“Una casa di petali rossi”: un romanzo che profuma di India

Alessia Sità

ROMA – Nulla è più eccitante che cercare la verità e trovarla”.
E’ questa la certezza che anima totalmente “Una casa di petali rossi”, il romanzo di Kamala Nair pubblicato da Editrice Nord. La storia di Rakhee ha inizio da una misteriosa lettera, che la spinge a ritornare in India a distanza di moltissimi anni dal suo primo viaggio. Quello compiuto da Rakhee non è solo un ritorno alle proprie radici, ma è una sorta di catarsi, necessaria per poter intraprendere una nuova vita, accanto all’uomo che sta per sposare. Lentamente la giovane donna rivive, in un lunghissimo flashback, l’estate in cui lei e Amma lasciarono Aba e Plainfield per trasferirsi in India, nel villaggio natale della madre. Il ritorno alle antiche radici segnerà per sempre la vita di Rakhee, stravolgendo completamente anche l’esistenza delle sue ziee e delle sue chiassose cugine. Improvvisamente, quel segreto tenuto nascosto per troppo tempo riemerge, riportando con sè vecchi demoni difficilmente occultati. La scoperta della verità però ha sempre un prezzo da pagare e comporta anche qualche perdita, compreso l’amore. Rakhee ne è consapevole fin da bambina; ma nonostante le terribili conseguenze che la sua sete di conoscenza può avere, persiste tenacemente nella sua ricerca. Il desiderio di vincere la paura la spinge ad addentrarsi oltre l’impenetrabile giardino, che la sua famiglia ha tentato di difendere con tanta ostinazione per molti anni. La casa dei petali rossi non è semplicemente custode di un segreto, ma rappresenta allo stesso tempo l’unica chiave per la libertà. Fra profumi, antiche leggende e intensi sapori dell’India – illuminata da splendidi raggi di sole e talvolta annerita da cortine di pioggia – Rakhee ripercorre la storia della sua misteriosa famiglia. La scoperta di un passato doloroso, difficile da accettare, sarà per la giovane donna un passo fondamentale per spezzare definitivamente il legame con la vita precedente e per aprirsi a un futuro di promesse di gioia e, forse, anche di perdono. Attraverso il racconto delle mille sfumature dell’anima umana, Kamala Nair ci regala una storia intensa, fatta di emozioni, profumi e colori sgargianti.

 

Storia e astrologia in “Gli ebrei di Saturno”


Silvia Notarangelo

ROMAMoshe Idel è uno dei maggiori esperti di mistica e pensiero ebraico. Il suo nuovo saggio, “Gli ebrei di Saturno”, edito da Giuntina, è il risultato di un lavoro lungo e meticoloso che ha l’obiettivo di sviscerare, attraverso un’attenta analisi filologica e semiotica, il suggestivo legame tra il popolo ebraico e il Pianeta di Saturno.
Un rapporto che, nel corso del tempo, è stato oggetto di riflessione da parte di molteplici discipline e che continua, ancora oggi, a suscitare interesse e curiosità. Lo studioso, mediante numerosissime testimonianze sia edite sia inedite, recupera elementi del paganesimo antico e, in particolare, dell’astrologia, riuscendo ad evidenziare magistralmente le loro ripercussioni sulla dottrina ebraica e sulla sua percezione esterna.
Inizialmente le fonti citate pongono l’accento sugli attributi e le caratteristiche negative del dio-pianeta, su quegli aspetti più sinistri in virtù dei quali era attribuita agli ebrei la pratica di forme e rituali magici. Poi si registra un’evoluzione: a partire dal XII secolo viene riconosciuta a Saturno una “struttura concettuale positiva” legata a doti particolari, quali la genialità, la sapienza, la profezia. Tutte qualità che risulteranno decisive nella vicenda personale di Shabbetay Tzvi, il più celebre dei Messia ebrei “nel bene e nel male”. Al centro degli studi più recenti vi è, invece, la peculiare relazione tra il Pianeta e la malinconia, uno stato d’animo che può condurre anche a gesti estremi e che, talvolta, è stato considerato “quasi congenito al giudaismo”.
Pur esprimendo, in alcuni casi, dei giudizi abbastanza definitivi – la presunta correlazione ebraismo-malinconia, ad esempio, è ritenuta da Idel una forzatura connessa a “strutture culturali o all’influenza di determinati testi” – lo studioso si dice comunque convinto della necessità di continuare ad approfondire le tematiche da lui esaminate, in primis attraverso “un’analisi corretta dei materiali ebraici”. Si augura, soprattutto, che sia possibile sviluppare una concezione della storia in grado di ammettere “una varietà di correnti concomitanti diverse, che si sovrappongono e si oppongono simultaneamente”, nell’ottica di “un approccio interdisciplinare che rifletta la dinamica dell’evoluzione storica”.

“La musica è esaurita, Nasce la >>beat regeneration” di Lorange SadBaars

Luigi Scarcelli
PARMA
– La musica è una risorsa. Una risorsa che, come altre, la nostra generazione ha ereditato in via di esaurimento. Come rimediare? A fronte della scarsità delle risorse energetiche sta crescendo uno spirito collettivo orientato al risparmio, al rinnovabile, al riciclo; perché non applicare lo stesso concetto alla musica? Questo è il tema affrontato da Lorange Sadbaars nel libro “La musica è esaurita, Nasce la >>beat regeneration”, pubblicato da poche settimane da Add Editore.

Il libro racconta di Alex Sodo, un visionario che resosi conto della fine imminente – o forse già avvenuta – della musica tenta di salvarne l’anima dandole una nuova ed eterna forma.
Il libro è più di un semplice racconto, in quanto parla di una nuova forma musicale realmente in via di sperimentazione, come dimostra il sito www.plugger.dj e la mostra Re-generation recentemente ospitata al museo MACRO di Roma; racchiude una idea radicale che si manifesta nello stile narrativo del libro reinventando e riciclando testi, slogan, parole e simboli, cercando di inventare una forma unica. Sicuramente questo libro tocca un tema generazionale che va oltre la musica e la postfazione del libro, curata da Luca de Gennaro, spiega come negli ultimi anni sia cambiato il concetto di e gli strumenti per creare e fruire di questa forma d’arte.

La musica è sempre stata espressione dei propri tempi. La beat generation ha vissuto i fasti di un’epoca di grande evoluzione, in cui tutte le tradizioni e gli schemi passati sembravano sgretolarsi. La nostra, vive una specie di empasse forse dettato dalla decadenza – intellettuale e ormai anche materiale – del sistema stesso che aveva dato vita alla beat generation, e vive il paradosso di essere la generazione ad avere la maggiore tipologia di strumenti (acustici, analogici, digitali…), senza riuscire a inventare un linguaggio proprio, come schiacciata dal peso di una eredità troppo grossa. Non sappiamo quanto sia realmente innovativa l’idea proposta dal libro, “riciclare” questa eredità dandone forme nuove.
Lo lasciamo decidere al lettore; ma qualche considerazione comunque va fatta. Alex Sodo, il visionario che dovrebbe dare nuovi schemi alla musica sa molto di hippie in salsa moderna, tutto sommato un nostalgico della beat generation.
E se è vero che le note sono sempre le stesse 7 (anzi dodici) e quindi sia Mozart che Hendrix hanno suonato la stessa musica, sarà anche vero che per scrivere qualcosa di nuovo bisogna partire da un “foglio” bianco?

Un libro da leggere tutto di un fiato e magari con un sottofondo musicale.

“Asia non esiste”, suicidi con il sorriso

Silvia Notarangelo
ROMA – Il corpo di Giulia fluttua nell’aria e si schianta al suolo. Nessuno la spinge. È lei che deliberatamente si lascia cadere dalle mura del Bastione ponendo fine alla sua breve esistenza. Ma Giulia è solo la prima: la seguono, in ordine di tempo, Emanuela, Marco, Carla e tanti altri. Minimo comune denominatore: giovani, ricchi e felici. Segni particolari: suicidi. Un vero e proprio rompicapo irrompe nella vita di Libero Solinas, il commissario creato dalla penna di Emanuele Cioglia. “Asia non esiste” è il titolo dell’ultima, complessa indagine che vede protagonista il commissario e la sua squadra. Con un ritmo serrato, attenzione ai particolari, una giusta dose di ironia ed inquietudine, Cioglia mischia sapientemente le carte, riuscendo a creare attesa ed incertezza fino alla fine del romanzo.

L’interrogativo iniziale è più che legittimo: perché interessarsi al suicidio di ragazzi ricchi e felici? Il reato non sussiste, a meno che non si tratti di ex art. 580, istigazione al suicidio…Solinas sente che qualcosa non torna, ma è in un vicolo cieco e, impotente, osserva crescere, giorno dopo giorno, il numero di vittime che si tolgono la vita “con il sorriso”.
Lui è sempre lo stesso: rude, scorbutico, talvolta un’autentica carogna. Nel tempo, non ha perso il piacere di abbandonarsi ad elucubrazioni linguistiche, fantasticherie, monologhi interiori, né è riuscito a liberarsi di quella dipendenza da alcool e nicotina che, spesso, sembrano inebriarlo fino al punto di farlo cadere in uno stato di incoscienza. A riportarlo con i piedi per terra ci pensa sempre Carla, la sua compagna poliziotta, che non perde occasione di stuzzicarlo: “Purtroppo sei un maschio, così come mangi senza masticare, non cogli le sottigliezze”. Solinas abbozza amaramente, Carla ha ragione e lui lo sa.
In questo caso, però, i dettagli assumono la forma di inconfessabili macigni. Il commissario brancola a lungo nel buio, non ha un appiglio, il tempo passa e niente sembra condurlo nella giusta direzione. Proprio quando sembra aver perso le speranze, rassegnandosi a far archiviare il caso, accade l’imprevedibile. La soluzione di tutto “si presenta”, bussa alla sua porta, chiede aiuto. Solinas inizia a rimettere insieme i pezzi del puzzle. Tra una sbornia, una liberatoria pedalata in bicicletta e un pranzo indigesto con Arquazzi, lo stravagante medico legale, la verità sarà faticosamente portata alla luce. Una storia sconvolgente, raccapricciante, in cui vittima e carnefice si confondono in un gioco torbido, dalle regole precise, in cui uccidere diventa “l’unico modo di vivere”.

“Le nebbie di Vraibourg” il romanzo di esordio di Veronica Elisa Conti

Alessia Sità
ROMA – Durante il tragitto vide la città di sfuggita, ma quel poco bastò a deluderlo: era piccola, poco più di un paese e sembrava non offrire molte occasioni di vita mondana. Addio sogni di cene lussuose, serate all’Opera e nei locali di musica. La campagna era secca, sferzata dal vento, corteggiata dai boschi che infine la conquistavano. La carrozza si introdusse in un viale fiancheggiato da pini secolari. Etienne pensò che sembrava la strada del camposanto. Alla fine del viale si apriva un giardino con una fontana al centro. Al di là il castello e tutto intorno il bosco. Etienne scese dalla carrozza e guardò davanti a sé: il castello della Guyenne si stagliava contro il cielo scuro. Qualcuno lo osservava da dietro una tenda.” È questo lo scenario che si presenta al giovane Etienne Dorin non appena giunge nel piccolo paese normanno di Vraibourg.
Vincitore nel 2011 del Premio Luigi Malerba di Narrativa e Sceneggiatura, il romanzo di esordio di Veronica Elisa Conti – “Le nebbie di Vraiborug” edito da MUPci trasporta in una gelida Normandia dall’atmosfera gotica e misteriosa. Protagonista della storia è un giovanissimo ragazzo di appena diciotto anni, che dopo essere stato chiamato dal nobile Tancrède Des Essarts, per istruire l’enigmatico Dorian -‘volto bianco nell’oscurità’-  decide di trasferirsi nel freddo castello di Guyenne. Ad alimentare il senso di inquietudine che aleggia nei luoghi della piccola cittadina è anche l’atteggiamento ambiguo dei personaggi che la abitano. La tranquillità apparente di Etienne presto è sconvolta dall’incontro con l’indipendente e schietta Ophélie De Clary e la solare fanciulla parigina, Madeleine Muset. Ben presto, il giovane viene coinvolto, suo malgrado, nella ‘nebbia’ che avvolge l’anima e il passato dei vari personaggi che incontra sulla sua strada. Tutti a Vraibourg sembrano nascondere qualcosa ed essere a conoscenza di strane storie sulla famiglia Des Essarts; ma l’ipocrisia della società borghese è difficile da scalfire e questo Etienne lo sa bene. La ricerca della verità per il giovane istitutore diventa sempre più insidiosa. La realtà con la quale dovrà fare i conti è molto diversa da come sembra. Sangue, menzogne e rancore sono al centro di tutte le vicissitudine di Vraiborug.

 

Con uno stile sobrio ed essenziale, Veronica Elisa conti ci regala una straordinaria storia senza tempo, in cui il mistero permea l’intreccio narrativo, basato sostanzialmente sulla continua dialettica fra verità, mistero e falsità.

 

Un viaggio nei sentieri occulti del potere


Silvia Notarangelo

ROMA – Un libro per varcare le soglie e visitare molti di quei luoghi avvolti dal mistero, complici leggende, credenze mitologiche, storie, talvolta, di pura fantasia. Stephen Klimczuk e Gerald Warner di Craigenmaddie nella loro “Guida ai luoghi più segreti del mondo” (Castelvecchi Editore) si propongono di far luce, in modo razionale e rigoroso, su quelli che definiscono i “santuari” del potere, sulla loro storia, sul perché, ad oggi, ci si continui ad interrogare sulla loro vera natura.
Con uno stile chiaro e asciutto, proprio come una tradizionale guida turistica, i due autori conducono il lettore attraverso i territori, gli ambienti, le stanze che, in modi diversi, sono stati o continuano ad essere luoghi esclusivi, sedi private di attività e gruppi più o meno ufficiali. Un autentico viaggio nell’incognito che spazia dalle residenze degli ordini cavallereschi a quelle delle società segrete universitarie, dai templi del potere economico-finanziario alle “isole del mistero”. Si può percorrere il Passetto di Borgo a Roma, avventurarsi nel terribile Castello di Wewelsburg in Germania, introdursi nei moderni rifugi destinati alla protezione e alla sicurezza, come l’inaccessibile Mount Weather in Virginia, immaginare il “backup del mondo intero”, la famosa galleria nell’isola di Spitzbergen che conserva i semi di tutte le piante terrestri.
L’obiettivo di questa intrigante guida è dichiarato: “scavare al di sotto degli strati della cattiva informazione e presentare i fatti reali”. Un’aspirazione legittima e pienamente raggiunta che, nonostante getti più di qualche dubbio sul valore acquisito da alcuni luoghi, nulla toglie al loro fascino e a quella particolare suggestione che li circonda.

L’educazione finanziaria già a scuola? Perché no?

Stefano Billi
ROMA – Si chiede molto alla scuola contemporanea. Anzitutto, dovrebbe formare gli studenti ad acquisire conoscenze e competenze fondamentali all’ingresso nel mercato del lavoro. Poi, dovrebbe insegnare una coscienza civica, educando a quei valori che talvolta le famiglie omettono di coltivare coi propri ragazzi. C’è addirittura chi ritiene come la scuola abbia il compito di istruire circa una morale laica.

Tra queste esigenze di formazione, tuttavia, oggigiorno si affianca la necessità di approfondimento dell’educazione finanziaria, una disciplina che non può non essere inclusa nel bagaglio di saperi che la scuola dell’obbligo annovera e impartisce.

“Educazione finanziaria a scuola. Per una cittadinanza consapevole” è dunque il testo adatto per comprendere l’importanza dell’insegnamento di una materia la cui conoscenza è divenuta ormai imprescindibile. A cura di Enrico Castrovilli e pubblicato da Guerini e associati, questo libro racchiude al suo interno una serie preziosa di interventi non soltanto sul concetto dell’educazione alla finanza, del suo rapporto con la crisi e al contempo con lo sviluppo economico, ma anche sulla sua diffusione all’interno degli istituti scolastici, e del ruolo fondamentale che rivestono i docenti nel coinvolgimento dei ragazzi all’apprendimento di questa disciplina.

Insomma, non solo greco, latino, chimica o letteratura d’oltralpe: è opportuno che gli studenti siano formati anche sotto un profilo finanziario. Non certo perché divengano traders professionisti. Piuttosto, si vorrebbe che lo studente possedesse gli strumenti necessari per «risparmiare e investire meglio, o perlomeno in maniera consapevole», per usare le parole di Massimo Fracaro. Ed è proprio il responsabile di CorrierEconomia che ci avverte della “nostra arretratezza finanziaria”, provocata anzitutto «dalla nostra matrice culturale, basata su radici classiche-letterarie, che molto poco hanno a che fare con la cultura finanziaria, tipicamente anglosassone». Senza contare l’affidamento che per decenni si è rivolto allo Stato, incaricato di pensare alle questioni finanziarie dei cittadini per soddisfare tutti i bisogni economici, dietro – ed è lapalissiano – il pagamento di generosi interessi.

Ma insegnare l’educazione finanziaria a scuola significa inoltre, sottolinea Carmela Palumbo, «riportare le questioni economiche nel solco più vasto del senso di appartenenza alla comunità sociale», giacché «diffondere la consapevolezza dei meccanismi che presiedono ai processi economici e finanziari significa non subirli, e ridurre i rischi non solo di un default finanziario, ma di un intero default civile e sociale che  potrebbe verificarsi quando non ci sia controllo e partecipazione sociale dal basso». In estrema sintesi, «introdurre l’educazione economico finanziaria nelle scuole significa contribuire a tutelare i diritti e la libertà della persona».

Un saggio, quello del Castrovilli, che per l’ensemble degli interventi e per l’accuratezza del curatore nel selezionare i contenuti da affrontare risulta di spiccato interesse, su una tematica, quella dell’educazione finanziari a scuola, che proprio in queste pagine può trovare l’innesco per una sua diffusione a largo spettro. Tra le pagine sono inserite anche le conclusioni di personaggi insigni quali Elsa Fornero e Ignazio Visco, affiancate dagli scritti incisivi di numerosi altri eccellenti autori degli interventi, dotati di un acume particolare nell’evidenziare, in maniera spesso sintetica ma sicuramente azzeccata, i lidi su cui la tematica dell’educazione finanziaria a scuola può e deve radicarsi.

Vale la pena concludere sottolineando come la materia de quo potrebbe poi giovare ai genitori degli studenti chiamati ad apprendere l’educazione finanziaria, giacché, come argutamente sottolinea il Castrovilli, «la finanza non è come imparare una volta per tutte ad amare Dante, piuttosto una continua ri-educazione». Così, nel confronto tra esperienze scolastiche del giovane discente ed esperienze di vita del genitore, diviene più agevole disegnare i contorni di una futura società che sappia intendere l’economia e la finanza non soltanto come un insieme di concetti quali risparmio, quotazione dei titoli, debiti sovrani o spread, piuttosto come benessere di tutti i cittadini.

Dalle “50 sfumature di Grigio” alle “50 sbavature del Gigio” nostrano

Alessia Sità
ROMA – Più di 18 milioni di copie vendute in meno di 10 settimane. Primo posto in classifica sul “New York Times”, “Sunday Times” e “Amazon”. E’ ormai considerato un vero e proprio bestseller mondiale. Ha superato anche Harry Potter. La fortunata trilogia delle “50 sfumature” (Mondadori) scritta da E. L. James – pseudonimo di Erika Leonard – ha travolto letteralmente il mondo intero. Non a caso, il “Time Magazine” ha incluso la quarantottenne scrittrice britannica tra le 100 donne più influenti. Ispirata dalla saga di Twilight, la ‘mummy porn’ ha iniziato cimentandosi sul web con una ‘fan-fiction’ che, in poco tempo e grazie soprattutto al passaparola fra donne, si è diffusa clamorosamente. Romantica, erotica, scandalosa, bollente. Sono solo alcuni degli aggettivi attribuiti all’appassionante storia d’amore e di sesso, che vede protagonisti il bel Christian Grey e la dolce Anastasia Steele. Lui è tenebroso, intrigante, tormentato, intraprendente. Lei è sensibile, ingenua e romantica. Quella che sembrava dovesse essere solo un’impetuosa passione erotica, in breve tempo stravolge completamente la loro esistenza. Fra sottomissione, contratti, amore, libertà si dipana un’elettrizzante storia dalle 150 sfumature cromatiche. Dal grigio degli occhi del bel Chris, al nero che aleggia nel suo animo, per finire in un rosso di emozioni e colpi di scena. Le “50 sfumature” hanno ossessionato il mondo. Tutte le donne ne parlano e tutte sognano l’affascinante Amministratore Delegato. Non tanto per il suo lato dominatore, piuttosto per l’uomo sensibile e protettivo che dimostra di essere in più di un’occasione. Christian Grey non mente, anzi mette subito in chiaro cosa vuole realmente e quale sia la sua vera natura. Lui ricorda tutto, copre di regali e di attenzioni la sua amata. Le fa vivere mille emozioni, la porta in giro in yacht, in aliante, in elicottero … Insomma, con lui non ci si annoia mai. Appurato che uomini così sono più rari che veri, non resta alle lettrici che sognare a occhi aperti, immedesimandosi in Anastasia Steele. Fortunatamente, a riportarci con i piedi per terra ci pensa il nostro Gigio. Vi state domandando chi sia? Per usare le parole di Rossella Calabrò – blogger autrice delle “50 sbavature del Gigio” (Sperling&Kupfer editore) – il Gigio non è altri che “il maschio umano medio”. Il nostro compagno, marito, amante che ci ritroviamo accanto non appena smettiamo di fantasticare sul caso letterario dell’anno. Sicuramente non sarà ricco e bello quanto Christian Grey, ma è molto più divertente. Del resto, è solo una questione di sfumature: Mr Grey è misterioso, ma lo è anche il nostro Gigio, infatti “non ha mai rivelato il motivo per cui è incapace di azionare il tasto ON della lavatrice”. Rossella Calabrò ci regala una brillante e spietata parodia del porno soft che ha incantato il gentil sesso. “Mr Grey è bellissimo. Occhi grigi come il cielo prima di una tempesta ormonale. Mani: grandi come l’amico single che sta sotto la cintura. Capelli: da farci un nido. E il Gigio? Occhi: due. Mani: anche. Capelli: eroici: si possono ammirare presso il monumento dei Caduti eretto in loro onore.” Se siete ‘vittime’ del caso editoriale dell’anno e vi state chiedendo chi sia l’uomo che non pensa sempre alla fellatio, ma vi regala tanta ridatio, “Le 50 sbavature del Gigio” è proprio il libro che fa per voi. “Perché, in fondo, ridere è la cosa più erotica che c’è.”

 

“Il tempo di Mahler”, una ricerca troppo difficile da accettare

Luigi Scarcelli
ROMA
“[…] Senza passato, senza futuro e senza presente, il tempo…dov’è?”
Il Tempo e l’irreversibilità del suo scorrere: un argomento antico quanto l’uomo è quello affrontato da Daniel Kehlmann, filosofo e scrittore, nel romanzo “Il tempo di Mahler” una delle ultime uscite Voland.

 

Chi sa davvero cosa sia il tempo? Immagine mobile dell’eternità, eterno ritorno o percorso escatologico? Il protagonista del libro, David Mahler, dedica tutta la sua vita e le sue energie alla ricerca della risposta. È un fisico, e come tale indaga la natura nei suoi meccanismi più profondi, pur sapendo che una volta scoperta la Verità questa potrebbe essere troppo pesante da accettare. È un genio, un ex bambino prodigio che decide di passare inosservato perché oscuri presagi lo mettono in guardia circa il suo cammino verso la scoperta. È un uomo, e per questo viene schiacciato dalla sua stessa conoscenza, non si arrende al suo destino pur non sottraendosi ad esso.

 

Kehlmann filtra il mondo di ogni giorno dando nuovi occhi al suo personaggio. Gli eventi non sembrano più gli stessi visti da una nuova prospettiva e l’autore dà una sfumatura quasi onirica alla trama, gioca con il tempo attraverso lunghi flashback e descrizioni dettagliate di singoli istanti. Le leggi della natura sembrano vacillare, ma il protagonista non è pronto a ciò, e tantomeno lo sono le persone che gli sono attorno: Marcel, amico fedele sino all’ultimo istante, Katja la sua pseudo fidanzata, i colleghi e la gente comune; tutti lo vedono come un pazzo.

Un po’ Zarathustra, un po’ Santiago e un po’ Gregor Samsa, David Mahler si prende la responsabilità della sua nuova consapevolezza fino alla fine del romanzo.

 

“Il tempo di Mahler” è un libro denso di significati e dalla trama suggestiva, caratteristiche indispensabili per appassionare il lettore.

“Un matrimonio e altri guai”: effetti indesiderati di un’unione

Silvia Notarangelo
ROMA – Il titolo dice tutto, “Un matrimonio e altri guai”. Sì, perché spesso le tanto desiderate nozze sono precedute da tensioni, preoccupazioni, inaspettate prese di posizione che rischiano di offuscare, se non addirittura di pregiudicare, il lieto evento.

Ne è consapevole anche l’autrice di questo romanzo edito da Garzanti. Con leggerezza, ironia, sensibilità, Jeanne Ray riesce a cogliere e, talvolta, sdrammatizzare tutte quelle situazioni, quegli interrogativi, quelle perplessità che ossessionano i familiari degli sposi.
L’atmosfera si preannuncia elettrizzante fin dall’inizio: una futura moglie dall’apparenza raggiante ma intimamente tormentata dai dubbi (meglio lui o l’altro?), un futuro marito ricchissimo e inappuntabile, una zia disperata che arriva all’improvviso dopo essere stata scaricata dal marito per una giovane amante.
L’incontro, tra i due tendenzialmente opposti stati d’animo, avviene in una casa dove, con tempismo perfetto, le fondamenta stanno pian piano cedendo rendendo precaria l’intera struttura. È la casa di Tom e Caroline, i genitori della sposa. Lui difensore d’ufficio, lei insegnante di danza, sono ancora innamoratissimi, pur essendo “inciampati nel matrimonio, nell’essere genitori, nella vita” a soli vent’anni. Ora, però, è diverso, perché a compiere il grande passo è Kay, la loro bambina ormai cresciuta, che sfoggia al dito un incredibile anello di fidanzamento. Tutto bene, dunque, se non fosse che sposare Trey Bennett, il miglior partito della città, significa intraprendere l’insidiosa strada dei preparativi di un matrimonio a cui, limitandosi agli intimi, non possono partecipare “meno di mille invitati”. E, come da tradizione, le spese della cerimonia spettano alla famiglia della sposa.
È il panico. Tom e Caroline iniziano a fare i conti, non ce la faranno mai. E allora che cosa fare? Ammettere la propria inadeguatezza economica, nella velata speranza che Kay si accorga nel frattempo di amare l’altro, “il povero”, o far finta di niente ed affidarsi ad un miracolo? In un susseguirsi di confessioni inattese, improvvisi isterismi, vecchie questioni mai risolte, si arriva alla fine della storia con una consapevolezza: i guai non arrivano mai da soli.