, e nessuno dei due implica obbligatoriamente l’altro. In questo romanzo, in una storia dai sinuosi intrecci sentimentali e dalle complesse personalità ritratte, la passione esiste, si consuma nel tempo d’un errore, ma l’amore gemma soltanto in “lui”, mentre “lei” rimane glaciale, spietata nella sua analisi, senza possibilità di ricorsi.
I due si rincorrono, s’indagano, s’annusano e si dileguano, si telefonano e s’ignorano, s’allontanano e si riavvicinano: la danza è quella delle più collaudate, delle più sperimentate: un accendersi di passione incontrollabile, una furia feroce di sensi e di trasporto emotivo, che trascinano i due protagonisti in un vortice irresistibile di frasi non dette e parole rubate, di sguardi troppo insistenti e rimorsi insaziabili.
Sicuramente Alfredo Todisco dimostra una grande perizia d’analisi, che, per altro, esibì nella sua carriera persino scrivendo dei reportage di viaggio (come in “Viaggio in India”). E i suoi personaggi son orchestrati così sapientemente da parere la visione d’un teatrino, di quelli che, un tempo, facevano divertire i bambini ma sorridere i genitori, perché ne capivan tutti i trucchi, e perdevano la magia della vita che, da inanimata, riusciva a sorprendere.
L’ultima immagine del romanzo, da cui si trae la morale e che purificherà i cuori di “lui” e di “lei”, come una catarsi involontaria e persino fastidiosa, è quella d’una natura che paga lo scotto della violenza e della prepotenza umane e che si autoflagella, si autopunisce per salvarsi risolutivamente, presa da una cieca ira e da una rabbia che, non possiamo non immaginare, nel giro di poco tempo si riverseranno frenetiche e furiose sugli uomini che rimangono a valle, e che stanchi del cammino non trovan di meglio che ritenersi fortunati d’avere una sedia sulla quale sedere.

Chi non ha mai cucinato con Sonia?

Marianna Abbate

ROMA – Cucinare a volte è una passione. A volte no. Anche seguire una ricetta può sembrare un ostacolo insormontabile: quanto è un pizzico di sale? mezzo bicchiere di farina intende un bicchiere da 20 cl o uno da 40? Sonia Peronaci ha avuto un’idea brillante. Rivoluzionaria. Come fare un uovo sodo? Devi aspettare che l’acqua bolle e poi poggiare l’uovo su un cucchiaio e immergerlo lentamente, poggiandolo sul fondo. E aspettare. Ma aspettare quanto? Nell’era di youtube e dei tutorial su qualunque cosa Sonia ha trasformato il nostro vivere in cucina. Possiamo sconvolgere i nostri amici con ricette originali che non pretendono alcun impegno reale grazie ai suoi video tranquilli e semplici che riempiono di giorno in giorno uno dei siti più famosi d’Italia: Giallo Zafferano.

Molti uomini che abitano soli proclamano a gran voce che Sonia li ha salvati da una frequenza quotidiana della tavola calda all’angolo.

Ma non lasciatevi ingannare: per Capodanno volevo, appunto, sconvolgere i miei amici con dei bellissimi macarones che mi hanno illusa con la scritta facile facile sul sito di Sonia. Eppure dopo ripetuti tentativi non ho potuto far altro che dichiarare il fallimento. Sarà perché non ho la tanto decantata planetaria o perché non ho usato il termometro da zuccheri, ma per me le paste a base di meringa rimangono un enigma.

Pertanto vi invito a non dimenticare tutti i consigli classici che le nonne tramandano, e se una cosa ha la fama di essere difficile non illudetevi che non lo sia solo perché Sonia ve lo dice sorridendo.

Ora è uscito persino un libro, che racchiude 130 delle sue ricette più cliccate, da quelle semplici alle più ricercate- indirizzato, più che altro, a tutte le signore che non usano internet e muoiono dalla curiosità di provare le sue ricette perché ne hanno sentito parlare.

Ma per chi internet lo sa usare, propongo di continuare a seguire le videoricette e, magari, comprarsi questa benedetta planetaria.

“C’era una svolta”, un’attuale e sarcastica ironia

Silvia Notarangelo
ROMA – A San Quentin, in California, il condannato a morte Tonino Buttalamare, giunto al patibolo, chiede, come ultimo desiderio, di poter raccontare una storiella del suo paese. Inizia così “C’era una svolta”, il nuovo lavoro di Martino Ferro pubblicato da Verde Nero. Se amate Calvino e le sue fiabe, questa loro rielaborazione, perfettamente calata in un’attualità da censurare e dotata di una sagace ironia, non vi lascerà delusi.
Nei cinque minuti a sua disposizione Tonino Buttalamare è un fiume in piena. Esordisce con le vicende, non proprio felici, di Giampietro, Gianfranco e Giancarlino, tre fratelli alle prese con odiati call center, paghe da fame e nessuna prospettiva per il futuro. Unica possibilità rivolgersi a San Precario e ascoltare bene i suoi consigli, perché un insperato posto da direttore è proprio lì, a portata di mano, basta saper usare un po’ di astuzia.
Ed è sempre grazie alla furbizia, e a una sana dose di incoscienza, che Giovannina smaschera il temuto orco Cicci, un orco dotato della singolare capacità di fare tutto al contrario, compreso conficcarsi un bisturi in bocca al posto dell’immancabile sigaretta. Una fine drammatica, come quella involontariamente architettata da una first lady infelice che, con la complicità della cameriera, riesce a sbarazzarsi di un marito “nanetto” che non ha mai voluto e che, solo per puro caso, si è ritrovato nel posto giusto al momento giusto. La sorte non è stata, invece, così benevola con Giufà, un giovane che vive alla giornata e che, in un modo o in un altro, riesce sempre a cavarsela, sia quando inconsapevolmente libera i tanti negozianti sottoposti al pizzo di Don Ciccio Potenza, sia quando, altrettanto ingenuamente, consegna una partita di droga alla mamma convinto che si tratti di farina. Ma a volte l’onestà non basta e il destino che lo attende non è certo dei migliori.

“Morti per la giustizia”: un libro per crescere.

Stefano Billi
ROMA – Il tempo passa in fretta e si fa presto a dimenticare quegli avvenimenti che hanno caratterizzato la storia di un popolo, di una nazione. Soprattutto, ci si scorda di chi, quegli eventi, li ha vissuti sulla pelle, da protagonista, portandone ancora i segni e le cicatrici. Eppure, la coscienza di tutti dovrebbe essere attenta a non far cadere alcuni fatti nell’oblio, anche perché solo così ci si può preservare dal rischio che si ripetano certi errori già commessi nel passato.

Allora, vale davvero la pena leggere “Morti per la giustizia” un libro edito da Baldini Castoldi Dalai dove si unisce il dettato costituzionale alle storie drammatiche di undici uomini e donne che hanno perso la vita negli anni più bui della Repubblica, quelli tra il 1969 e il 1982.
Frutto di un incontro pubblico organizzato dalla Fondazione Roberto Franceschi Onlus, questo testo introdotto da Michele Serra racconta di Giorgio Ambrosoli, Giovanni Arnoldi, Giulietta Bazoli, Luigi Calabresi, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Roberto Franceschi, Guido Galli, Fausto Tinelli, Lorenzo Iannucci, Giuseppe Pinelli, Walter Tobagi. E ne racconta attraverso la voce di coloro che, questi personaggi travolti dal sangue stragista, li hanno conosciuti e amati, come fratelli, genitori, figli, amici. Voci che, tra le pagine, si trasformano da testimonianza dell’essere vittime della violenza politica e criminale, in dimostrazione insigne di impegno pubblico, fondato ed ispirato sulla carta costituzionale, quale passaggio imprescindibile per una costante costruzione della democrazia. La cosa straordinaria di questi scritti, perciò, è rendersi conto di come chi ha subito sofferenze personali atroci e devastanti, abbia ancora la forza di mettersi in gioco per il bene del paese, coscienti che quel dolore può divenire la base per la costruzione di un futuro diverso, sicuramente migliore, grazie al loro impegno. Citando le fulgide parole di Benedetta Tobagi, “trasformare violenza, abusi e sofferenze in materia che possa essere vitale”. Ancor più eccezionale, poi, è l’idea di fondare ogni intervento di quell’incontro su singoli articoli della Costituzione, senza trasformare l’iniziativa in una sterile esegesi della grundnorm italiana, ma piuttosto muovendo dalla comune presa di coscienza che per affrontare tempi di crisi profonda, bisogna avere dei fari che rischiarano l’oscurità. Senz’altro la Costituzione, nei suoi lungimiranti “versi”, offre i valori fondanti dell’Italia, di quella comunità che va da nord a sud e che è accomunata dal medesimo amor patrio.

Un vecchio professore universitario di diritto privato era solito consigliare ai suoi studenti di lasciare una copia della Costituzione Italiana vicino al cuscino, quasi a voler proteggere il sonno, pronta per essere letta e per destar conforto di fronte a qualunque incubo.

Leggendo “Morti per la democrazia” si comprende benissimo che traguardo impareggiabile sia quella norma del 1948, e quanto ancora possa aiutare il bel paese a diventare bello davvero.

“Questa non me la fumo”, bambini contro le sigarette

recensione libri per bambini_chronicalibri_carthusia_colloredoGiulia Siena
ROMA
– Lisa, Chiara, Federico e Filippo hanno un compito da svolgere. Devono capire ed elencare tutti i danni che provoca il fumo smascherando le piccole leggende che circolano attorno alla dipendenza dal tabacco. I quattro amici raccontano delle storie perché vogliono vederci chiaro; così nasce “Questa non me la fumo. Proviamo a vederci chiaro nei discorsi fumosi” scritto da Sabina Colloredo e illustrato da Giulia Ghigini per Carthusia Edizioni. Chi lo ha detto che fumando ci si sente grandi? Lisa sa benissimo che il fumo spegne il colorito, fa venire i brufoli e ti spezza il fiato e proprio lei, una sportiva provetta, non può permettersi queste sbandate inutili. Il fumo non danneggia solamente chi ha questo brutto vizio, ma influisce anche sulla vita degli altri: il fumo passivo è il peggior nemico dei bambini. Chiara ha una mamma che fuma nonostante aspetti un bambino; Chiara sa che il fumo non fa crescere la sorellina come dovrebbe. Allora la battaglia contro le sigarette comincia presto e diventa anche una canzone rap per spiegare a tutti che con le 4000 sostanze tossiche (tra cui acetone, candeggina, cadmio e monossido di carbonio) contenuti in una sigaretta non bisogna scherzarci.


Il libro, un albo illustrato con splendide immagini e spiegato con parole efficaci, affronta una problematica esistente ma presa poco in considerazione: il fumo tra i giovanissimi. In Italia sono circa il 23% i bambini che iniziano a fumare tra i 9 e i 10 anni e i danni a cui vanno incontro sono tanti e da non sottovalutare. “Questa non me la fumo. Proviamo a vederci chiaro nei discorsi fumosi” è uno strumento chiaro e divertente per affrontare tematiche difficili come quella della dipendenza da tabacco a tutte le età.

Libri in uscita, le novità editoriali proposte da ChronicaLibri

Alessia Sità
ROMA – Se siete alla ricerca di un buon libro e non avete idea di cosa leggere, non temete! Prendete carta e penna e annotate le interessanti proposte editoriali che ChronicaLibri ha selezionato per questa settimana. Per gli amanti dell’ecologia e dello sviluppo sostenibile, Edizioni Ambiente suggerisce “La terza crisi” di Danilo Bonato; mentre per gli appassionati di storia, Ortica editrice segnala l’uscita de “La Rivoluzione” di Carlo Pisacane nella collana Le Erbacce. Fra le sue novità, Mondadori annovera  anche l’ultimo lavoro di Andrea Camilleri “Il diavolo certamente”, “L’amore quando c’era” di Chiara Gamberale e “La chiave di Sara” di Rosnay Tatiana, un romanzo da 5 milioni di copie ora anche sul grande schermo. La Giuntina porta in libreria “La foto sulla spiaggia” di Roberto Riccardi, “Una strana fortuna” di Maurice Grosman e “Un cammino lungo un anno” di Drudi Emilio. Ad arricchire il vasto panorama editoriale contribuisce anche Giulio Einaudi editore con I Frank” di Mirjam Pressler, “Violazione” di Alessandra Sarchi e “Voci dal lager” di Mario Avagliano e Marco Palmieri. Inoltre, da non perdere sono le novità di Cavallo di Ferro che propone “Il settimo sigillo” di José Rodrigues Dos Santos e per i prossimi mesi segnala l’uscita dell’inedito romanzo di Josè Donoso“Lucertola senza coda”, “Ovunque io sia” di Romana Petri e “Il ritratto di Venere” di Riccardo de Palo.

Per chi volesse scoprire e ricostruire le figure magiche della tradizione orale in Maremma, edizioni Effiggi consiglia  l’uscita del libro il “ Cerchio magico” a cura di Paolo Nardini.
E per finire il nostro viaggio alla scoperta delle tante novità editoriali, segnaliamo due fra i libri stranieri che il 2012 ci offre: l’attesissimo “Stieg e io. La storia d’amore da cui è nata la Millennium Trilogy” di Eva Gabrielsson, edito da Marsilio, e “Tutte le famiglie sono psicotiche” di Douglas Coupland, pubblicato da Isbn edizioni.

“Il bambino con le braccia larghe”

Giulia Siena
ROMA “Quando hai un fratello matto riconosci qualche spicchio della tua follia nei suoi comportamenti, così come lui cerca disperatamente la sua normalità nei tuoi. L’unica cosa di realmente, profondamente diverso tra lui e me è sempre stato il volume della sua sofferenza, che forse è l’unico aspetto davvero riconoscibile della tua follia.” La storia è vera ed è quella di un bambino che è stato “normale” sino alle soglie dell’adolescenza; poi i suoi comportamenti sono diventati “strani” e i suoi movimenti si sono fatti articolati tanto da camminare tenendo le braccia larghe, staccate dal corpo. Questo ragazzo era Paolo raccontato con straziante e lucido affetto da suo fratello, Carlo Gnetti nel libro “Il bambino con le braccia larghe” pubblicato nella collana Carta bianca della casa editrice Ediesse. Una storia lunga più di quarant’anni viene raccontata ripercorrendone le difficili tappe segnate dal disagio di Paolo. La malattia, le cause, i possibili rimedi e i continui traslochi della famiglia Gnetti fino ad approdare a Roma. Nella capitale, in un periodo cruciale per il trattamento delle malattie mentali, il ragazzo affetto da schizofrenia divenne uomo e provò sulla propria pelle le conseguenze della legge Basaglia.

Le difficoltà provate e le sfide quotidiane da portare avanti contro l’indifferenza sociale sono espresse con una determinazione silenziosa. L’autore riesce a parlare dei continui scontri con le strutture di riabilitazione senza esporsi: la sua figura è celata. La sua scrittura molto democratica crea il giusto equilibrio tra un argomento forte di cui nessuno vuol sentir parlare e il bisogno di far emergere vite dimenticate nell’impossibilità di essere curate.

“Casanova” e la teoria del non promettere promesse

Giulio Gasperini
ROMA –
Denigrato e ingiustamente svilito da una critica attenta alla falsa morale Giacomo Casanova fu personaggio allietante il secolo XVIII, quando ancora l’Italia dettava una linea culturale e non destava gli scherni e la sfiducia degli altri paesi. Roberto Gervaso, leggera penna biografica, ne tratteggia con una straordinaria limpidezza narrativa la vita, nel volume “Casanova” (Rizzoli, 1974), sottotitolandolo “storia di un filosofo del piacere e dell’avventura”.
Casanova prevedibilmente si nutrì all’aria pura di Venezia. Illuminò il suo essere con le antiche prospettive delle rotte commerciali, degli orizzonti lontani, delle terre remote che la Serenissima possedeva e dalle quali traeva la sua ricchezza e quel prestigio che parve intramontabile. Venezia era una città che viveva più sul suo passato che sul suo futuro, ma “la gioia di vivere era nell’aria e tutti la respiravano”. Il suo carnevale era la concretazione più evidente di questa forza edonistica e l’amore veniva cantato persino dai gondolieri, un vero e proprio esercito che sfilava silenzioso tra le nebbie della laguna e si sfidava a colpi di rime e poemi.
Amò sempre Venezia, Casanova: la sentì claustrofobica per quel governo oligarca che non amava le diserzioni civili e temeva le personalità borderline, ma se ne strusse al ricordo quando, esule e peregrino, cercò tutti gli appoggi possibili per rientrarci o come quando, tra le brume della Boemia, guardava fuori dalle finestre della biblioteca polverosa del castello di Dux, diventata tutto il suo mondo, e scriveva in un francese, istintivo e divertito, la storia non ordinaria della sua vita. Fu città dalle scoperte sorprendenti, dai legami avventurosi, dai rapporti violenti; e nessun’altra ne resse il confronto.
Durante i suoi anni tumultuosi, Casanova sviluppò una propria, indiscutibile e assolutamente personale teoria del piacere. Un piacere che partisse da quello carnale, fisico, portato all’estremo sforzo del corpo, per allacciarsi a quello spirituale, arrivando finanche a una prospettiva di squarcio metafisico. Casanova amò tutte le donne che possedé. Le amò pur abbandonandole, perché non faceva loro mai promesse. E loro ne erano consapevoli e accettavano il gioco. Fu sempre sincero Casanova, sempre cristallino nelle sue richieste e nelle sue pretese. Come scrisse Christina Rossetti, poetessa inglese, promise me no promises / so will I not promise you, / keep we both our liberties, / never false and never true: non promettermi promesse così io non prometterò a te; manteniamo entrambi le nostre libertà: niente di falso niente di vero. Se non riusciamo a mantenerle, le promesse, direbbe Casanova insieme a Christina, meglio non farle. Ma amiamoci lo stesso, finché gli dei ci concederanno il tempo! Sicché non fu certo da biasimare Casanova, perché la libertà è supremamente migliore dell’ipocrisia.
Casanova fu tanti personaggi: difficile distinguere l’uomo dalle varie maschere. Ebbe tante professioni non perché indeciso, eternamente sofferente e insicuro, ma perché sempre arduo da delimitare in una sola auto-definizione.