“Scene da una battaglia sotterranea”: l’arte della guerra e gli armadilli.

Giulio Gasperini
ROMA –
Forse, un tempo, la guerra ebbe un’arte: lo dimostrano le teorizzazioni, capolavori letterari più che strategici, da quella del generale Sunzi, nel VI secolo a.C., fino ad arrivare a Machiavelli, nel saggio “Dell’arte della guerra” (1520 ca.). Rodolfo Fogwill, nel suo straziante romanzo “Scene da una battaglia sotterranea”, pubblicato finalmente in Italia da SUR (2011), parrebbe raccontarci, all’opposto, una guerra che è tutto fuorché arte. Che è piuttosto bizzarra ironia dell’umano, sadica dimostrazione di ferocia, inaudita e immotivata violenza. Una guerra, insomma, che non rimane su carta, sulle mappe, sugli spostamenti delle pedine (una specie di Risiko istituzionale), ma che colpisce e affonda la carne, strazia e strania, abbatte e lascia incompiute le ore.
Scritto in soli tre giorni, durante l’assurda guerra delle Malvine (o, a preferenza, delle Falkland), il romanzo assume un punto di vista radicale, ma che mai diventa straniante; è un punto di vista che ci rende sempre protagonisti estremi della Storia. Siamo trascinati e trattenuti sottoterra, in gallerie e cunicoli dove vive, ridotta al buio e all’umidità, una società che si crea alternativa al mondo, che in cambio di sigarette e scatolette di cibo tradisce il suo ruolo e i suoi compatrioti, che avvantaggia il nemico ma sentendosi, così, paradossalmente, meno sola, meno sfruttata, meno dimenticata e illusa che difendere la patria sia il dovere di ogni cittadino, per la sopravvivenza dell’integrità della nazione offesa.
Sono gli armadilli, “Los pichiciegos”: soldati argentini costretti, come i totemici animali dell’America latina, a vivere nel sottosuolo, a percorrerlo e a sentirselo come una casa. Il titolo originale è proprio questo: “Los pichiciegos”, perché loro sono i catalizzatori della vicenda, loro sono i più evidenti risultati che la guerra, nella sua idiozia senza fine, nella sua più totale ed esclusiva mancanza d’arte, produce e alimenta. La guerra fa rumore alle loro spalle, sopra le loro teste, bombarda e soffoca, si sviluppa secondo le sue regole strane e stranianti. Ma, alla fine, la guerra diventa un pretesto, un accidente che autorizza a soffermarsi su quella società alternativa e straordinaria (perché fuori dal consueto); tanto che non sarà la guerra a ucciderli, ma un banale incidente causato da una loro trascuratezza. Fogwill vuole dirottare il nostro interesse verso questi uomini, verso la loro caratura umana, che si trovano ridotti ad animali, a bestie condannate e dimenticate da qualsiasi logica del mondo: ce li porge, ce li offre, ponendoli alla ribalta del testo, con uno sguardo che piega a benevola compartecipazione.
Grazie a SUR, una casa editrice indipendente e nata senza alcun capitale, attenta al rapporto coi librai indipendenti e alle nuove frontiere che la società impone di valutare, la letteratura latino-americana sta riscoprendo nuove voci, al di fuori dei soliti grandi blasonati (ma che poco osano e si innovano). Voci che nuove lo sono soltanto per noi, lettori italiani, ma che ci permettono di ammirare nuova letteratura e di leggere pagine d’inaudita bellezza, dove la febbre delle parole si allaccia alla passione politica e sociale.

“Volevo essere Coco Chanel” o almeno trovare un posto fisso e non annoiarmi

Marianna Abbate
ROMA “Volevo essere Coco Chanel.” Ah quante di noi si sarebbero accontentate di diventare una delle sorelle Fendi. Ma nei libri, si sa bisogna sognare in grande. Vanessa Valentinuzzi al suo esordio letterario con Avagliano Editore, ci racconta una storia tra il romanzo allegro sullo shopping – che negli ultimi anni abbiamo imparato ad amare – e la nuda, cruda e triste realtà italiana sul precariato.

Non riesce a resistere ai vezzi stilistici, tanto che chiama la sua protagonista Ottavia Brandeschi: un nome da favola, decisamente nobile.
Si parte dal lavoro dei sogni, dal fidanzato dei sogni e dalla città dei sogni, o almeno di quelli legati alla moda: Milano. Ottavia fa la shoes designer, ovvero disegna scarpe per un marchio famoso, è fidanzata un giovanissimo modello e la sua vita sembra avere preso una piega molto positiva. Finchè tutto gli crolla addosso: perde lavoro, casa e fidanzato e si ritrova a lavorare in un call center a Roma.

Una storia comune nell’Italia dei nostri tempi, dove non importa quanto hai studiato o quanta esperienza hai, ma chi conosci e chi ti potrebbe dare una spintarella. E’ pur vero che l’autrice non rinuncia all’happy ending, ma è chiaro che si tratta solo di un sogno, qualcosa di immateriale che accade nei libri, dove un bel finale non si nega a nessuno. Potrebbe aver iniziato un nuovo genere letterario. Forse un giorno qualcuno scriverà un romanzo alla Valentinuzzi, come si parla oggi della Kinsella. Ma non voglio sembrarvi troppo negativa: i sogni a volte si avverano! E se anche così non fosse, i sogni sono una delle pochissime cose che non costa nulla.

 

Diventare un mito, seguendo i dieci consigli di Michele Monina

recensione chronicalibri laurana editore moninaStefano Billi
ROMA – Dieci solitamente è un numero adatto alle classifiche, alle valutazioni. “Da zero a dieci”, e tutto può essere ponderato utilizzando questa forbice.

Ma dieci è anche il numero dei consigli, in particolar modo quelli che Michele Monina propone ai lettori per raggiungere il successo, col suo nuovo libro “10 modi per diventare un mito (e fare un sacco di soldi)”, pubblicato da Laurana Editore.

Perché per diventare ricchi e famosi, per arrivare alla celebrità, ci sono alcuni “passaggi obbligati” da percorrere: ad esempio, scegliersi un nome memorabile, oppure essere designati come giudici di un reality show, fino poi a sfornare una hit musicale che penetri irreversibilmente nelle orecchie di chi l’ascolta.

Così, in maniera divertente, Michele Monina tratteggia dieci tattiche per trasformarsi in miti di prim’ordine, riempirsi di denaro, essere osannati dalle folle e spopolare in tv.

Il periodare giovanile e assolutamente colloquiale rende poi il testo largamente fruibile, pratico da leggere e quasi scomponibile, a mo’ di vademecum sulla celebrità.

Il taglio scanzonato delle pagine non deve comunque distrarre dall’acume dell’autore nel presentare i modi che oggi sono in gran parte efficaci per diventare un mito.

Michele Monina descrive sotto forma di suggerimenti quelle strategie e quelle tattiche che gli artisti e le star maggiormente in voga hanno sfruttato per accaparrarsi la cresta dell’onda.

Dunque, ad una lettura attenta di “10 modi per diventare un mito (e fare un sacco di soldi)”, si può anche capire come funzioni la società contemporanea, quali siano i suoi valori. Si può poi comprendere come, talvolta, il talento possa rivestire un ruolo di secondo piano, perché in fin dei conti ciò che importa è apparire. Perciò, non c’è da stupirsi se, anziché lo studio e l’abnegazione, sia piuttosto l’eccentricità – a volte tendente perfino al ridicolo, all’inopportuno e magari al volgare – il grimaldello che permetta alle giovani leve, aspiranti protagonisti del mondo, di farsi strada nella lunga e faticosa via per diventare qualcuno.

In riferimento al mood frizzante del libro, merita una menzione anche la prefazione di Gianni Biondillo, sarcastica, irriverente, ma forse in fondo vera nei suoi luoghi comuni sul successo e sul chi fa successo.

Perciò, se sognate la fama, se ambite alla celebrità, se vi immaginate come i protagonisti assoluti del domani,  i “10 modi per diventare un mito (e fare un sacco di soldi)” di Michele Monina possono rappresentare il giusto inizio dell’impresa.

“Le dodici tavole. Le prime leggi dell’antica Roma” per tutti

le dodici tavole nuove edizioni romane recensione ChronicaLibriGiulia Siena
ROMA
” Esplose poi la notizia che, nella nuova riunione del Senato, Appio Claudio contrariamente alle attese, e lontano dal ribadire le tesi dei conservatori, aveva riconosciuto l’opportunità, e addirittura la necessità, di una raccolta scritta delle leggi di Roma”. Siamo nel 450 a. C. circa e ci troviamo nell’antica Roma. E’ questo il periodo di svolta per l’impero: Tarquinio Prisco e Servio Tullio, entrambi re etruschi, portano Roma a una straordinaria crescita, tanto che la città diventa una vera e propria potenza, oltre che il nodo cruciale per il commercio con i Cartaginesi. A raccontarci in modo semplice e lineare l’antica Roma e la nascita delle prime leggi di diritto romano è Luigi Capogrossi Colognesi, nome illustre tra gli accademici. Il professore, cambiando la sua solita platea, parla ai bambini e ai ragazzi nel libro “Le dodici tavole. Le prime leggi dell’antica Roma”, bellissima novità delle Nuove Edizioni Romane. “Mi sono reso conto che mancava del tutto un elemento che valeva la pena approfondire. […] – ha dichiarato l’autore nell’introduzione del libro – Si trattava per me dunque di narrare, in particolare ai più giovani, come proprio quel diritto è stato poi, ed è tuttora, strumento indispensabile per governare le nostre società e orientarne lo sviluppo“.

In un momento di grande fermento, le Dodici tavole rappresentavano la svolta democratica per una società che vedeva contrapporsi patrizi e plebei. Il valoroso Appio Claudio, comandante delle legioni straniere, si accorse che l’impoverimento della plebe potesse causare diversi problemi anche ai ricchi di Roma, i patrizi. Toccò quindi al Senato – un organo fondato da Romolo per dar voce decisionale agli “anziani”-  far redigere delle leggi scritte che mettessero ordine nei rapporti tra cittadini per lo svolgimento della storia a venire, fino a noi.

Un volume essenziale questo di Luigi Capogrossi Colognesi che districa anche i nodi più difficili del passato, rendendo ancora più affascinante la storia del grande impero romano.

 

 

“Cronache da un mondo (im)possibile”: intervista a Frank Solitario. Ma davvero, come ti chiami?

intervista Frank SolitarioGiulia Siena
ROMA
–  “Cronache da un mondo (im)possibile” è un romanzo costruito su racconti ironici e a quasi paradossali, un libro nel quale confluiscono ironia, dolcezza e sguardo analitico. Dietro le “Cronache” c’è la penna di Frank Solitario, uno pseudonimo che cela un abile comunicatore/osservatore.
Appena lo incontro, non contenta del nome d’arte, gli chiedo curiosa il suo vero nome… nulla da fare, Frank rimane sul vago. Ma ho l’arma dell’intervista: non potrò scoprire il suo vero nome, ma tutto il resto sì!

 

“Cronache da un mondo (im)possibile” si apre con diversi racconti suddivisi in “venti stanze”, tu quale stanza preferisci?

La ventesima.
Dalle pagine emerge una dolcezza particolare. E’ così?
Si, è tutto così ironicamente e drammaticamente fuori posto in quel racconto (Un futuro remoto): l’editoria ottusa e miope, l’autore tronfio che pensa di fare capolavori d’avanguardia (io stesso), gli stupidi compromessi per diventare qualcuno che non sei.
Un racconto intenso è quello dei due manichini che si innamorano. Come è nato quel racconto, cosa ti ha spinto a dare vita a due esseri inanimati?
I manichini prendono il posto di uomini e donne che smettono di essere vivi poiché perdono la capacità di provare sentimenti. Ho sentito subito che alla deumanizzazione potesse fare da contraltare l’anima profonda e commovente degli oggetti inanimati.
Il tuo romanzo procede per figure, cioè tutti i racconti diventano “visibili” agli occhi del lettore.
Il mio è un approccio visivo; scrivo così come si gira un cortometraggio. Una volta che fisso l’immagine iniziale poi tutto si svolge indipendentemente da me. Quando tutto si è svolto è necessario dargli una forma narrativa, altrimenti non si ottiene qualcosa di significativo. La mia scrittura nasce dall’emotività e poi viene rivista, sviluppata in base al mio stile narrativo.
Quindi il senso fondamentale per te è?
E’ la vista. E’ fondamentale perché con la scrittura doni immagini, sei il regista di un film che il lettore riproduce secondo la sua sensibilità  leggendoti. Con la scrittura puoi far vedere quindi; rispetto alla cinematografia hai il vantaggio di lasciare decidere al lettore come immaginare quello che tu gli stai descrivendo.
Il racconto per me cruciale del tuo libro è quello in cui un vecchio nobile decaduto si alza tutti i giorni per aprire e chiudere a fatica le finestre delle sue venti stanze. Questo personaggio è la personificazione di un’attesa?
Questo personaggio è attesa e lotta. L’uomo nella sua vecchiaia, ormai stremato dalla vita, per me è un personaggio epico. Nonostante la consapevolezza della mancanza di senso dei suoi giorni, ogni mattina lotta con tutte le sue forze per conquistarlo un senso, è un eroe epico che non sa accettare l’ arrivo del buio.
Accanto a te in questo libro c’è stato il lavoro di consulenza di Veruska Armonioso, editor dell’Agenzia Letteraria Verba. Come avete lavorato e in cosa è cambiato “Cronache..” dopo il lavoro con la Armonioso?
Veruska è intervenuta sul testo solamente per perfezionare alcuni dettagli rispettando il mio stile. Credo che l’editing debba essere solo un lavoro di limatura senza snaturare il carattere dell’autore. L’editor è colui che serve anche a tirar fuori, a plasmare il carattere di un autore che ha già in sé molta forza espressiva. L’autore deve riconoscere la piena autorità dell’editor per tutto quanto non ha a che fare con il suo stile di scrittura. Struttura del manoscritto, copertina e molte altre cose che contribuiscono a rendere inattaccabile il tuo lavoro dal punto di vista formale. Veruska in “Cronache da un mondo (im)possibile” mi ha aiutato ad individuare un filo che intrecciasse tutti i racconti in un unico romanzo. Un procedimento fondamentale soprattutto in Italia dove c’è una diffidenza di fondo verso i racconti.
E qual è il fulcro del tuo romanzo?
La presa di coscienza del percorso dell’esistenza. Ogni personaggio affronta le tematiche fondamentali dell’esserci, in fasi della vita diverse. Rimango sempre più colpito dal modo in cui la gente percepisce la realtà. Le persone si lasciano coinvolgere molto di più dalle morbose immagini dei media, dalla fiction costruita intorno alle notizie che dalla propria vita. Vorrei far distogliere lo sguardo dalla realtà rappresentata in modo morboso e riportare l’attenzione su di una finzione narrativa che spera di essere talmente interessante da farci perdere prima e ritrovare poi.
Pretenzioso?
E’ solo il modo in cui si comunica verso l’esterno che può essere pretenzioso. L’ideale espressivo a cui aspiro è quello di comunicare con diversi strati di profondità a seconda dell’interpretazione del lettore, ma di arrivare in qualche modo a più persone possibile. 

Che cos’è la comunicazione per te?
E’ solo un mezzo a disposizione per veicolare un contenuto.
E’ fondamentale non ingannare il lettore come fanno alcuni critici letterari su stimati giornali; qualche giorno fa è stato dato voto 10 all’ultimo libro di Faletti; assegnare 8 sarebbe già stato uno sproposito, ma un 10 significa perdere ogni freno inibitorio.
Non oso pensare a quale voto si potrebbe dare ad una riedizione della Divina Commedia.
Come sei arrivato a pubblicare con Il Foglio Letterario?
Ho conosciuto l’editore, Gordiano Lupi, attraverso il suo libro “Nemici miei” e l’ ho subito amato. Mi sono detto: chi è questo pazzo che si presenta al mondo editoriale facendosi odiare da tutti? Devo conoscerlo.
“Cronache da un mondo (im)possibile” è il secondo libro che pubblico con questa casa editrice toscana dopo “Storie ai minimi termini”.
Loro partendo dalla gavetta sono riusciti a portare due libri in finale al Premio Strega. Speriamo nei detti popolari e nella cabala.
Le tre parole che lo scrittore Frank Solitario ama?
Niente, nulla e zero. Ma non le scrivo mai proprio perché le amo.
Perché, tendi a tutelare ciò che ami?
Oscillo tra due opposti inconciliabili: il Nulla e il Tutto. La scrittura è forse il mio punto d’ equilibrio.

“Eurodeliri” targati Giorgio Forattini

Stefano Billi

Roma – Ogni anno porta con se nuovi appuntamenti, nuovi eventi, ma anche belle tradizioni che si ripetono da tempo e che vale la pena possano ripetersi ancora per molto.

Ad esempio, i libri di Giorgio Forattini sono un piacevolissimo appuntamento letterario che gli amanti della satira, e non solo, non possono proprio perdere.

Perciò, “Eurodeliri” – uscito da poco in tutte le librerie per le edizioni Mondadori – firmato appunto da Giorgio Forattini, è un condensato di umorismo, simpatia e arte che non ci si può davvero lasciar scappare.

Tra le pagine del libro, infatti, spiccano numerosissime tavole che aiutano a far sorridere sugli eventi allegri e tristi della storia recentissima di questo stivale nostrano, sempre più avvolto dal gelo e dalla crisi.

La matita del mirabolante vignettista disegna così le facce di quei personaggi che caratterizzano l’attualità e proprio attraverso il tratto inconfondibile dell’artista romano prendono vita caricature capaci di raccontare più di ogni altro editoriale da carta stampata.

Insomma, Forattini è un narratore d’Italia, fotografo puntuale e raffinato di ciò che accade e del perché accade.

In fin dei conti, satira vuol dire ironizzare e polemizzare con astuzia sottile, perché forse è tra un sorriso a pieni denti che trovano spazio le verità più sincere.

Sicuramente “Eurodeliri”, col suo sguardo spiritoso sulla politica e sui fatti quotidiani, sarà una deliziosa lettura per tutte le età, da gustare ripetutamente per la sua freschezza e vivacità.

Lunga vita alle vignette!

I viaggiatori viaggianti che trovano a “Marrakech” il loro altrove

Giulio Gasperini
ROMA – Esther Freud
ha un cognome pesante, gravido di responsabilità: figlia del pittore Lucian Freud e pronipote del grande Sigmund, intraprese un percorso d’arte dissimile a quello dei membri del suo albero genealogico, ma non per questo meno ficcante e utile. Il suo romanzo “Marrakech” (che, nell’originale, si intitola “Hideous Kinky”, due termini ovvero intraducibili in italiano senza perdere completamente il loro sapido significato di ‘orrendo perverso’), edito dalla Voland nel 2011, in una collana – Amazzoni – riservata alle femminili “stelle guerriere”, traccia un percorso di crescita che concretamente si configura come un percorrere sentieri e impolverarsi i piedi.
Cosa c’è, infatti, di più utile e migliore che camminare davvero sulle strade del mondo? Che essere viaggiatori viaggianti alla ricerca di una nuova curva di orizzonte? Il romanzo della Freud è geometricamente perfetto: comincia all’approdo in Marocco di uno sconclusionato manipolo di personaggi e finisce sui movimenti della loro partenza. Come sempre accade, è un congedo che non è mai un addio, perché le scoperte e le ricchezze dell’esplorato nuovo mondo rimangono aggrappate alle anime dei viaggiatori: loro stessi ne fanno tesoro e impastano al proprio sé tutti i dettagli di quella che sarà un’evoluzione del proprio intimo.
La genialità del romanzo della Freud sta nel presentare la vicenda con un’attenzione spasmodica alla descrizione dell’evento, del gesto, dell’atto. Il romanzo è comparabile con un vero e proprio rosario di situazioni descritte nel loro svolgimento, senza concentrarsi troppo – o troppo manifestamente – sull’analisi chirurgica dell’interiorità. I pensieri, i tremori, gli entusiasmi, l’inevitabile crescita che ogni personaggio edifica sullo sfondo esotico della kasba quasi mistica o del suq affollato e straripante di oggetti e persone son tutti presentati al lettore in sottrazione, mai in aggiunta: una serie, ovvero, di fotogrammi in sequenza, allacciati tra di loro, che completano un affresco di inaudita potenza narrativa e descrittiva.
Brulica, il romanzo, di personaggi, di volti, di nomi e di facce. Di sorrisi e di lacrime. Di insetti e di carezze. Ma soprattutto di piedi, tutti impolverati e pesanti di viaggio. Camminano tutti, in questo romanzo, anche chi pare arrendersi e non voler più proseguire; anche chi pare perdersi o volontariamente latitare; anche chi pare fuggire e poi tornare. La mèta è sempre quella che ci poniamo noi, senza nessuna pretesa di esser la più giusta o l’unica corretta. Esther Freud pare proprio voler dirci questo: qualsiasi altro nostro altrove è giusto, se lo decidiamo noi (per noi). Basta soltanto che, nel futuro (prossimo o anteriore) non recriminiamo.

I 10 Libri più venduti della settimana… non abbiamo detto i più belli!

1. Il diavolo certamente di Andrea Camilleri (Mondadori), 10,oo euro

2. La carta più alta di Marco Malvaldi (Sellerio), 13,00 euro

3. Amore, zucchero e cannella di Amy Bratley (Newton Compton), 9,90 euro

4. Nebbia rossa di Patricia Cornwell (Mondadori), 20,oo euro

5. Le prime luci del mattino di Fabio Volo (Mondadori), 19,oo euro

6. I menù di Benedetta di Benedetta Parodi (Rizzoli), 15, 90 euro

7. La dieta Dukan di Pierre Dukan (Sperling&Kupfer), 16,oo euro

8. Grazie no di Giorgio Bocca (Feltrinelli), 10,oo euro

9. Il meglio di me di Nicholas Sparks (Frassinelli), 20,oo

10. L’educazione delle fanciulle di Luciana Littizzetto e Franca Valeri (Einaudi), 10,oo

*Dati: Corriere della Sera – Immagine: Panorama

Toilet, racconti da leggere in bagno.

Marianna Abbate
ROMA – Nell’anno passato mi sono incontrata veramente di sovente con un’ossessione nei confronti dell’attività da bagno. Il primo ritrovo è avvenuto nell’estate, quando ho sfogliato la rivista fotografica “Toilet paper”, con immagini a dir poco inquietanti e una copertina molto ambigua. Poi una ragazza, amica di amici, ha portato il suo libro appena pubblicato, che aveva in copertina un bel rotolo di carta igienica ed era stato scritto, secondo lei, proprio per una lettura in bagno. Ma all’origine di tutta questa tendenza sui racconti e articoli da “bagno” c’è 80144 Edizioni. E’ il 2007 quando la casa editrice romana pubblica “Toilet” una raccolta di racconti da leggere in bagno.  Ad oggi toilet ha pubblicato oltre 150 autori, tra i quali spiccano i nomi di Antonio Pennacchi e Pulsatilla e moltissimi autori emergenti.  “Toilet anno uno” raccoglie i racconti di 17 autori per un libro di 15o pagine che vi indica anche i tempi di lettura, così, per ogni vostra esigenza. Vi chiederete, perché qualcuno debba scrivere una cosa simile? Non è forse meglio scrivere per un cassetto che scrivere per un WC? Ebbene, per quanto io sia tentata di dirvi alla Fiorello/Brunì que volgaritè, devo riconoscere che l’idea non è poi tanto malvagia. Effettivamente in quel luogo specifico, potrebbe essere meglio leggere un libello così piuttosto che scomodare un possente romanzo. Non ve la prendete, giovani autori, per aspera ad astra: ora la gavetta dello scrittore passa dalla toilette. Non so dirvi se tutti i racconti hanno la medesima funzione lassativa: alcuni sono divertenti, altri fanno ridere un po’ meno. Ma se pensate che questo è il meglio di un anno di racconti già pubblicati, potete fidarvi almeno un po’ e ingerire questa pastiglia invece del solito SanPellegrino.

Leggi che fanno ridere e sentenze che fanno piangere dal ridere

Stefano Billi
ROMA – Che l’Italia sia un popolo non solo di santi, navigatori e poeti, ma anche di legislatori, questo i cittadini lo sanno bene. Perché in Italia di leggi ne sono state approvate moltissime, così tante che si è addirittura addivenuti a coniare il termine dell’ipertrofia normativa, proprio per indicare l’incredibile ammontare di regole di condotta a cui devono conformarsi i consociati. Ed è quasi lapalissiano riconoscere che tra quella moltitudine di norme, talune manifestino un contenuto irrilevante per la società a fronte dei cambiamenti socio-culturali occorsi nel tempo all’interno della realtà nazionale.

Di questo, e di alcune determinazioni creative della giurisprudenza italiana, si occupa il libro intitolato “Bestiario giuridico 1. Leggi che fanno ridere e sentenze che fanno piangere dal ridere”, scritto da Giuseppe D’Alessandro e pubblicato dalle edizioni Angelo Colla. Questo testo ha la caratteristica di avvolgere l’autore in un raffinato clima umoristico, che lascia sorridere di fronte a leggi e sentenze dai contenuti spesso esilaranti. Dimostrazione questa che il diritto non è una campo del sapere arido e sterile, ma piuttosto assolutamente vivo, dinamico e talvolta divertente. Tra le pagine, dunque, prendono voce numerosi esempi della creatività legislativa e giurisprudenziale italiana, tutti elencati con una precisa attenzione dell’autore nella citazione delle fonti giuridiche inserite nell’opera. Non solo, perché Giuseppe D’Alessandro riporta pure le bestialità che in campo normativo affliggono l’ordinamento europeo.

Insomma, questo “bestiario giuridico” descrive quali e quanti mostri traggono vita nel panorama della creazione del diritto e della sua applicazione, lasciando intendere tra le righe tuttavia che in molti casi, di fronte alla richiesta di giustizia, il cittadino trova solo la dura ed implacabile legge.

Un libro consigliato a tutti, non solo ai cultori delle materie giuridiche, perché – parafrasando un celebre brocardo latino – il diritto è anima e struttura della società in cui viviamo.