"I grandi casi di Sherlock Holmes": elementare Watson!

Marianna Abbate
ROMA
– Tutti conosciamo Sherlock Holmes, l’infallibile detective per antonomasia, che scioglie misteri irrisolvibili agli occhi dei comuni mortali. Ma quanti saprebbero enumerare i suoi più torbidi segreti? Quanti conoscono il vero Sherlock che si nasconde dietro alla lente d’ingrandimento e al fumo dell’inseparabile pipa?

Grazie alla raccolta dei romanzi di Sir Arthur Conan Doyle, pubblicata da Newton Compton, possiamo approfondire la nostra conoscenza su questo insuperato maestro del crimine.  La raccolta comprende quattro romanzi,i tra i quali spiccano “Uno studio in rosso” e “Il cane dei Baskerville”, due capolavori del giallo. Dalle intriganti pagine di sir Arthur apprendiamo che Holmes era un cocainomane, depresso, che non riusciva a vivere appieno senza l’emozione che traeva soltanto dalla risoluzione dei casi più arzigogolati. Guidati per mano dal dottor Watson veniamo a conoscenza del fatto che il detective non provava alcuna attrazione per le donne e per la sessualità in generale, ma riusciva ad appassionarsi  agli studi sui diversi tipi di terriccio presenti a Londra e sulle innumerevoli  qualità di ceneri di tabacco, tanto da riuscire a distinguerle a prima vista.
Conan Doyle non nascondeva di aver tratto l’ispirazione per il suo personaggio dalle pagine dei gialli di Edgar Allan Poe, traendo spunto dalla figura dell’investigatore Dupin anche nel metodo deduttivo e risolutivo dei casi,tanto che alcuni dei racconti di Doyle potrebbero tranquillamente essere accusati di plagio. Ma i romanzi di sir Arthur sono riusciti a ricavarsi un proprio, meritatissimo, posto nella biblioteca dei classici, appassionando milioni di lettori e contribuendo in maniera sensibile al successo del giallo.  

"Bianca come il latte, rossa come il sangue", ultima lettura del 2010

Alessia Sità
ROMA – L’adolescenza come un tempo dove tutto può accadere, ma anche come passaggio fondamentale nella vita di un ragazzo, che inizia a guardare al mondo con occhi adulti. È questo il filo conduttore di “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, il romanzo di esordio di Alessandro D’Avenia, pubblicato da Mondadori nella collana Scrittori italiani e stranieri.
Leo è un ragazzo come tanti, ha sedici anni, ama giocare a calcetto e le chiacchiere con i suoi inseparabili amici: Niko e l’affidabile Silvia. È un ragazzo molto vivace e intelligente e talvolta anche molto cinico, soprattutto con i professori, che ritiene ‘sfigati’ e noiosi. Almeno fino a quando non arriva un nuovo supplente di filosofia, un ragazzo giovane, con una luce particolare negli occhi, che esorta gli studenti a realizzare il proprio sogno senza arrendersi di fronte alle difficoltà. Grazie alle parole del ‘Sognatore’ , soprannome dato all’insegnante, Leo si sente più forte e sicuro, ma nonostante tutto le cose nella sua vita continuano ad avere solo due colori: il bianco e il rosso. Il bianco è il colore dell’assenza, del vuoto, della paura, mentre il rosso è quello della passione, dell’amore. Rosso è il colore di Beatrice, la ragazza di cui si è innamorato. Improvvisamente, però, nella vita di Leo il rosso sparisce e tutto diventa terribilmente bianco, è il colore della malattia. Attraverso l’esperienza del dolore e della perdita il sedicenne troverà il coraggio di affacciarsi alla vita senza mai smettere di sognare.
“Bianca come il latte, rossa come il sangue”, non è semplicemente una dolce storia d’amore che ha il potere di riportaci agli anni indimenticabili del liceo, ma è anche una riflessione sul mondo degli adolescenti e su come talvolta l’esperienza della sofferenza porti alla scoperta della propria essenza.
Alessandro D’Avenia, “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, Mondadori, € 19,00

"All’ombra di Caravaggio", un’ipotesi non fa la storia. Ma la umanizza.

Giulio Gasperini

ROMA – Perché no?!? Tutto sommato, degli ultimi giorni del divin pittore non sappiamo granché; quasi nulla, anzi. Adesso, finanche per la scienza, Michelangelo Merisi da Caravaggio, pittore più acclamato in Europa ma più braccato nella penisola italica, morì e fu sepolto a Port’Ercole, deliziosa piega di costa del Monte Argentario, nella Maremma toscana. La verità non è che un’ipotesi, più o meno romanzata, più o meno fantasiosa: ma pur sempre un’ipotesi. Perché i documenti tacciono, gli archivi han sottratto, la memoria si è persa. Ed ecco dove arriva in aiuto la letteratura. Susanna Cantore giustifica la sua “ipotesi narrativa sugli ultimi giorni di Michelangelo Merisi” con le seduzioni che, in tempi di gioventù, una statua eretta a memento nella pineta della Feniglia esercitava su di lei. , libricino pubblicato nel 2010 dalla effequ – casa editrice con sede, appunto, a Orbetello – è un tentativo fantasioso e tutt’altro che banale di dar voce alla storia che storia non è, perché senza prove, ma leggenda e fantasia. A parlare è una donna, in un mondo (e in una storia) dove di uomini ce ne sono in abbondanza (tra papi, cardinali, sicari e protettori) ma le donne son confinate al ruolo di sbadate ombre, di evanescenti profili.
“All’ombra di Caravaggio”
Le donne, in realtà, son due: una monaca dalla vocazione fragile, dall’istinto pittorico, che accoglie l’ospite febbricitante e delirante, sfregiato nel volto e nell’animo; e un’altra, più immateriale, presente soltanto in una manciata di versi che accompagna il racconto, che sostiene la personalità della monaca e che strappa un sorriso amaro al morente: Vittoria Colonna, raro esempio di poesia al femminile mai rinnegata dalla letteratura italiana accademica. La monaca ci scorta in questo percorso all’assoluzione del Caravaggio, mèta ultima forse (a dir la verità) troppo accelerata e scontata: sia perché concessa e riservata soltanto a lei (e non all’ufficialità), sia perché quasi estorta da quel comune sentimento umano dell’angoscia in articulo mortis. Però s’è detto che, delle ore che precedettero la morte del pittore, niente se ne sa e tutto si può immaginare, sicché si può persino perdonare questa scantonata moraleggiante verso un pentimento che non è necessario, né doveroso, ci sia stato (e, in più, finanche la monaca, definitivamente spezzatasi la sua vocazione dopo lo scontro con Caravaggio, sarà condannata per eresia).
“All’ombra del Caravaggio” ci sorprende: perché ha il coraggio di giocare con la storia, d’immaginarla estendersi verso altri confini, verso nuove prospettive, dando carne e fiato anche a personaggi collaterali, creati ma verosimili; ma ha il coraggio di mantenere chiaro ed evidente che la fantasia, in questo caso, è una suggestione infantile, e che la storia dovrebbe essere piuttosto certezza dell’evento.

"Il pasticciere di Buenos Aires", Angelo Ronsivalle torna in libreria con ricordi e ricette

Giulia Siena
ROMA – Un viaggio lungo quasi sessant’anni è quello che intraprende un vecchio pasticciere siciliano nel raccontarsi al nipote lontano.
Autore de “Il pasticciere di Buenos Aires” è Angelo Ronsivalle, veterano narratore di storie dall’innata forza emotiva targate Fermento. Attraverso un racconto intervallato dalla lettura del suo “diario di bordo”, il pasticciere ricompone la sua storia dal letto di ospedale dove ora si trova ricoverato a causa di una grave malattia. Con la vecchiaia e grazie alla curiosità del nipote, Pietro ha la forza di riaprire un diario chiuso nel 1949 e interpretare quelle pagine ricche di sofferenza, ricordi e voglia di cambiamento. E’ più di un cinquantennio che ha abbandonato la sua amata isola per emigrare in Argentina, terra di fortuna e punto di partenza per cancellare il passato.
Infatti, Pietro vuole lasciarsi alle spalle un amore sbagliato e “scappare” in una terra abbastanza lontana per il dolore di chi abbandona. I suoi bagagli sono ricordi ingombranti: le amicizie, gli ideali, la famiglia, i sapori e i colori sono le cose che non potrà portare via con sé, ma nelle braccia ha un mestiere che Alberto gli ha insegnato con passione e familiarità.
Pietro diventa Don Pedro, maestro della rinomata pasticcieria “Roma”, uomo facoltoso che ogni giorno cerca di costruire la sua vita non dimenticando la Sicilia, ma la sua irrequietezza e i giochi del caso lo porteranno a sorprendersi ancora.
“Il pasticciere di Buenos Aires” è un romanzo che unisce il diario al racconto, le ricette alle sfumature storiche, le venature del genere giallo a un grande racconto familiare per raccogliere al suo interno una trama forte con personaggi ricchi di carattere e determinazione. Angelo Ronsivalle si conferma abile “tessitore” di opere originali, questa volta arricchite da un ricettario essenziale e indispensabile.

"Delirio": un eroe sboccato e spernacchiante. Ma fiero d’esserlo

Giulio Gasperini

ROMA – Gli eroi, si sa, ormai da molto tempo latitano. Non ci son più gli Achilli e gli Ettori di una volta, quegli eroi sempre così fieri, sempre così perfetti, sempre così nel giusto anche quando nella colpa; sempre così alteri e sicuri, senza mai un’incrinatura nei loro palmi sinistri. Oramai l’eroe s’è convertito in un inetto, e le rare volte che compare, lo fa in maniera grottesca, strappandoci risate amare e ghigni increduli, lasciandoci l’amarezza dell’ennesimo mito violato. L’inettitudine è caratteristica peculiare, quasi definitoria, del ‘900: da Mattia Pascal per arrivare agli imbarazzanti eroi del post-moderno, sempre alla ricerca d’una redenzione impossibile perché inesistente. Ma in questo romanzo, dal titolo compromettente (“Delirio”, Mondadori, 1977), la grande scrittrice umbra, nata fra angeli e demoni, Barbara Alberti, ci costringe oltre; ci dirotta altrove, ben più in là: ci spinge sui sedili con un’accelerazione alla demenza, all’iperbole, alla provocazione palese e disarmante, ma mai pura e semplice volgarità.
L’eroe dell’Alberti è un omuncolo spernacchiante e triviale, sboccato e incontinente (non soltanto verbalmente). È un vecchio che aggredisce il buon senso e lo vìola, lo scardina senza preoccuparsi delle conseguenze, infischiandosene delle leggi morali, del perbenismo imperante, di quella società che confina e degrada la vecchiezza a un soggiorno in una casa di riposo, quanto più lontano possibile da casa. Un esilio imposto che sa di violenza, ben più grave di quella sessuale, che poi violenza non è: soltanto atto consenziente (anche se fuori luogo).
Mai titolo fu, forse, più azzeccato di questo; più profetico. La Alberti ci soffoca, in un vero e proprio delirio, in una rapsodica girandola di pensieri e parole: come una marea che incalza e si ritira a intervalli regolari, fino al momento in cui tutto è sommerso, e condannato all’apnea. Ci troviamo boccheggianti, sopraffatti dall’irruenza e dalla virulenza verbale di queste pagine, piene di parole da oscurare con gli asterischi, ma che paion sempre così perfette, così indicate, non appena se ne capisce la funzione.
Il nostro mondo attuale, quello di feisbuc e di altri luoghi di socializzazione (che han tristemente sostituito le piazze e i bar), è saturo di trivialità, soprattutto verbali, da non farci più caso, da essere state assunte finanche dal vocabolario come puri e semplici significanti; spesso, addirittura, come intercalari. Ma nel 1977, quando uscì questo romanzo, le “freg**” e i “caz**” eran parole bandite, indicate come profane del buon costume, della decenza. E l’Alberti non poté certo resistere: usò quelle parole come mattoncini, edificando la sua turris eburnea; e, con merito, scandalizzò.

"Il quinto figlio" di Doris Lessing

Alessia Sità
ROMA – “Questo libro l’ho scritto due volte. La prima versione era meno cruda, poi mi sono detta: ‘cara mia stai barando. Se succede davvero, sarebbe molto peggio di così.’ E allora l’ho riscritto portandolo alle conseguenze estreme”. Così Doris Lessing, premio Nobel per la letteratura nel 2007, presenta uno dei suoi capolavori: Il quinto figlio pubblicato da Feltrinelli nella collana Universale Economica. Un romanzo scorrevole e fluido nello stile, ma particolarmente impegnativo per la delicata tematica trattata. Il bene e il male entrano costantemente in gioco e il confine è veramente sottile.

Harriet e David, una coppia come tante, sogna di trovare la felicità all’interno della propria famiglia, il loro desiderio li porta ad avere una grande casa e a mettere al mondo quattro splendidi figli, ma per loro non è ancora abbastanza. E infatti, il quinto figlio non tarda ad arrivare. Presto però la gravidanza si rivela essere molto difficile, diversa da quelle precedenti e qualcosa non va per il verso giusto. Il bambino nasce prematuro. Da subito si capisce che Ben, questo il nome del nuovo arrivato, è uno diverso: il suo comportamento e il suo aspetto primitivo lo fanno somigliare sempre di più ad una creatura del male. Presto i genitori, incapaci di accettare il tragico imprevisto, si ritroveranno ad dover affrontare una dura scelta. Gli equilibri familiari iniziano a sfaldarsi, nulla sarà più come prima.
La Lessing riesce a scrivere con grande maestria un libro cruento senza ricorrere alla descrizioni di scene violente o feroci. La scrittrice ci invita a conoscere la parte nascosta che c’è in ognuno di noi, esortandoci ad affrontare le cose anche quando sono più problematiche del previsto. Una riflessione insolita sulla diversità e sul contesto sociale che ci circonda.

Letture d’attesa: "Lineagialla – racconti in fila"

Giulia Siena
ROMA Le attese sono estenuanti. Le file negli uffici burocratici sono estenuanti. Ci vorrebbe qualcosa… una lettura, un libro, un libro di racconti della durata di un’attesa allo sportello postale! Ecco cosa hanno pensato le 80144 Edizioni nel creare “Lineagialla – racconti in fila” perché la maniera più gradevole e utile di ingannare il tempo è leggere.  
Dagli ideatori di “Toilet” – la raccolta di racconti da leggere in bagno – nasce “Lineagialla”, un progetto editoriale a più voci che si prefigge di far conoscere autori emergenti che hanno molto da dire.
Sei racconti che racchiudono piccole storie quotidiane che sorprendono per velocità, arguzia e fantasia. “Lineagialla” numero uno, in pochissime pagine, riesce a portarti nella strana attesa per un colloquio di lavoro, ti fa ascoltare la solitudine di una madre al telefono,  ti fa sentire addosso l’ansia per lo smarrimento degli affetti, ti apre la porta su un’amiciza nata come un bisogno. “Lineagiala” è solo l’inizio di tante altre storie.

Gianna Manzini "Lettera all’Editore"

Marianna Abbate
ROMA Come nasce un romanzo? Si scrive da solo sulle pagine bianche? Le idee si sviluppano spontaneamente, seguendo il naturale scorrere del tempo, o sono frutto di una complessa, scientifica operazione? Ebbene entrambe le ipotesi hanno un po’ di ragione.
Con la Lettera all’Editore di Gianna Manzini, pubblicata per la prima volta da Sansoni nel 1945, ci troviamo in una posizione privilegiata: possiamo spiare l’autore nel momento più intimo della creazione. Possiamo seguire i suoi ragionamenti, le sue disquisizioni e conoscere le richieste dell’editore stesso. Scopriamo però che a volte la situazione può sfuggire di mano.
A volte i personaggi decidono per se stessi e assumono un vita propria. Come Pinocchio scappano dalla retta via che gli indica Geppetto, e compaiono come sconosciuti o vecchi amici davanti agli occhi dell’autore, chiedendo soltanto di raccontare la loro storia.
Gianna Manzini ci invita con grazia nel suo mondo, ci mostra i suoi segreti e il travaglio della produzione letteraria. Possiamo conoscere i suoi ragionamenti e i mille problemi che sorgono durante la stesura di un romanzo. L’autrice trova un percorso innovativo, ricavandosi un posto nella storia della letteratura italiana grazie alla sua particolare originalità. Gli intellettuali a lei contemporanei, suoi amici dai tempi di Solaria, prevedevano che avrebbe avuto un’importante carriera; tuttavia, seppure i suoi libri ottennero un discreto successo, per il loro lessico complesso, lo stile raffinato della Manzini è rimasto a lungo sconosciuto ai più. Un peccato, dal momento che si tratta di una letteratura estetica e piacevole, così adatta alle fredde serate invernali.

"L’amore imperfetto", l’esordio di Dario Gigante

Alessia Sità
ROMA – Si può parlare d’amore senza scrivere un romanzo d’amore? Il libro di esordio di Dario Gigante, “L’amore imperfetto” pubblicato da Cicorivolta nella collana “I quaderni di Cico”, ne è una prova tangibile.
La narrazione di un dramma familiare, consumatosi all’interno di una famiglia alto borghese, ci conduce a una riflessione molto profonda su quali possano essere le sfaccettature di questo sentimento da cui tutto ha origine. La straziante tragedia che colpisce Biagio e Tommaso, trascina i due fratelli in un Caos totale, fatto di incontri e scontri, di legami forti e deboli, di istinti e rabbia.

Dalla morte misteriosa dei genitori, improvvisamente tutto crolla: la certezza del legame di Tommaso con Germana, la fiducia di Biagio nello studio della filosofia, la sicurezza di una famiglia solida. Un male inconfessabile abita il cuore dei personaggi. Tutto vacilla fino a sbriciolarsi lentamente. E quando la fine sembra ormai essere vicina, per qualcuno si apre una speranza: l’Amore ritorna e questa volta lo fa sotto nuove spoglie, offrendo finalmente una possibilità di riscatto. È un amore salvifico che nutre lo spirito e trasfigura il corpo, diverso da quello distruttivo che ha decretato il destino di uno dei due fratelli, condannandolo al tempo perenne della solitudine.
Sulla scia del Simposio di Platone, “L’amore imperfetto” ci guida alla scoperta di una nuova visione dell’eros, sempre più proiettato verso il bello assoluto e il sommo Bene. In un racconto sviluppatosi su diversi piani cronologici e attraverso la storia di ogni singolo personaggio, Dario Gigante ci presenta le innumerevoli mutazioni ed evoluzioni di questo sentimento totalizzante e inevitabile: l’Amore.
Dario Gigante, L’amore imperfetto, Cicorivolta, € 13,50

"Garbatella combat zone"

Giulia Siena
ROMA – E’ una città che brontola al suo interno, protettrice silente dei moti notturni dei suoi cittadini: Roma è diversa dalle foto turistiche che la ritraggono sempre in pose composte e piene di luce. In “Garbatella combat zone” Roma è lo scenario delle avventure di Valerio Natoli, personaggio protagonista della penna di Massimiliano Smeriglio. Pubblicato dalla Voland Edizioni, “Garbatella combat zone” è la storia di un trentenne che ha vissuto circa cinque anni nel Messico, tra volontariato e commercio di droga.
Ora, mentre suo nonno sta per morire, torna nella sua Garbatella e si nasconde sotto le vesti del precario per vivere di rapine preparate con accortezza e professionalità, comunque il suo sogno è quello di tornare in America. Ma qualcosa non va per il verso giusto: il carcere lo ferma, le forze dell’ordine vogliono incastrarlo e lui progetta di seppellire la sua identità. L’istinto di Valerio è sempre alla ricerca di sangue, di sfide, di combattimenti allo sfinimento e di fughe.
Massimiliano Smeriglio dimostra di conoscere il territorio nel quale ambienta il suo libro e da questo territorio, dai suoi legami, dalle sue insofferenze si lascia ispirare. Così porta il lettore in un romanzo d’azione fatto di violenza, solitudine e passioni.

Leggi l’intervista all’autore, Massimiliano Smeriglio