Tante arti per un orgoglio transnazionale: Syncro/Europa.

Giulio Gasperini
AOSTA – Syncro/Europa non è semplicemente una casa editrice: è un progetto che coinvolge una moltitudine di arti, dalla narrativa al design grafico, dall’illustrazione all’artigianato tipografico e audiovisivo, e mira a raccontare i giovani gay d’Europa e i loro spazi urbani e di socialità. Come accade in questo romanzo, Radio Budapest, scritto da Robert V. Horvath, dove si racconta la realtà contemporanea, gli spazi, le umanità e le difficoltà della capitale magiara, mai così protagonista delle cronache omotransfobiche dell’Europa contemporanea.

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Einaudi: “Il tramonto del liberalismo occidentale” di Edward Luce. Traduzione di Chiara Melloni

Daniela Distefano
CATANIA
“Non cadete dunque nei cliché in voga. La globalizzazione ha sottratto alla fame miliardi di esseri umani, in Asia, America Latina e in qualche misura anche in Africa, nella più straordinaria stagione di sconfitta della miseria, 1970 – 2000, che la storia ricordi. Ma nel ceto medio e nella classe operaia, da Torino a Detroit, questo successo internazionale s’è scontrato con la riduzione del benessere e dello status sociale che ha scatenato risentimento contro “globalisti e europeisti”, Clinton, Prodi, Bush, Obama, Blair…”

Queste parole appartengono al giornalista Gianni Riotta nell’Introduzione al volume Il tramonto del liberalismo occidentale (Einaudi) di Edward Luce. Un testo che parla di crisi non solo economica e di geopolitica in una forma accattivante, pungente, puntuale.

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Rubbettino: “Exeunt. La Brexit e la fine dell’Europa” di Roberto Caporale. Introduzione di Paolo Savona

Daniela Distefano
CATANIA“Vi sono popoli e nazioni, Stati e continenti. Vi sono anche potenze e religioni, sovranità e autorità, regole e mercati. Costituzionalisti e politologi conoscono federazioni e confederazioni, imperi e organizzazioni. Ma cos’è oggi l’Unione europea? E, soprattutto, cosa vuol dire essere europeisti?”
Roberto Caporale è economista e manager, ha lavorato in istituzioni bancarie internazionali e ricoperto posizioni di vertice in diverse aziende pubbliche. Ha svolto attività di Consigliere per il Ministro dell’Economia e delle Finanze e per la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Nel suo saggio Exeunt (Rubbettino), si profonde in una meticolosa disamina su effetti e danni collaterali della Brexit e del suo spettro per l’Europa, l’Europa “a molte velocità”, “a geometria variabile”, “à la carte”, “confederale”… Continua

Le nostre “Derive” e l’enorme mosaico del disumano

DeriveGiulio Gasperini
AOSTA – L’antologia giornalistica di Flore Murard-Yovanovitch, edita da Stampa Alternativa con il titolo di Derive, non è un “piccolo” mosaico del disumano, come recita il sottotitolo; è un enorme mosaico, di un disumano che assume i contorni di una crisi sociale e di valori di cui non se ne riesce a percepire la fine, in particolare perché dominata e governata dall’ignoranza più becera e cafona. Flore Murard, dalle pagine principalmente de “L’Unità” e “Agenzia Radicale”, offre tanti contributi preziosi quanto chiari ed essenziali su vari argomenti, lungo un arco temporale non esteso (a partire dal 2009) ma incredibilmente necessario e imprescindibile per capire come siano cambiati certi aspetti e certe modalità migratorie e come la società abbia reagito difronte a questi. Continua

“Solo a Parigi e non altrove”, guida sentimentale di un viaggio molteplice

solo a parigi e non altroveGiulia Siena
PARMA“Ero venuto nella speranza di fare ordine, fuori e dentro di me, di trovare una direzione convincente, ma mi ritrovo al centro di un sortilegio: Parigi sta tentando di sottrarsi al mio campo d’indagine”. Agosto 2010. Tutto comincia quando la memoria ripercorre un viaggio fatto a Parigi tre anni prima, in compagnia di Arturo. Ora, però, questo secondo viaggio parigino ha qualcosa di diverso: abbandonato il progetto di coppia, Parigi diventa musa attraente e contraddittoria, un mondo nuovo da scoprire e conquistare. Comincia così Solo a Parigi e non altrove, la “guida sentimentale” scritta da Luigi La Rosa e pubblicata nella collana Extras di Ad est dell’equatore Continua

“La prigione degli stranieri”: un passato da cui non si impara mai niente.

1789-4 La prigione degli stranieri_cop_2_14-21Giulio Gasperini
AOSTA – In passato, esistevano i campi di concentramento. Pagina dolorosissima dell’umanità, raccapricciante nella lucida sistematicità dello sterminio. In realtà, di campi ne sono sempre esistiti, in ogni piega di mondo. Quasi irrazionalmente, l’uomo si è sempre più sentito sicuro sapendo che altre persone – quelle che, in quel dato momento, venivano sentite come più minacciose – fossero rinchiuse in un altro luogo, in un altrove di separazione. Il testo di Caterina Mazza, edito da Ediesse (2013), ci accompagna con perizia e competenza alla conoscenza de “La prigione degli stranieri”, ovvero i CIE (Centri di identificazione ed espulsione) che costellano la penisola italiana.
La storia dei CIE, che hanno cambiato un’infinita di nomi piuttosto grotteschi, ha le sue origini nel Trattato di Schengen, ovvero proprio in quel documento che voleva garantire in tutta Europa, per renderla più “unita” e meno “vincolante”, la libera circolazione di uomini e merci. Ma, parafrasando Orwell, anche in tema di libertà, alcuni uomini sono più uguali di altri. Il diritto fu garantito a chi fosse europeo, un po’ meno a chi fosse in Europa per lavoro, per studio, per richiamo familiare, per qualsiasi altro motivo.
Il concetto di libertà non richiama soltanto l’idea di potersi muovere senza vincoli e senza restrizioni, ma implica anche il sapersi sempre al sicuro, esente da rischi e penalità. Situazione che non si verifica oggi, dal momento che fino a qualche giorno fa l’immigrazione clandestina, ovvero il trovarsi sul territorio nazionale sprovvisti di un documento (visto o permesso) regolare implicava il commettere un reato penale. Significava che la stessa esistenza di una persona, la sua vita, il suo essere hic et nunc, fosse una colpa paragonabile a un omicidio.
L’adozione dei CIE non è solamente una decisione di casa nostra, ma come in tutte le cose peggiori, anche l’Italia si è adattata agli altri paesi europei: dalla Spagna alla Grecia, in particolare nella Svizzera e nei paesi del Benelux, esiste una galassia, più o meno legale, di centri di detenzione, dove stazionano per un tempo parecchio oscillante tutti i migranti, non importa neanche se minorenni, malati, donne, transessuali, in attesa di ottenere un documento dalle rispettive ambasciate che permetta di rimpatriarli nei paesi di origine. Son territori, i CIE, dove quasi non esiste legge, dove i diritti son calpestati continuamente, dove la mancanza di libertà è dovuta semplicemente a un colpa che, se vogliamo proprio definirla tale, appartiene alla sfera amministrativa.
Le migrazioni hanno caratterizzato da sempre la storia dell’umanità. Fermare l’uomo è impossibile, persino assurdo. Pretendere che l’uomo reprima il desiderio di sfidare gli orizzonti e di cercare un futuro e una speranza migliore per sé e la sua famiglia è grottesco. Ostinare a considerare i migranti come banditi, negandogli persino il diritto costituzionale della presunzione di innocenza, è incredibilmente criminale.

Appuntamenti: a Sanremo I Martedì Letterari, dal 14 gennaio al 31 marzo

SANREMO – Dal 14 gennaio fino al 31 marzo 2014 il Casinò di Sanremo ospita “I Martedì Letterari”, una rassegna culturale dedicata ad arte, libri e grandi temi. Per dieci settimane il Casinò della città ligure e il Teatro dell’Opera saranno il palcoscenico sul quale si alterneranno i grandi nomi della cultura internazionale. Martedì 14 gennaio (ore 16.30) si parte con l’Omaggio all’Europa attraverso l’omonimo volume scritto da Louis Godart, professore, consigliere per la conservazione del patrimonio artistico del presidente della Repubblica. “Omaggio all’Europa” è un’opera originale ideata e realizzata dalla Casa Editrice UTET Grandi Opere, in occasione dell’Anno europeo dei cittadini sotto l’alto Patronato del Parlamento Europeo. Il volume è arricchito da un apparato iconografico che comprende 135 immagini, di cui 23 applicate a mano, raffiguranti opere d’arte, mappe e documenti tutti ispirati all’Europa, ai suoi miti e alla sua storia. Il corpus iconografico si chiude con la riproduzione integrale dell’opera “Europe a Prophecy” di William Blake. Sulla copertina del volume è stata collocata una lastra in ottone di 13 x 16 cm, ricoperta con bagno galvanico in oro 24 carati, raffigurante “L’Allegoria dell’Europa”, tratta dall’Iconologia di Cesare Ripa nell’edizione del 1611. ( dall’introduzione).
Con l’autore interverrà l’onorevole Claudio Scajola. La presentazione, inoltre, sarà accompagnata dal recital del quartetto d’Archi dell’Orchestra Sinfonica di Sanremo.

 

Ingresso libero fino a esaurimento posti

“Lampedusa”, quale futuro per la porta d’Europa?

LampedusaGiulio Gasperini
AOSTA – Giusi Nicolini da sempre alza la voce in difesa di terre e uomini. Da quando è stata eletta sindaco, nel 2012, ha portato all’attenzione dell’Europa intera quei ventun chilometri scarsi di terra che amministra. Marta Bellingreri l’ha intervistata, nel luglio 2013, e questa lunga chiacchierata è stata pubblicata dalle Edizioni Gruppo Abele nel 2013 nella collana “Palafitte”. “Lampedusa. Conversazioni su isole, politica, migranti” è un manifesto di grande lucidità e acutezza, nel quale Giusi Nicolini, diventata uno dei sindaci più famosi d’Italia, racconta la sua storia, la sua decisione di dedicarsi all’amministrazione politica delle sue terre, e tratteggia con grande competenza quelli che potrebbero essere gli orizzonti futuri per Lampedusa, la porta dell’Europa.
Giusi Nicolini parla delle migrazioni, del ruolo che Lampedusa ha nell’accogliere le persone in fuga da una realtà feroce, da malattie, dalla guerra, dalla fame. Parla del cimitero che non basta, dei diritti negati anche da morti, parla dei tanti troppi minori non accompagnati che viaggiano sulle rotte del Mediterraneo e che sono abbandonati, senza cure né assistenza. Tra i tanti progetti realizzati si cita anche la Biblioteca dei ragazzi, realizzata grazie a un progetto di Ibby Italia, nella quale saranno utilizzati molti silent books, libri senza parole ma con tante immagini, realizzati per superare le barriere linguistiche tra i bambini italiani e quelli migranti.
Ma non ci sono migranti, nella storia di Lampedusa. C’è anche l’ambiente, una risorsa straordinaria che fino a pochi anni fa era seriamente minacciata dall’uomo e dai suoi abusi di vario ordine e grado. Quell’ambiente che recentemente ha conferito alla spiaggia dell’Isola dei Conigli il titolo di spiaggia più bella del mondo. Un riconoscimento anche al lavoro della Nicolini, che per tanti anni è stata responsabile di Legambiente della Riserva dell’Isola dei Conigli, una delle ultime spiagge europee dove si riproducono le tartarughe marine, le Carretta, che a Lampedusa vengono recuperate e, in un apposito ospedale, curate.
La lunga intervista con Giusi Nicolini mette in luce le potenzialità e le reali esigenze di un’isola, e di una terra, per lungo tempo dimenticata, trascurata ai margini dell’italianità in ogni settore, da quello scolastico-sanitario a quello sanitario, a quello dell’approvvigionamento idrico ed energetico. Un’isola che strategicamente ha la sua importanza, tanto da essere diventata sede di una base NATO, e di esser stata vittima di un attacco missilistico dalle coste libiche, nel 1986, ad opera del Colonnello Gheddafi.
Ma la Nicolini ha parole di accusa anche per la politica italiana, per i partiti, per i meccanismi del potere che vogliono sempre ricondurti in una definizione, in una schematicità. La sua battaglia si definisce quasi apolitica, sfidando preconcetti e pregiudizi che sono propri di intere collettività umane. I valori che sono difesi, le aspirazioni ventilate, gli obiettivi sperati sono patrimonio comune, non esigenze da manifesto partitico o campagna elettorale.

I “Sogni di sabbia” e il paese dell’uomo bianco.

Sogni di sabbiaGiulio Gasperini
AOSTA – A Lampedusa non si è ancora chiusa la contabilità dei morti dell’ultimo incidente. Il naufragio del 3 ottobre scorso ha riacceso i riflettori sulla problematicità delle traversate dall’Africa all’Europa, ridestando le coscienze e sorprendendo ipocrisie e omertà. Ma le morti delle persone che partono dalle coste africane per raggiungere l’Europa, per fuggire guerre e torture, per salvare sé stessi e le proprie famiglie, per poter almeno sperare in un orizzonte migliore, sono silenziose, non fanno né rumore né notizia, non sgomentano coscienze né scuotono dubbi. E dietro ogni rotta, dietro ogni partenza, ci sono volti, ci sono storie, ci sono ragioni e motivazioni diverse. “Sogni di sabbia”, il libro fotografico edito dalla Infinito Edizioni nella collana GrandAngolo, è una sorta di Spoon River migrante (e “clandestina”). Le foto rigorosamente in bianco e nero di Kays Djilali raccontano alcune persone candidate a essere “aspiranti clandestini”, ovvero migranti in partenza che, una volta approdati in terra europea, avranno scarsissime possibilità di mettersi in regola con le severe leggi europee sull’immigrazione. Sono gli harraga, coloro che “bruciano la frontiera”, che partono pur non potendo, sperando di arrivare.
Le fotografie, questi occhi e questi volti, questi sorrisi e questi sguardi, sono stati colti in vari luoghi, nel 2006: da Algeri a Madrid. Ovvero, tra coloro che ancora attendono (e sperano) una partenza a chi invece è riuscito ad attraversare il “mare di mezzo” e a stabilirsi, in qualche maniera. Ad accompagnare le immagini, ci sono le testimonianze. C’è la storia del calzolaio Youssouf, ivoriano, che lavora in Algeria per mantenere la famiglia, ma che ha chiaro come il concetto di “frontiera” sia solo un palliativo: “Laddove il destino ti porta, è lì che rimani”. C’è la storia di Mehdi, un marocchino arrestato in Libia mentre tentava di raggiungere l’Italia: “Conosco dei marocchini che sono morti. È l’angoscia che li ha uccisi. E la tortura”. C’è la storia di A., un camerunense che vive in un ghetto al Algeri: “Ho visto gente diventare pazza. Non hanno più niente per andare avanti né per tornare indietro”, imprigionati in un deserto che non conosce resurrezioni. E c’è la storia di Chaibi Mohamed che cerca suo figlio, Benchaa, scomparso il 13 febbraio 2006: “Vorrei sistemare una stanza speciale per mio figlio e metterci tutte le sue foto e le sue cose e chiuderla”. E c’è la storia di C., un altro camerunense che racconta l’attraversamento verso le coste mediterranee: “Seppelliamo i nostri fratelli nel deserto”. E la traversata del Sahara la ricorda anche Haddane Koné, ivoriano: “Mi ricordo, durante il cammino, di aver portato i miei amici sul dorso, gli ho dato da bere, ho dato loro il mio respiro”. Tutti coloro che partono sono uomini, sono donne, spesso sono bambini. Non sono clandestini; sono solo persone in movimento che cercano la libertà, il benessere, la rivincita. Spesso, pensando esclusivamente alle proprie famiglie. Ma, per tutti, “il paese dell’uomo bianco è lontano, / non ci si può andare in treno. // Il paese dell’uomo bianco è difficile”.