“C’era una mamma, c’era un papà”, la filastrocca moderna sull’adozione

C'era una mamma c'era un papà_recensione_chronicalibriGiulia Siena
ROMA
“C’era una mamma e c’era un papà. 
Una mamma e un papà che avevano tutto ciò che si potesse desiderare: le stelle alla finestra, le coccinelle sull’albero di mele, una bottiglia di latte nel frigorifero. 
Ma non avevano nessun bambino nel portaombrelli…”
Eppure questa mamma e questo papà avrebbero tanto amore da dare, ma forse sono brutti – si chiede la mamma – oppure noiosi – risponde il papà. Loro non sono né brutti né noiosi, solamente non hanno saputo pescare. Pescare non i pesci, ma i bambini. Attraverso dei fili di lana colorata legati ai polsi la mamma e papà pescheranno i loro bambini, raggiungendo con i fili tanti bambini del pianeta, saranno questi ultimi, poi, a scegliere se raggiungere l’altra parte ed essere accolti da una mamma e da un papà con stelle alla finestra, coccinelle sull’albero di mele e una bottiglia di latte nel frigorifero.
“C’era una mamma, c’era un papà” è il racconto dolce e profondo di Emanuela Nava – accompagnato dalle illustrazioni di Ursula Bucher – pubblicato da Piemme nella collana Il Battello a Vapore. Questa storia è una filastrocca moderna sull’adozione, raccontata come una “pesca miracolosa” che parte dalla necessità di dare e ricevere amore ed evolve poi plasmando una nuova e vera famiglia. Il racconto – adatto a bambini dai 3 anni – è leggero ma allo stesso tempo intenso; in appendice, poi, una presentazione del CIAI – Centro Italiano Aiuti all’Infanzia.

 

Intervista: con Paola Liotta “si parla di vita e si parla perciò di amore”

copertina paola liotta_copertina aurora.qxdROMA“… Ed era colma di felicità”, pubblicato da Armando Siciliano Editore, è un viaggio nel mondo di Rosalba. Rosalba, la protagonista, è giovane, determinata e romantica; la sua vita è stata segnata dal dolore ma il suo presente è caratterizzato dalla forza e dalla bellezza. Il suo mondo è fatto di amore, studio, affetto e sfide quotidiane; le sue giornate sono dedicate a tutto il bello che offre la vita, anche quando la vita sembra essere beffarda. Ma come nasce un romanzo di questo tipo? Ne abbiamo parlato con l’autrice, Paola Liotta (nella foto in basso).

 

 “… Ed era colma di felicità”: Paola, come nasce questo libro?
La scrittura è per me ricerca e disvelamento assieme, quasi un ‘dove’ ideale in cui saldare i confini tra vissuto e desiderata in unico empito creativo. Il personaggio di Rosalba nasce da ciò, fino alla sua trasposizione sulla carta. Tessere dall’esterno una geometria delle passioni e delle inquietudini di Rosalba mi sarebbe stato impossibile, è una mia creatura, perciò ne esterno il percorso e le tensioni che la animano. Dandole la parola, le garantisco la pienezza di esistere anche per coloro che leggeranno il romanzo e, magari, ne saranno conquistati. Dalla sua grazia innanzitutto. Quindi, prima di dirti del mio romanzo, ti dirò com’è nata lei. Rosalba vive e si sostanzia di quelle passioni e energie, le mie, le sue, da cui sboccia pure un nuovo personaggio, una sorta di coprotagonista o alter ego in carica, che è Rosalba Due. Detta anche la Due, questa voce, nata in un momento di estrema sofferenza per la giovane, sottolineerà con crudezza e spirito salace le distonie intorno, sino alla felice reductio ad unum, nell’epilogo. Nel romanzo ho voluto rappresentare la carica vitale di Rosalba, che si barcamena tra vicissitudini e traversie di vario genere, tra cui il lutto, la perdita e la malattia, sempre cogliendone il risvolto positivo. Ne uscirà rinnovata, in pace con se stessa e con quel passato con cui, talvolta, non si vuole saldare il conto.

Come mai la scelta di questo titolo così poetico e “promettente”?
Per il titolo mi sono ispirata a Jean Giono, un autore che io amo molto, ed è l’ultima frase del suo romanzo più conosciuto, “L’ussaro sul tetto”: “ed era colmo di felicità”. Lì si riferisce al patriota Angelo Pardi. Dinanzi ad Angelo si stagliano le Alpi e, oltre, l’Italia, dunque il giovane si avvia verso l’avventura risorgimentale. Così per me è iniziato, in una sorta di epifania improvvisa, il romanzo. Anche perché “L’ussaro”, guarda caso, è caro non solo a Pietro Citati, che ne rivaluta la “radiosa perfezione classica”, di contro a chi lo ha ritenuto un pastiche stendhaliano, ma anche alla mia Rosalba, che, sulla scorta di Giono, si recherà in Francia e avrà ulteriore conferma del suo talento. E della propria volontà di mettersi in gioco.

 

Rosalba è una giovane studiosa che ama il bello nell’arte, nella natura e nella vita, nonostante la sofferenza per la perdita prematura della madre e le difficoltà che incontrerà lungo la storia. È giovane, impulsiva e passionale; viene descritta, poi, come una creatura quasi “ascetica”, e sempre capace di carpire il lato positivo delle cose. In che modo hai lavorato per plasmare i tuoi personaggi?

Ogni personaggio ha le sue ragioni, anche disparate o impervie che siano. Come ogni scrittura. È venuto da sé chiarire il personaggio di Rosalba nelle sue note dominanti. Si parla di vita, si parla perciò di amore: abbandono totale alla felice alchimia dei sensi, alla bellezza dell’amicizia, alle effusioni per i propri cari, ma anche virtuosa, certosina sperimentazione del disinganno, a più livelli. Non ho mai incontrato uno come Ruggero, ma mi è parso divertente dargli voce. I personaggi sono stati descritti non tanto per farne degli stereotipi, da contrapporre alla presunta perfezione di Rosalba, quanto per far risaltare la sua passione illimitata per la vita. Nella storia con Ruggero, nel recupero della figura materna, persa prematuramente, nei problemi di salute di questa giovane donna ho voluto incarnare la forza con cui aderiamo alla realtà, soprattutto nelle difficoltà. Rosalba è una donna indipendente, non tollera restrizioni al proprio modo di vedere la vita. Dalle avversità, dai conflitti risorge ancora più forte, come purificata. La sua pervicacia, il suo entusiasmo sono contagiosi e incondizionati, e sono un po’ anche i miei. Dunque, ogni personaggio man mano si è rivelato lungo i sentieri naturali per cui la storia si dipanava.

 

Paola Liotta_ed era colma di felicitàSpesso, però, Rosalba si lascia soggiogare da un fidanzato bugiardo e da un ambiente accademico spietato. Non è forse troppo ingenua la nostra eroina?
Sì, ma questa ingenuità di Rosalba è ben compensata dal doppio, Rosalba Due, e dal suo piglio garibaldino. I continui richiami della Due non hanno una valenza conflittuale, piuttosto servono ad attenuare l’attitudine alla riflessione di Rosalba e il suo sperticato ottimismo. Ella ha dalla propria parte una buona dose di cocciutaggine e di intraprendenza. L’apparente passività del suo personaggio, riservato e pensoso, è segnata dalla fine capacità di intuire il cuore degli altri, da una straripante bontà, che si risolvono sempre in sincera adesione alla vita. Come non pensare, un momento, allo stendhaliano “Dove diavolo avete vissuto finora? Siete un ciottolo non levigato dall’attrito”? Rosalba questo attrito lo ricerca e vi si butta a capofitto; anzi non si sottrae a nessuna intemperia le si opponga. Nella sofferenza acuta della separazione da Ruggero è germogliata la Due, con il suo limpido sguardo sul reale. Da ciò la caratterizzazione del personaggio trae linfa vitale. E la narrazione si fa dicotomica e brillante, facendo dilagare questa tostissima doppia voce, e le sue accorte manovre dissacratorie, finanche a Parigi, dove la Due vorrà chiamarsi, con un pizzico di civetteria d’altri tempi, Chérie.

 

 E del personaggio di Ruggero, questo uomo affascinante ma anche bugiardo e irresoluto – alle volte quasi nocivo per la protagonista – cosa puoi dirci?
Non ho mai incontrato un Ruggero in carne e ossa, piuttosto l’infliggergli certe caratteristiche che mi infastidiscono in chiunque – uomo o donna che sia – mi ha permesso di delineare il suo amore per Rosalba in tutte le variabili, dall’attaccamento all’amicizia all’attrazione, sentimenti molto importanti nel manifestarsi dei miei personaggi. Ruggero è molto sensibile al fascino femminile; alla bellezza aggraziata di Rosalba lui non può resistere, senza per questo sentirsi fino in fondo legato a lei. È un dato oggettivo del personaggio, altrettanto la sua natura collerica e possessiva. La sua visione dell’amore, molto pratica e libera, viene spesso a collidere con quella di Rosalba, a tratti un po’ edulcorata. Da qui, le rampogne della Due. Ma Rosalba ama in modo appassionato e totale non solo Ruggero, ama così anche la vita. E la fiducia di Rosalba in Ruggero deve continuamente fare i conti con la natura precaria del loro legame, come lo è ogni tipo di legame inteso quale libera elezione dei propri sentimenti.

 

Il fulcro di “… ed era colma di felicità” è la presa di coscienza di Rosalba attraverso la scrittura. Scrivere una lettera a Ruggero per ripercorrere i propri sentimenti e capire la strada da intraprendere è un modo per guardare con lucidità e distacco le cose. Per te che ruolo ha la scrittura?

Credo che il vivere con generosità la vita, come Rosalba, porti a un innato desiderio del confronto, della ricerca di sé nell’altro e della diversità come spunto di arricchimento. La scrittura permette e questo scambio e questo arricchimento, una scrittura che si sostanzi di letture e di profondo rispetto per la bellezza della vita. Come per Rosalba, anche per me “la letteratura io me la cucio addosso, me la rivivo, per trovarci delle chiavi di lettura con cui inquadrare il magma bruciante nel quale siamo immersi, dispersi, come frammentati”. Così, dopo due sillogi poetiche, “Del vento, e di dolci parole leggere”, del 2009, “Di Aretusa e altri versi”, del 2011, sono approdata al romanzo, un genere che è nelle mie corde da sempre. Credo che la scrittura abbia enormi potenzialità disvelatrici del reale, e che possa coniugare in sé queste formidabili possibilità espressive, e nella poesia e nella prosa. Come è connaturato al romanzo, nella sua natura polifonica – e penso a Diderot, a Sterne, a Virginia Woolf, al nostro Sciascia, per esempio – la contaminatio assortita e coraggiosa di vari aspetti del reale, in varie fogge.
La prosa può cogliere, come è della poesia più alta, “l’immensità dell’attimo”. Consentendoci davvero – così dice Rosalba, del foglio su cui appunta a brani la lettera per Ruggero – uno “spiraglio d’infinito”.

Le tre parole che preferisci
Risponderò con Rosalba, come lei, e con parole sue:
Speranza: “si intrufola a tratti nella frase più limpida e innocente, sbattendo piccole ali d’oro orlate di verde, troncando una parola in un sottinteso, conferendo magici tintinnii a una risata incoerente su piccoli denti bianchi voraci tra la rosea morbidezza della lingua caricando l’aria di un profumo denso d’estate”. Primavera, e passione: “lo osserva con occhi tersi di primavera, dicendosi che ora è primavera, ossia la promessa del sole e la speranza dopo il freddo, nivale inverno poetico e del cuore. Si ritrova impavida, felice, come quando si è sotto l’effetto di una grande passione e non ci si potrebbe sottrarre ad essa neanche volendolo”. Vita: “Si lascia travolgere da colori, voci e suoni che non la lasciano mai insensibile come non le è indifferente l’occhiata seducente di Dario su di sé o la voce di Fausto ancora in testa perché entrambe ben identificabili, fonte di piacevoli emozioni, di quel suo amore sconfinato per la vita”.

 

Vot’Antonio? No, Vota Socrate!

Marianna Abbate

ROMA – Chi ha detto che a sbagliare sono solo gli uomini? Anche nel disegno divino a volte possiamo trovare delle lacune. E così Socrate, uno degli uomini migliori per arbitraria decisione, non può usufruire del dono della vita eterna per un errore tecnico. Incastrato per oltre duemila anni, attende il suo turno fino a che san Pietro non si accorge del gravissimo mancamento verso il filosofo. Vogliamo lasciarci forse sfuggire la notevole conversazione tra i due? Fortunatamente nei paraggi passava la bravissima cronista Ada Fiore, che ha potuto origliare in prima persona quanto detto dal santo al filosofo e viceversa. Continua

“Roghi fatui”: la più grande invenzione della storia.

Roghi fatuiGiulio Gasperini
AOSTA – Probabilmente è stata la più grande invenzione dell’umanità: un’invenzione che ha rivoluzionato il mondo in tanti modi, aprendo prospettive e percorsi inarrestabili. La stampa ha cambiato il mondo della cultura, e la cultura ha cambiato la storia dell’uomo: un’evidenza che non è mai troppo sottolineata né considerata, quando si discute di cultura, di costi e tagli. Ma quale prezzo abbiamo pagato per la libertà di stampa? Questa è la domanda dalla quale parte l’indagine romanzesca di Adriano Petta, che in “Roghi fatui. Oscurantismo e crimini dai Catari a Giordano Bruno” edito da La Lepre Edizioni nel 2011 nella collana “Visioni”, dispiega un’appassionante vicenda, ai limiti del giallo e della spy story, tutt’intorno all’universo del libro e della stampa.
Quella di Petta è una narrazione basata su un’indagine storica accuratissima, secondo le parole stesse dell’autore: “Per scrivere questo libro ho scavato nella cenere dei roghi delle biblioteche e di tutti i martiri della ragione e della scienza”. Nelle intenzioni dell’autore “Roghi fatui” è una sorta di conclusione ideale del precedente romanzo, “La via del sole”, e porta a compimento un cammino di conoscenza e di indagine delle ragioni culturali e sociali di cambiamenti epocali: quelli scientifici e culturali.
La storia affonda le sue radici in epoche remotissima a conferma di come il cambiamento sia sempre in moto, sempre in azione: “Nella Grecia antica cominciava il cammino della conoscenza”, a partire dai calcoli di Eratostene sulla circonferenza della Terra all’ipotesi di Aristarco di Samo che la Terra non stesse ferma ma si muovesse intorno al Sole. E poi la storia continua, si dipana in una trama oscura, fatta di episodi snelli e ben descritti, attraverso lo sviluppo e il fiorire della cultura ellenistica, nell’Alto medioevo, nella persecuzione dei Catari, il filosofo Bacone e altri illustri esponenti dell’età moderna, fino ad arrivare a Galileo Galilei, il padre della scienza moderna, ingiustamente umiliato per posizioni che nulla avevano in contrasto con la religione.
Nel corso della storia si tramandano segreti appassionanti, potenzialmente destabilizzanti la tranquilla placidità di un mondo dove la religione detta le paure e mantiene il controllo di un’umanità da imbavagliare. Donne e uomini, tutti sono protagonisti di una rivincita: la stampa terrorizza l’istituzione e alimenta le speranze degli intellettuali, fiduciosi (al di là dell’illusorietà) di liberare la cultura e di poter gridare al mondo verità ritenute pericolose per la religione.
Struggenti e paradigmatiche di questo scontro eterno sono le pagine dedicate al colloquio tra Giordano Bruno, da tempo imprigionato a Castel Sant’Angelo, e il cardinale Roberto Bellarmino, uno dei principali responsabili della sua morte a Campo de’ Fiori. Lo scontro tra i due, serrato e appassionato, mette in campo due diverse e divergenti visioni del mondo, che fin da subito si caratterizzano come inconciliabile e non mediabili, in nome di interessi discordanti.

 

ChronicaLibri ha intervistato l’autore, Adriano Petta: http://www.youtube.com/watch?v=clLJW7Q1Ba8

I tanti gusti (e sapori) del leggere…

libri-slow-foodGiulio Gasperini
AOSTA – Sul cibo si scrivono sempre opere deliziose e gustose. E l’accoppiata cibo-letteratura ha sempre avuto dei rapporti stretti. Lo testimonia anche l’iniziativa dell’associazione Slow Food, che ha deciso di presentare una serie di brevi racconti di “cucina letteraria” in una “piccola biblioteca”, curata da Giovanni Nucci, che vede interventi, tra gli altri, di Simonetta Agnello Hornby, Nicola Lagioia, Massimo Carlotto, Moni Ovadia e Matteo Codignola. In ogni volume, oltre alla storia, sono “raccontate” una serie di ricette deliziose, da riproporre e assaporare in continuazione.
La “Metamorfosi” di Kafka è lo spunto da cui parte l’avventura raccontata da Moni Ovadia, che ci accompagna così in un dolcissimo viaggio tra i prodotti tipici dell’arte dolciaria ebraica. La storia è nota: un uomo si sveglia e non è più un uomo, ma qualche altra cosa; in “Il glicomane” l’uomo in questione si ritrova trasformato in un dolce; ma non perché abbia preso l’aspetto di un budino o di una ciambella; ha semplicemente troppo zucchero nel sangue per essere un uomo: dovrebbe essere già in coma, ma lui continua a vivere. La sua smodata passione per i dolci lo ha cambiato costituzionalmente: non c’è nessuna soluzione, perché il suo cambiamento è un “evento mistico”: la passione per i dolci ha “provocato un cortocircuito nelle relazioni biopsichiche” dell’organismo. Uno dei suoi dolci preferiti, una sorta di madeleine proustina, che lo riporta all’infanzia e lo fa cullare nei ricordi è la khalvà, il sui ingrediente principale è una pasta oleosa di sesamo detta tkhina, lavorata poi con zucchero, miele e aromatizzata alla vaniglia.
Massimo Carlotto racconta invece, in “L’arrosto argentino”, il rito sontuoso dell’asado: inseguendo la storia di Zorro, il protagonista del breve ma sapido racconto incontra a Buenos Aires un uomo di origine veneta, che di Zorro era stato assistente nel suo circo. Con questo sconosciuto, Vinicio Ortolan, si instaura un rapporto difficile e complesso, giocato su reticenze, omertà e rumorosi silenzi, gravidi di parole. Ogni incontro, ogni dialogo, è scandito dal rito del cibo: non solo della sua degustazione, della piacevolezza del gusto che esplode in bocca, ma anche della sua preparazione, dei sensi che lentamente sono accesi e funzionali, dell’arte nel saper dosare, poggiare, lasciare in cottura, girare e profumare. Il consumo dell’asado argentino ha una sua teoria, complessa ed elaborata, colma di una sua dignità estrema: il buon asado può essere jugoso, a punto, bien cocido, crocante. E l’asador è il sacerdote che supervisiona la perfetta e compiuta realizzazione dell’incantesimo. A fianco dell’asado, ci sono le salse, che spesso anticipano la cottura. E tutte le verdure che contornano e sublimano il gusto. L’asado è “un rito, una liturgia dedicata all’amicizia”: “Sono trascorsi molti anni e non ho mai smesso di arrostire, mescolando culture diverse, per celebrare il rito della conversada amistad”. Anche se l’asador, nel suo ruolo sacerdotale, è solitario e scostante, dedito alla carne e alla sua cottura; non sono ammesse deroghe né concessioni: “A volte accendo il fuoco solo per me stesso. El gran solitario può sognare. O semplicemente ricordare”.

Tante novità per i piccoli lettori

novita_libriROMA – Siamo al periodo più ricco dell’anno per quanto riguarda le uscite di libri e di pubblicazioni per bambini. Per questo motivo oggi la rubrica Leggendo Crescendo di ChronicaLibri vi propone una mini carrellata tra le ultime novità dedicate ai più piccoli.

 

Emme Edizioni presenta tante e diverse novità in catalogo, tra queste c’è “Angelina Diavoletto” di Nicoletta Costa. Pubblicato nella collana Prime letture, il libro ha come protagonista è Angelina, una bambina che di angelico ha solo il nome, in realtà è un vero diavoletto… A scuola non sta mai ferma, fa impazzire la maestra. In giardino si scatena e si sbuccia sempre le ginocchia. Meno male che ci sono le lunghe vacanze estive! Presto arriva settembre e Angelina si deve preparare a iniziare un nuovo anno si scuola: pettinarsi, stare seduta, ascoltare in silenzio… che noia! Eppure quando rientra in classe e rivede i suoi compagni, la maestra e il suo bel disegno appeso alla parete, Angelina si rende conto che la scuola dopo tutto non è così male…
i-cioccolatini-di-mister-pigSempre nella stessa collana arriva “I cioccolatini di Mister Pig”, il libro di Fabrizio Silei con le illustrazioni di Ivan Bigarella. Mister Pig, neanche a dirlo, è un bel maiale che fa il rappresentante di spazzole. Un giorno però perde il lavoro e si ritrova a vendere i prelibatissimi cioccolatini del Commendator Diavolon. – Si ricordi che deve venderli e non mangiarseli! – lo avvisa malignamente il principale. Figuriamoci! In vent’anni Mister Pig avrà venduto milioni di spazzole e non ne ha mai neanche avvicinata una alla testa. Stavolta però è diverso: quei cioccolatini hanno davvero un gusto speciale. Basta assaggiarne uno e fermarsi diventa quasi impossibile.

 

Per lettori più grandi e più consapevoli (dagli 11 anni) Emme Edizioni propone “Primo Levi: l’uomo, il testimone, lo scrittore”, di Frediano Sessi. Da anni molti giovani, spesso con i loro insegnanti, leggono Primo Levi (Se questo è un uomo, La tregua e altri racconti), cercando anche di capire la sua vita di uomo, di testimone e di scrittore. Come per i grandi autori del nostro Novecento, la risposta a gran parte delle domande su Primo Levi si trova nell’intreccio dell’opera con la vita. Un’opera fatta di saggi, testimonianze, racconti, romanzi, poesie, lettere, articoli di giornale, interviste, e per questo ricca e complessa, non semplice da decifrare, come del resto i percorsi della sua vita che vanno dall’amore per la montagna alla scelta della resistenza, al lavoro di chimico e a tanto altro ancora. Questo libro offre ai giovani lettori, e agli adulti che li accompagnano nella crescita culturale, una biografia essenziale che percorre gli scritti di Primo Levi, dall’adolescenza alla vecchiaia, intrecciandoli con i momenti di vita più importanti e con i percorsi di testimone che hanno caratterizzato tutta l’esistenza dello scrittore piemontese; un lungo lavoro svolto attraverso l’analisi di documenti spesso inediti. Proprio nella scoperta della sua vita emerge la grandezza di Primo Levi: la sua umiltà profonda, il riconoscere la sua fragilità di fronte alla storia e all’esistenza, e insieme la sua forza e vitalità.

 

Layout 1Edizioni Lapis propone “Il colore della libertà” (dai 10 anni) di Yaël Hassan tradotto da Francesca D’Ottavi. Max Fischer è sempre stato uno studente esemplare, da uniforme rossa e voti eccellenti, ma da quando ha conosciuto Felix, un vecchio antiquario che tiene nascosti nella sua cantina libri e filmati del secolo scorso sottratti alla Censura del regime, è diventato un “marrone”, marchio indelebile di onta e infamia. Lo accusano di pensieri sovversivi e di prendere parte al piano che vuole rovesciare il sistema. È solo, Max, emarginato da tutti i suoi compagni. Grazie all’amicizia con Felix sente per la prima volta parlare di libertà e democrazia, e con lui scoprirà cosa vuol dire battersi per un ideale: cambiare il presente e renderlo migliore.

Sempre per le Edizioni Lapis vi presentiamo “Oh no, George!” un albo illustrato tutto nuovo e divertente pubblicato nella collana I Lapislazzuli. Scritto da Chris Haughton, il libro parla dell’irrequieto cane George: Harry esce per lo shopping e George gli promette che farà il bravo. Ma le tentazioni in casa sono troppe: la torta in cucina è così buona… e George adora la torta. La terra nel vaso è così soffice… e George adora scavare nella terra…
Cosa farà George? E Harry si arrabbierà?

 

Valentina Edizioni inserisce nel suo catalogo numerose novità, tra queste c’è “Volo via” (3-7 anni) di Cristina Petit. Questa è la storia di una mamma che ha sempre fretta e della sua bambina che dopo un lungo viaggio torna a casa cambiata. Una tenera storia sul rapporto tra madre e figlia raccontata dal punto di vista di una bambina di quasi cinque anni, Carolina. Dopo un divertente e bizzarro viaggio Carolina capirà l’importanza e l’amore racchiusi in ogni istante che sua mamma riesce a dedicarle.

io-a-gesu-bambino-non-ci-credo-mica-0_56944--400x320Una tematica difficile e allo stesso tempo perfetta per il Natale è affrontata in “Io a Gesù Bambino non ci credo mica!”, il libro di don Poalo Alliata e Carla Manea. Il libro parte da una notizia sconvolgente; il dottor Corn Flakes sta per annunciare la sua straordinaria scoperta: Gesù bambino non è mai nato, è tutta un’invenzione! Ma è proprio così? Ha ragione lui? L’angelo Serafino piomba lì per caso, raccoglie la sfida del professore e ci porta a vedere come sono andate veramente le cose…

“…Ed era colma di felicità”, la storia di Rosalba è una storia di non solo amore

copertina paola liotta_copertina aurora.qxdGiulia Siena
ROMA
“La scrittura, innanzitutto, perché è un’ancora di salvezza. Non sarà forse vero che negli occhi di chi scrive passa tutto il dolore del mondo? Perché scrivere è un atto di coraggio, testimonianza di cuore e di amore per la vita, una scelta che può liberarci dalle contingenze, elevandoci al di là delle sofferenze e dei dispiaceri più o meno immediati che siano”. La scrittura è una delle passioni di Rosalba Guerrera; la scrittura riesce ad appagarla, la spinge a dimenticare le sofferenze passate, la stimola a cercare il meglio e a dare il meglio di se stessa, in tutto quello che fa. Rosalba è giovane, è siciliana, è appassionata ed è la protagonista di “…Ed era colma di felicità”, il romanzo di Paola Liotta pubblicato da Armando Siciliano Editore.

 

 

La passione di Rosalba è la vita e tutto quello che comporta: amore, arte, affetti, competizione e sfide, ma spesso Rosalba si trova quasi impigliata nella sua rigidità caratteriale, anche quando le situazioni andrebbero prese di petto, come quella con Ruggero. Il fascino di questo uomo a tratti arrogante, rappresenta per Rosalba l’amore. Un amore fatto di dedizione e donazione, un sentimento avvolgente e quasi cieco, anche quando gli avvenimenti porteranno Rosalba a scegliere, perché, dall’altra parte, c’è un altro amore: quello per il suo lavoro all’Università, fatto di studio e ricerca. Il suo senso di responsabilità, infatti, insieme a una sensibilità innata, fanno spesso soffrire la protagonista della Liotta, rendono questa creatura fragile e quasi ingenua. A soccorrerla, però, arriva la Due. Rosalba Due è  una figura che è una trovata narrativa semplice e sagace per dare verve a questa storia fatta di realismo e sogni. Il realismo è rappresentato da una perdita troppo grande da dimenticare, perché quando Isabella è venuta a mancare Rosalba era troppo piccola per immagazzinare tutto l’amore per affrontare il futuro; un amore sbagliato – quello per Ruggero – perché l’uomo la deluderà spesso e poi un neo sconnesso cresciuto sulla sua pelle come una minaccia. Dall’altra parte, però, ci sono i sogni: le sue ricerche su Jean Giono, il suo lavoro pieno di stimoli e Dario.

 

 “…Ed era colma di felicità”, il romanzo di Paola Liotta, intreccia vari aspetti della quotidianità, affermandosi come un inno alla vita attraverso la scrittura.

 

Se Banana Yoshimoto venisse a cena…

124-In-cucina-con-Banana-YoshimotoGiulio Gasperini
AOSTA – Banana Yoshimoto è un nome oramai noto della letteratura mondiale. Il suo valore letterario è soggetto alle più disparate interpretazioni e critiche, ma i suoi romanzi sono tra i più letti e apprezzati, soprattutto un’Italia, paese dal quale la scrittrice ha sempre detto di essere stata più volte ispirata. Sono molti gli aspetti alla luce dei quali la Yoshimoto è stata vivisezionata ed esaminata: anche quello della cucina, come nel caso del saggio di Barbara Buganza, edito da Il Leone Verde edizioni nel 2003 nella collana “Leggere è un gusto!”, intitolato proprio “In cucina con Banana Yoshimoto. L’amore, l’amicizia, la morte, la solitudine nel cibo”. E proprio il sottotitolo sottolinea il grande valore e l’importanza che il cibo, ma anche i luoghi dove si consuma, sono degli aspetti fondanti dell’opera della scrittrice giapponese.
A cominciare dal suo primo racconto lungo, “Kitchen”; l’incipit è, infatti, uno dei più celebri della letteratura contemporanea: “Non c’è posto al mondo che ami più della cucina”. Non offre fraintendimenti, questa frase; non concede possibilità d’errore. La cucina è il centro delle case dei romanzi di Banana. Può essere frequentata, disabitata, fredda o calda, maltrattata o rispettata quasi sacralmente, ma è sempre uno dei luoghi di maggiore energia e introspezione. L’ambiente della cucina è pacato, tranquillo, persino ovattato. Spesso è il logo dove si sviscerano le esperienze del dolore e del disagio, ma anche dove si celebrano gli incontri, si suggellano le amicizie e dove si sublimano (o scordano) le angosce. È il luogo delle confessioni e delle confidenze, delle scoperte e delle illuminazioni. E spesso nelle cucine della Yoshimoto ribollono cibi e pietanze che spandono il loro odore e contribuiscono all’epifania dei sensi e della vita. Soprattutto i primi libri (perché poi, proseguendo la sua esperienza narrativa, cambierà un po’ il loro utilizzo narrativo) sono ricchi e densi di piatti e di portate, chiamate coi loro nomi, e anche delle descrizioni delle loro preparazioni culinarie. Spesso, infatti, i personaggi vengono descritti dalla Yoshimoto mentre stanno lavando o tagliuzzando verdure, o cuocendo pesce: si mangia di tutto, nei libri della Yoshimoto, dalla minestra di riso con le uova al tofu in brodo con miso, dai ramen con verdure alla tenpura, dai tortelli cinesi al riso al curry, dai nigiri sushi ai takoyaki (ovvero i bocconcini di polpo), dal wasabizuke con uova di aringa agli okonomiyaki, ovvero una pasta simile alla pizza guarnita di quel che si vuole. Barbara Buganza, accompagnandoci nell’analisi di alcuni testi in particolare (“Kitchen” e “Honeymoon” in primis) ci accompagna anche alla scoperta di questi piatti della cucina tipica giapponese, dando dei preziosi suggerimenti su come cuocerli e offrirli ai commensali. Se mai Banana Yoshimoto venisse a cena…

Novità: “Ladri di cotolette”, un libro di ricordi e sapori

Diego-Abatantuono-e-Giorgio-Terruzzi_MILANO – Ricordi, carriera e gusto: i tre elementi che compongono “Ladri di cotolette”, il libro di Diego Abatantuono e Giorgio Terruzzi. Per la prima volta con questo libro, il celebre attore milanese svela qualcosa di sé, ripercorrendo “il dietro le quinte” di tutti i grandi film di cui è stato protagonista, e usa il cibo come filo conduttore: ricette incontrate quasi per caso e diventate memorabili, piatti poveri spesso arricchiti dalla conversazione. Diego così riporta alla memoria i profumi e i sapori di paesi lontani, le risate che hanno rallegrato le tante nottate passate lontano da casa, circondato da colleghi, divenuti con il tempo sinceri amici.

“Ladri di Cotolette” svela il vero volto di Diego, un attore che ha da sempre stabilito un rapporto profondo con il suo pubblico, che a lui è sempre rimasto fedele. Un libro ricco di racconti da backstage ovvero storie e aneddoti divertenti, a volte memorabili, fatiche, imprevisti e anche appassionate “storie d’amore”, più o meno clandestine, nate durante le riprese, con protagonisti veri ma nascosti, per non entrare troppo prepotentemente nelle vita privata altrui. Si ripercorrono attraverso i suoi film (da “Eccezionale Veramente” 1992 al “Peggior Natale della mia vita” 2012) gli incontri con i grandi attori e registi del cinema italiano, con i quali Diego ha spesso collaborato, come Salvatores, Pupi Avati, Mazzacurati e Vanzina, uomini che hanno condiviso con lui una stessa passione per il cinema e per la convivialità.

 

 

Sara Vannelli torna con “Dovevo dirtelo”, racconti contemporanei

Dovevo dirteloGiulia Siena
ROMA“Non so se i pensieri abbiano un colore, se sbiadiscano o se si sciolgano. Quello che so è che girano forte, ci inseguono, corrono e fanno salti al di là”. I racconti di Sara Vannelli sono vivaci, veloci e immediati come alcuni pensieri che ti prendono in ostaggio tenendoti immobile e insonne. Sono racconti in cui si respira l’impazienza e la complessità dell’amore (La prima volta, Ti voglio addosso), la gioia e il silenzio del viaggio (Le andrebbe di parlare un po’?) la disperazione e la speranza per una maternità tanto attesa ( Tutto quel che puoi, È come se non finisse mai), i sorrisi e la nostalgia di un passato che ha portato via con se la spensieratezza e la poesia (Me ricordo). Trenta racconti, quelli contenuti in “Dovevo dirtelo” – il libro che sancisce il ritorno di Sara Vannelli nel panorama editoriale italiano – che segnano l’approdo dell’autrice romana a una scrittura che si è fatta più carezzevole e matura, quasi un esercizio sintattico capace di scuotere l’emozione. Il libro, pubblicato dalle Edizioni La Gru nella collana Catarsi, è un susseguirsi di personaggi, di storie e di sentimenti che tentano di accordarsi tra loro; ad emergere è l’amore. L’amore viene scritto, descritto, modellato, ricordato, plasmato tanto da plasmare, poi, il corso dei racconti: l’amore si fa ragione, bisogno, obiettivo, passione, carne e motore di tante e diverse azioni.
L’amore si fa viaggio, ritorno e nuova destinazione.
Vedi QUI la videointervista a Sara Vannelli realizzata con iTvRome.